Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1387 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/01/2020, (ud. 19/12/2018, dep. 22/01/2020), n.1387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28385-2014 proposto da:

SOCIETA’ PER LA GESTIONE LINK CAMPUS UNIVERSITY OF MALTA S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ETTORE XIMENES 15, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO CIAFFARRI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN

TOMMASO D’AQUINO 90, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

QUATTROCCHI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 684/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/05/2014 R.G.N. 3444/2012.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 18542/2011 resa in data 17.11.2009, accogliendo parzialmente la domanda di T.A.D., ha dichiarato che tra il medesimo e la Link Campus University of Malta S.p.A. è intercorso un rapporto di lavoro di natura subordinata per il periodo 1.7.1999-2.9.2006; ha altresì dichiarato il difetto di legittimazione attiva del ricorrente a richiedere il versamento degli oneri previdenziali ed accessori, compensando le spese;

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata in data 26.5.2014, in parziale accoglimento del gravame interposto dal lavoratore, avverso la pronunzia di primo grado, ha condannato la Società per la Gestione della link Campus University of Malta S.p.A. al pagamento, in favore di T.A.D., della somma di Euro 23.543,10 a titolo di TFR, oltre accessori, come per legge;

che per la cassazione della sentenza ricorre la la Società per la Gestione della link Campus University of Malta S.p.A., affidandosi a due motivi;

che T.A.D. resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale affidato ad un motivo;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso principale, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa e carente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, e/o violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2094 c.c., “denunziando erronea ed incongrua valutazione delle risultanze istruttorie, nonostante molteplici elementi contrastassero con le caratteristiche di questa figura giuridica richiesta dalla legge e dalla giurisprudenza”; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2120 c.c., per il mancato conglobamento del TFR nelle somme ricevute dal lavoratore dalla Gestione Link, atteso che i maggiori compensi erogati a titolo di lavoro autonomo assorbono ogni tipo di compenso spettante per il rapporto di lavoro subordinato; a parere della ricorrente, la motivazione sarebbe carente poichè si basa sulla considerazione che la cessazione del rapporto di lavoro rappresenta un vero e proprio fatto costitutivo del diritto con la conseguenza che le somme accantonate non sarebbero fruibili dal lavoratore;

che, con il ricorso incidentale, si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “la violazione e falsa applicazione del principio dell’assorbimento al caso di specie”, avendo erroneamente la Corte di merito “respinto parzialmente l’appello con il quale l’esponente aveva censurato la sentenza di primo grado che, pur ritenendo qualificabile come subordinato il rapporto instauratosi con la Gestione Link S.p.A., non aveva ritenuto spettante al ricorrente alcuna somma a titolo di differenze retributive), che il primo motivo del ricorso principale è inammissibile; al riguardo, è, innanzitutto, da osservare che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, in data 26.5.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto condivisibili, in ordine alla configurazione del rapporto di cui si tratta come rapporto di lavoro subordinato per tutto il periodo dedotto in causa, poste a fondamento della decisione impugnata;

che, inoltre, il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito; per la qual cosa “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); e, nella fattispecie, come innanzi osservato, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un percorso motivazionale del tutto condivisibile e scevro da vizi logico-giuridici in ordine alla sussistenza degli elementi tipici della subordinazione, tra i quali, soprattutto, l’assoggettamento al potere direttivo-organizzativo altrui e l’onerosità delle prestazioni (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 8364/2014; 9043/2011; 8070/2011; 17992/2010; per ciò che più specificamente attiene a tutti gli indici di subordinazione, cfr., ex multis, Cass. n. 7024/2015); mentre la censura di cui si tratta appare, all’evidenza, finalizzata ad una nuova valutazione degli elementi di fatto, attraverso la mera contestazione della valutazione degli elementi probatori, senza che vengano neppure trascritte le dichiarazioni testimoniali oggetto di censura;

che neppure il secondo motivo del ricorso principale può essere accolto, in quanto, correttamente, i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che rispetto alla domanda relativa al TFR non può essere invocato il criterio dell’assorbimento, basato sul trattamento globale più favorevole tra quello di fatto goduto e quello che spetta sulla base dei minimi contrattuali con conseguente imputazione alle competenze indirette degli emolumenti eccedenti i primi, perchè tale principio, che si fonda sulla diversa conversione di un rapporto qualificato ab origine come autonomo in un contratto di prestazione d’opera subordinata, non risulta applicabile ad ipotesi diverse da quelle in cui si pone la necessità di operare un raffronto, per la differente qualificazioni delle voci di compenso, fra il percepito ed il dovuto, considerato che il trattamento di fine rapporto, secondo la disciplina contenuta nel novellato art. 2120 c.c., spetta al lavoratore, al momento della cessazione del rapporto, per cui non può presumersi in nessun caso che esso sia già stato erogato in corso di rapporto, nell’ambito di un trattamento economico più favorevole (v. ultime due pagg. della sentenza impugnata);

che il motivo articolato nel ricorso incidentale non è fondato, avendo i giudici di appello analiticamente motivato (v. pagg. 4 e 5 della sentenza oggetto del presente giudizio) in ordine al principio del c.d. assorbimento, che opera nell’ipotesi di prestazione di attività lavorativa nell’ambito di un rapporto qualificato dalle parti come autonomo, che risulti, in realtà, di natura subordinata; in tali casi, vale il predetto principio, per il quale il corrispettivo pattuito deve ritenersi, di regola, destinato, nell’intenzione delle parti, a compensare interamente l’opera prestata, in modo che, ai fini della verifica del rispetto del caso concreto dei minimi retributivi dovuti in dipendenza dell’accertata natura subordinata del rapporto, deve aversi riguardo all’importo complessivo che risulti corrisposto al lavoratore;

che per tutto quanto in precedenza esposto, sono da respingere sia il ricorso principale che quello incidentale;

che la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei termini stabiliti in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese dei giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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