Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13869 del 07/07/2016

Cassazione civile sez. lav., 07/07/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 07/07/2016), n.13869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5833/2011 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTIGHESI 12;

– ricorrenti –

contro

C.M., C.F. (OMISSIS), D.S.G.;

– intimati –

nonchè da:

C.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato

AMOS ANDREONI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

D.S.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7611/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/03/2010 r.g.n. 2187/2008;

udita la relazione della ausa svolta nella pubblica dienza del

16/03/9016 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito l’avvocato ANDRONI AMOS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Roma, all’esito della sentenza n. 103 del 2007, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 145 del 2002, art. 3, comma 7, ha dichiarato il diritto di C.M. a svolgere l’incarico di Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale della Sicilia per la durata complessiva di cinque anni, ha ordinato al Ministero dell’Istruzione di ripristinare la vigenza di detto incarico, cessato il 24.9.2002, fino al compimento di residua durata, ed ha condannato il Ministero a pagare al C. a titolo risarcitorio la somma di Euro 107.536,37 oltre interessi ed ha posto a carico del Ministero le spese del giudizio.

2. La Corte d’appello di Roma, adita in sede di gravame dal Ministero della Pubblica Istruzione, con la sentenza in data 25.3.2010, in parziale riforma della sentenza dl primo grado, ha respinto la domanda risarcitoria proposta dal C..

3. La Corte territoriale ha ritenuto che a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. n. 154 del 2002, art. 3, comma 7, si era ricostituito il vincolo contrattuale illegittimamente cessato il 24/9/02, essendo stata rimossa l’unica causa di cessazione anticipata dell’incarico, con conseguente obbligo del Ministero di ripristinare il rapporto.

4. Il Ministero, nel rifiutare di ripristinare l’incarico originario, era rimasto inadempiente, non avendo dimostrato l’impossibilità di ripristinare l’incarico dirigenziale nè al momento della risoluzione ex lege, nè successivamente; aveva ammesso che l’incarico, già assegnato al C., non era stato soppresso ma attribuito per un biennio ad altro dirigente e che la dedotta ristrutturazione non aveva interessato le sedi periferiche; non aveva dedotto alcunchè sulle specifiche qualità professionali dell’appellato.

5. Le forme di riparazione economica, quali il risarcimento del danno ed il pagamento delle indennità previste in caso di licenziamento illegittimo del lavoratore privato, nel sistema pubblico non rappresentavano strumenti idonei a tutelare anche gli interessi collettivi lesi da illegittimi provvedimenti di rimozione dei dirigenti pubblici.

6. Trovava applicazione l’art. 2058 c.c., che assicurando la tutela in forma specifica, tutelava non solo, e non tanto il singolo lavoratore, quanto soprattutto l’interesse al buon andamento della Pubblica Amministrazione.

7. Il lavoratore, ottenuta la reintegrazione in forma specifica, non aveva diritto al risarcimento del danno causato dallo svolgimento di un incarico di livello inferiore e dalla fruizione di un trattamento economico meno favorevole.

8. Pur non coprendo la reintegrazione in forma specifica tutti i danni prodotti dall’illegittima condotta del Ministero e potendo essa concorrere, con il risarcimento del danno per equivalente relativo alla professionalità, ivi compresa la perdita di chances e quello morale/esistenziale, non sussisteva la prova del dedotto demansionamento.

9. Per un verso l’art. 19, comma 1, ultimo periodo escludeva l’applicazione dell’art. 2103 c.c. e, per altro verso, mancavano allegazioni idonee a provare che l’incarico di studio, attribuito successivamente alla cessazione di quello di direttore generale, avesse determinato impoverimento della capacità professionale acquisita ovvero la mancata acquisizione di nuova e diversa professionalità.

10. Quanto al danno da perdita di chances e a quello non patrimoniale (reputazione, immagine, vita di relazione), il C. non aveva proposto appello avverso la statuizione di rigetto contenuta nella sentenza di primo grado, con conseguente formazione del giudicato interno su detta domanda; mancavano, comunque, allegazioni sulle circostanze di fatto idonee a dimostrare anche in via presuntiva l’esistenza e l’entità dei pregiudizi lamentati.

11. Avverso la sentenza ricorre li MIUR con quattro motivi.

12. Resiste il C. con controricorso e propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato a tre motivi, al quale ha resistito il Ministero.

13. D.S.G. è rimasto intimato.

14. Il ricorrente incidentale ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

15. I motivi del ricorso nrIncloale 16. Con il primo motivo il Ministero denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del D.L. n. 115 del 2005, art. 14 sexies, conv. in L. n. 168 del 2005, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, anche in combinato con l’art. 136 Cost. e con la L. Costituzionale n. 1 del 1953, art. 1.

17. Censura la pronuncia della Corte che ha riconosciuto il diritto del C. all’attribuzione dell’incarico dirigenziale per il periodo non svolto e fino al compimento del termine di residua durata dell’incarico dirigenziale.

18. Deduce che la decisione della Corte Costituzionale non comporta l’effetto ripristinatorio dell’incarico dirigenziale, il cui termine finale era ormai spirato, e che suddetta conseguenza avrebbe potuto realizzarsi solo se la pronuncia di illegittimità costituzionale fosse intervenuta in pendenza dei termini di durata dell’incarico revocato; che l’effetto reintegratorio non è imposto da alcun principio, nè ricavabile dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

19. Con il secondo motivo il MIUR denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226, 1256, 2043 e 2058 c.c..

20. Lamenta che la statuizione ripristinatorie reale sarebbe erronea in quanto fondata sull’art. 2058 c.c. e sull’assunto dl colpevole responsabilità di essa amministrazione.

21. Sostiene che nella fattispecie dedotta in giudizio mancherebbero i presupposti del risarcimento del danno in forma specifica, non essendo ravvisabile inadempimento imputabile in capo ad esso ricorrente, in quanto l’originario incarico dirigenziale era venuto meno in conseguenza di norma di legge, poi dichiarata incostituzionale 22. Deduce che, comunque, la pronuncia sulla attribuzione dello specifico incarico ormai scaduto sarebbe erronea perchè il risarcimento del danno non va confuso nè con l’azione di adempimento nè con il diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica, quale strumento coercitivo del diritto; che l’art. 2058 c.c., non troverebbe applicazione nei casi, quali quello dedotto in giudizio, in cui la reintegrazione in forma specifica non sia possibile.

23 fari il terzo motivo il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2058 c.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19.

24. Sostiene che gli elementi ostativi alla pronuncia ripristinatoria, ricavabili dall’art. 2058 c.c., da leggersi in combinato disposto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, non sarebbero stati valutati dalla Corte territoriale, la quale avrebbe omesso di considerare che nel tempo compreso tra il tempo di conferimento dell’incarico dirigenziale e quello della pronuncia della sentenza impugnata, si era realizzato il totale mutamento degli obiettivi da conseguire, con conseguente impossibilità di ritenere il C. idoneo a conseguire obiettivi diversi da quelli originariamente individuati.

25. Con il Quarto motivo il Ministero denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

26. Deduce che la Corte territoriale, dopo avere affermato l’inadempimento di esso Ministero per non avere provato l’impossibilità sopravvenuta di adempiere le proprie obbligazioni, aveva, nondimeno, affermato (pg. 4 della sentenza), che la revoca dell’incarico era stata fondata sulla legge, poi dichiarata incostituzionale.

27. Ricorso incidentale.

28. Con il primo motivo il C. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1.

29. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l’art. 2103 c.c., non trova applicazione in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali e di passaggio ad incarichi diversi; che la tutela della professionalità costituisce principio generale del nostro ordinamento giuridico.

30. Deduce che nel caso in esame si era consumato un illegittimo scadimento della funzione dirigenziale, essendo stato attribuito un incarico di studio, non previsto in pianta organica.

31. Con il secondo motivo il C. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e contraddittoria motivazione sul giudicato interno relativamente alla domanda di risarcimento del danno esistenziale.

32. Deduce che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, la sentenza di primo grado aveva ritenuto sussistente il danno esistenziale derivante dal mancato esercizio della funzione di dirigente generale, ricomprendendo tutte le voci di danno domandate, In un’unica indennità risarcitoria.

33. Con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione circa la mancata prova del danno esistenziale, deducendo che siffatta prova era stata offerta.

34. Sul ricorso principale.

35. Il primo, il secondo ed il terzo motivo, da scrutinarsi congiuntamente perchè correlati alla questione degli effetti delle pronuncia della Corte Costituzionale n. 103/2007, sono infondati.

36. Le conseguenze della citata sentenza, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 145 del 2002, art. 3, comma 7, nella parte in cui disponeva che gli incarichi dirigenziali cessassero il sessantesimo giorno dall’entrata in vigore della stessa legge, sono state esaminate da questa Corte in numerose recenti pronunce (Cass. 321/2016, 20100/2015, 289/2014, 355/2013).

37. Merita di essere confermato il principio secondo cui le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale hanno una sorta di efficacia retroattiva – in quanto la dichiarazione d’illegittimità costituzionale inficia le disposizioni o le norme, che ne sono investite, fin dal momento in cui entrano in contrasto con la costituzione – ma è fatto salvo, tuttavia, il limite delle “situazioni giuridiche già consolidate secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. le sentenze sopra richiamate ed, inoltre, le sentenze n. 11932/2003, n 14969/2002 n. 10115, 5039, 1728/2001, 7704, 6486/2000, 1203/89, 605, 405/98, 7057, 5305/97, 891/96) a causa degli eventi giuridici, che l’ordinamento riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, appunto, al pari di altri fatti ed atti, parimenti rilevanti, sul piano sostanziale o processuale, e produttivi del medesimo effetto giuridico, come l’atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza.

38. Alla luce di tale condivisibile affermazione non è fondata la tesi, prospettata dal ricorrente principale, secondo cui sarebbe da escludere un effetto ripristinatorio di un Incarico la cui durata quinquennale, al momento della pronuncia della Corte Costituzionale, era ormai scaduto.

39. Siffatta prospettazione, nella fattispecie in esame, caratterizzata dalla circostanza che il Tribunale, adito dal C., subito dopo la revoca dell’incarico in sede cautelare e, successivamente, con ricorso ex art. 414 c.p.c., aveva rimesso gli atti alla Corte Costituzionale ed aveva sospeso, in attesa della pronuncia della Corte, il giudizio volto alla reintegra nell’incarico di dirigenza, finisce per vanificare gli effetti della pronuncia di incostituzionalità proprio a favore del C., nel cui giudizio di primo grado è stata sollevata la questione dl legittimità costituzionale, risolvendosi a danno della lavoratore il tempo necessario per ottenere la tutela giurisdizionale.

40. Questa Corte in fattispecie del tutto analoga (cfr. Cass. n. 289/2014, 321/2016), ha confermato la pronuncia della Corte d’appello che aveva dichiarato il diritto del dirigente a svolgere l’incarico per la durata corrispondente a quella che residuava fino alla scadenza naturale dell’incarico medesimo ed ha dichiarato il correlativo obbligo del Ministero dell’Istruzione, sul presupposto che la declaratoria di incostituzionalità della norma citata avesse privato di ogni fondamento i consequenziali atti dl gestione dei rapporto di lavoro adottati proprio sul presupposto della vigenza della L. n. 145 del 2002, art. 3, comma 7, con conseguente riviviscenza dell’originario rapporto contrattuale con l’Amministrazione, che riprendeva a produrre i suoi effetti sinallagmatici sino alla prevista data di sua scadenza naturale.

41. Va, inoltre, ribadito il principio, contenuto nelle pronunzie sopra richiamate, secondo cui il ripristino del rapporto costituisce forma di tutela già riconosciuta da questa Corte a favore dei dirigenti pubblici.

42. Principio questo già affermato dalla sentenza a SSUU n. 3677/2009 di questa Corte, nella quale è stato osservato che la situazione che si viene a creare nelle ipotesi di illegittima revoca degli incarichi dirigenziali nell’ambito del pubblico impiego, non è dissimile rispetto a quanto avviene nel lavoro privato, in relazione alle pronunzie di reintegra nel posto di lavoro conseguenti a sentenze che ravvisino la illegittimità del licenziamento e che intervengano a distanza di tempo.

43. Le SSUU hanno rilevato che si tratta, invero, dei consueti limiti che incontra la tutela del lavoratore e che attengono non già al giudizio di cognizione ma alla fase esecutiva, in cui peraltro non può escludersi l’adempimento spontaneo da parte del datore di lavoro, con la precisazione che, in ogni caso, la riassegnazione è limitata alla durata residua di cui all’atto di attribuzione originario, dedotto il periodo di illegittima sottrazione.

44. Si è sottolineato, inoltre, nella pronuncia delle SSUU, che conferimento dell’incarico dirigenziale determina (accanto al rapporto fondamentale a tempo indeterminato, secondo il cd. sistema “binario”) l’instaurazione di contratto a tempo determinato, il quale, ai sensi dell’art. 2119 c.c., è passibile di recesso prima della scadenza solo per giusta causa…, ” e che in caso in cui il recesso ante tempus non sia assistito dalla giusta causa, i dirigenti ben potevano chiedere, in forza dell’art. 1453 c.c., la condanna dell’Amministrazione all’adempimento, per cui, una volta ritenuta illegittima la revoca, riacquista efficacia l’originario provvedimento di conferimento dell’incarico dirigenziale. Infatti, a seguito di questo, la posizione del dirigente aveva ormai acquisito lo spessore del diritto soggettivo allo svolgimento, non più di un qualsiasi incarico dirigenziale, ma proprio di quello specifico che era stato attribuito”.

45. Infine, è particolarmente significativo quanto esposto nella citata pronuncia secondo cui si trae conferma della possibilità dl rlassegnazione dell’incarico dirigenziale illecitamente revocato dai principi enunciati In molteplici pronunzie della Corte Costituzionale in materia del cd. spoil system (Corte Cost. n. 233/2006, n. 104 del 2007, n. 103/2007), in casi che, benchè diversi da quello in esame, fanno tuttavia comprendere i parametri entro i quali va collocata la tutela riservata al dirigente pubblico in termini di effettività.

46. Nell’ultima pronunzia citata il Giudice delle leggi ha, infatti, affermato che “il rapporto di servizio sottostante, pur se caratterizzato dalla temporaneità dell’incarico, deve essere connotato da specifiche garanzie, in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell’azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico amministrativo e quelli di gestione, affinchè il dirigente possa esplicare la propria attività in conformità ai principi di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost.”.

47. Va evidenziato che la Corte Costituzionale ha aggiunto che, a regime, la revoca delle funzioni legittimamente conferite ai dirigenti può essere conseguenza solo di una accertata responsabilità dirigenziale, in presenza di determinati presupposti ed all’esito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato.

48. Infine, con la sentenza n. 381 del 2008, la medesima Corte ha affermato che “forme di riparazione economica, quali, ad esempio, il risarcimento del danno o le indennità riconosciute dalla disciplina privatistica in favore del lavoratore ingiustificatamente licenziato, non possono rappresentare, nel settore pubblico, strumenti efficaci di tutela lesi da atti illegittimi di rimozione di dirigenti amministrativi…”.

49. Sono infondate le censure (formulate nel secondo motivo di appello) con le quali si deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui, facendo applicazione dell’art. 2058 c.c., ha qualificato la condotta del Ministero In termini di colpevole inadempimento.

50. Come già osservato da questa Corte nella sentenza 321/2016, e nelle pronunce ivi richiamate, il principio secondo cui “l’efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma, se comporta che tali pronunzie abbiano effetto anche in ordine ai rapporti svoltisi precedentemente (eccettuati quelli definiti con sentenza passata in giudicato e le situazioni comunque definitivamente esaurite) non vale a far ritenere illecito il comportamento realizzato, anteriormente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma successivamente dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa” (v. Cass. 26- 7-1996 n. 6744, cfr.

Cass. 3-2-1999 n. 941, Cass. 10-2-1999 n. 1138, Cass. 14-4-1999 n. 3702, Cass. 5-6-2000 n.7487, Cass. 12-11-2002 n. 15879, Cass. 4/5/2004 n. 8432, Cass. 22-7-2004 n. 13731, Cass.13-11- 2007 n. 23565).

51. In continuità con l’Indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato deve ritenersi che nella fattispecie in esame, in relazione alla quale non è certamente ravvisabile una ipotesi (pur sempre eccezionale) di responsabilità che prescinda dalla colpa, (elemento che accomuna la responsabilità contrattuale a quella aquiliana, seppure la prima abbia un particolare diverso regime probatorio –

art. 1218 c.c., rispetto all’art. 2043 c.c.), il Ministero, Innegabilmente tenuto a conformarsi alla norma di legge fino alla pronuncia di incostituzionalità, ai sensi degli artt. 97 e 136 Cost., era obbligato a conformare la sua condotta alla pronuncia della Corte Costituzionale a far tempo dal giorno successivo alla pubblicazione di detta sentenza.

52. Non è idonea ad escludere il diritto del C. al ripristino del rapporto, nel tempo successivo alla pronuncia della Corte Costituzionale e, dunque resta confermato l’inadempimento del Ministero, l’eccepita indisponibilità del posto a seguito della riforma organizzativa che aveva interessato gli Uffici del Ministero.

53. Va rilevato che le doglianze di omessa valutazione (formulate nel terzo motivo) dei mutamenti organizzativi che sarebbero intervenuti tra la data di revoca dell’incarico e quella di pronuncia della sentenza impugnata sono, per un verso, inammissibili e, per altro verso, infondate.

54. Sono inammissibili perchè le prospettazioni difensive che sorreggono le censure sono in realtà estranee al perimetro del vizio di violazione e di falsa applicazione di legge che, nella rubrica, si addebita alla sentenza impugnata.

55. Sono anche infondate perchè le censure non si confrontano con le argomentazioni motivazionali che sorreggono quest’ultima.

56. La Corte territoriale ha, infatti, affermato che non era stato contestato che l’incarico già assegnato al C. non era stato soppresso ma assegnato ad altro dirigente, che la ristrutturazione non aveva interessato le sedi periferiche e che il Ministero non aveva dedotto alcunchè sulle specifiche qualità professionali dell’appellato.

57. E, sulla scorta di siffatte circostanze, ha affermato che il Ministero non aveva dimostrato che fosse impossibile l’adempimento delle obbligazioni nè al momento della privazione dell’incarico nè successivamente.

58. Sul quarto motivo.

59. Le considerazioni svolte in ordine alla efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge ed al mancato adeguamento del Ministero alla pronuncia della Corte Costituzionale a far tempo dal giorno successivo alla pubblicazione di detta sentenza evidenziano l’Insussistenza del vizio di contraddittorietà della motivazione, addebitato alla Corte territoriale con il quarto motivo di appello.

60. La Corte territoriale ha, con argomentazioni puntuali e lineari, prive dell’addebitato vizio di incoerenza, esaminato la condotta del Ministero con riguardo al tempo di entrata in vigore della L. n. 145 del 2002 e, quindi, con riferimento agli effetti della sentenza della Corte Costituzionale.

61. Va evidenziato che nella fattispecie in esame non viene in rilevo la, diversa, questione della domanda risarcitoria economica, rispetto alla quale questa Corte ha, anche di recente, affermato (Cass. 321/2016) che occorre distinguere il periodo decorrente dalla pronuncia della Corte Costituzionale, da quello ad essa precedente.

62. La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto infondate le domande risarcitorie economiche azionate dal C..

63. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso principale va respinto.

64. Sul rimino incidentale.

65. Il primo motivo è inammissibile.

66. Non risulta, infatti, censurata l’affermazione secondo cui il C. non aveva allegato e provato le specifiche conseguenze pregiudizievoli subite a causa della privazione dell’incarico dirigenziale, quali l’impoverimento professionale ovvero la mancata acquisizione di nuova ulteriore capacità professionale.

67. Siffatta ratio decidendi, distinta ed autonoma, rispetto alla affermata inapplicabilità dell’art. 2103 c.c., alla fattispecie dedotta in giudizio, è logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggere la statuizione di rigetto della domanda in esame (ex multis Cass. SSUU 7931/2013).

68. Il secondo ed il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente, vanno rigettati.

69. Va rilevato che, al di là della questione (dedotta con il secondo motivo) della sussistenza o meno di giudicato interno, la ratio decidendi della statuizione di rigetto della domanda di risarcimento del danno esistenziale, fondata sulla mancanza di allegazioni da parte del C. di elementi di fatto idonei a desumere, sia pure in via presuntiva l’esistenza e l’entità del pregiudizio, è logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggere la decisione.

70. Tanto precisato, la censura di omessa motivazione (dedotta con il terzo motivo) formulata con riguardo a detta ratio decidendi è infondata, atteso che la Corte territoriale ha bene spiegato, le ragioni per le quali ha ritenuto infondata la domanda.

71. E, d’altra parte, l’assunto secondo il quale la prova del danno esistenziale sarebbe stata offerta, attiene a valutazioni di merito che non possono trovare ingresso nella presente sede di legittimità, dal momento che, nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le allegazioni e le prove offerte dalle parti (cfr. in tal senso, tra le tante, Cass. 6288/2011, 27162/2009, 15693/2004, 11936/2003; Cass. Ord. 7921/2011).

72. Va anche ribadito che, in tema di prova per presunzioni, è compito del giudice del merito valutare in concreto l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva e che il suo apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se sostenuto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Cass. 3281/2012, 24134/2009,12980/2002).

73. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso incidentale va respinto.

74. La reciproca soccombenza comporta la compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso principale.

Rigetta il ricorso incidentale.

Dichiara compensate le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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