Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13869 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16214/2018 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE LECCE, in persona del Direttore Generale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L MANTEGAZZA 24, presso lo

studio dell’avvocato MARCO GARDIN, rappresentato e difesa

dall’avvocato ANTONIO TOMMASO DE MAURO;

– ricorrente –

contro

M.A., S.L., S.T., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CARDINALE GARAMPI 195, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO CAMPANELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO

TANZA;

– controricorrenti –

e contro

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS), T.S., ITALIANA

ASSICURAZIONI SPA, B.O., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

nonchè da:

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona dei procuratori speciali,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVUOR 17, presso lo

studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

e contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE LECCE, S.L., M.A.,

S.T., T.S., ITALIANA ASSICURAZIONI SPA

B.O., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 212/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 20/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 31 gennaio 2002 M.A. e S.L., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia minore S.T., evocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS), nonchè l’Azienda Unità Sanitaria Locale (OMISSIS) deducendo che la mattina del (OMISSIS) M.A. aveva dato alla luce il figlio M., a seguito di taglio cesareo praticato presso l’ospedale (OMISSIS), con una grave sofferenza respiratoria, a seguito della quale era stato trasportato, con urgenza, presso un ospedale di livello superiore ((OMISSIS)), dove era deceduto alle ore 15:30 dello stesso giorno. Gli attori lamentavano il comportamento colposo del personale medico e di quello paramedico, operanti presso le strutture convenute. Chiedevano, pertanto, al Tribunale di Lecce, di dichiarare che la morte del piccolo S.M. si era verificata per fatto e colpa di tali soggetti, con conseguente risarcimento dei danni analiticamente individuati;

si costituiva in giudizio la Azienda USL (OMISSIS) contestando la fondatezza della domanda e chiedendo di integrare il contraddittorio nei confronti dei responsabili del reparto, B.O. e T.S., che si costituivano, contestando la domanda e chiedendo di chiamare in causa gli assicuratori: Italiana Assicurazioni S.p.A., a garanzia della posizione del Dottor T. e Milano Assicurazioni S.p.A., per il dottor B.. Si costituiva Italiana Assicurazioni S.p.A. contestando la pretesa. Nelle more del giudizio interveniva la sentenza penale di primo grado che affermava la responsabilità di B.O., escludendo quella di T.S. e quella di appello che pronunziava la nullità della decisione di primo grado, per diversità del fatto ritenuto, in confronto all’addebito, e dichiarava la prescrizione del reato ipotizzato;

con sentenza del 18 febbraio 2014, il Tribunale dopo avere istruito la causa con consulenza medico-legale affidata ad un collegio di specialisti e acquisite le perizie disposte in sede penale, rigettava la domanda, ritenendo insussistente l’imputabilità in capo ai sanitari di una condotta omissiva che avrebbe causato il danno lamentato dagli attori;

con atto di appello notificato il 20 marzo 2014 proponevano impugnazione M.A. e S.L., nella qualità in atti e si costituivano le parti appellate, Azienda Sanitaria Locale di Lecce, B.O., T.S., Italiana Assicurazioni S.p.A., Milano Assicurazioni S.p.A. (successivamente Unipol Sai S.p.A.) e Generali Assicurazioni S.p.A., chiedendo il rigetto dell’impugnazione. B. spiegava, altresì, appello incidentale, riguardo alla compensazione delle spese processuali, nonostante il totale rigetto della domanda principale;

la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 20 febbraio 2018, in accoglimento dell’appello principale, riconosceva il risarcimento in favore degli attori, condannando l’Azienda sanitaria al pagamento della somma di Euro 366.000, oltre interessi, confermava nel resto l’impugnata sentenza condannando l’Azienda al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Rigettava l’appello incidentale, compensando le spese tra le altre parti del giudizio;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’Azienda Sanitaria Locale di Lecce (ASL LE) affidandosi a tre motivi che illustra con memoria. Resistono con controricorso M.A., S.L. e T.. Deposita controricorso, con ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, Generali Italia S.p.A e successiva memoria ex art. 380 bis c.p.c.. Le altre parti intimate non svolgono attività processuale in questa sede. L’ASL deposita controricorso avverso il ricorso incidentale di Generali Italia S.p.A..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 1218 e 1228 c.c., perchè la Corte territoriale avrebbe affermato una responsabilità di natura contrattuale e non extracontrattuale in difetto di prova di una condotta omissiva o commissiva imputabile a un sanitario dell’ospedale di (OMISSIS) e per avere ascritto l’evento, ritenuto causa del decesso, ad un fatto di un dipendente dell’Azienda sanitaria. Nel caso di specie, le risultanze processuali evidenzierebbero l’insussistenza di una condotta censurabile dei due medici, che ebbero in cura la partoriente e l’assenza di anomalie nella cartella clinica. Gli attori non avrebbero mai precisato quando sarebbe avvenuto il trauma cranico, chi avrebbe praticato il punto di sutura e se tale soggetto era dipendente dell’Azienda sanitaria e soprattutto di quale ospedale. In difetto di tale allegazione non avrebbe potuto trovare applicazione il regime probatorio della responsabilità contrattuale. La Corte d’Appello ha affermato che il trauma cranico era riconducibile all’opera di un dipendente dell’Azienda sanitaria, indipendentemente dalla sua individuazione. La disciplina della responsabilità contrattuale richiede come presupposto di individuare un responsabile e, in particolare, che lo stesso sia dipendente dell’Azienda sanitaria o comunque un ausiliario, del cui operato l’Azienda si possa giovare. Da ciò, la violazione degli artt. 1218 e 1228 c.c.. L’unico elemento di senso contrario sarebbe rappresentato da una mera deduzione contenuta nella consulenza tecnica collegiale, secondo cui l’evento traumatico si sarebbe verificato presso l’ospedale di (OMISSIS). Peraltro, non vi è nessuna indicazione sulla misura di probabilità che l’evento possa essersi verificato presso quel nosocomio. In difetto della individuazione del soggetto responsabile avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina in tema di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c., con le conseguenze in tema di riparto dell’onere probatorio;

il motivo è infondato. Il motivo pone una serie di delicate problematiche riguardo alla natura della responsabilità dell’Azienda sanitaria nell’ipotesi di mancata individuazione della specifica condotta inadempiente. Appare pertanto opportuno richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente: a) per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura; b) per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui essa si avvale (cfr. Cass., 3/2/2012, n. 1620; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/5/2006, n. 12362);

la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria non rimane esclusa in ragione dell’insussistenza di un rapporto contrattuale che leghi il medico alla struttura sanitaria, in tale ipotesi operando il principio dell’appropriazione o dell’avvalimento dell’opera del terzo di cui all’art. 1228 c.c. (Cass., 27/8/2014, n. 18304);

in base alla regola di cui all’art. 1228 c.c. (come quella di cui all’art. 2049 c.c., ma con i distinguo che seguono) il debitore, che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde dunque anche dei fatti dolosi o colposi di costoro (Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 4/3/2004, 8n. 4400; Cass., 8/1/1999, n. 103), ancorchè non siano alle sue dipendenze (Cass., 11/12/2012, n. 22619; Cass., 21/2/1998, n. 1883; Cass., 20/4/1989, n. 1855);

nel caso di cui all’art. 1228 c.c., l’attività dell’ausiliario è incardinata nel programma obbligatorio originario che è diretto a realizzare, e per la cui realizzazione il debitore contrattuale si è necessariamente avvalso dell’incaricato, essendogli preclusa, attesa la natura giuridica di ente, ogni possibilità di adempimento “diretto” (ciò che esclude altresì la configurabilità, nella specie, dell’istituto dell’adempimento dell’obbligo altrui, da parte del sanitario, ex art. 1180 c.c.): si tratta dell’emersione di obblighi protettivi rispetto al contesto contrattuale – a prescindere, cioè, da una distinta responsabilità autonoma, anche aquiliana, dell’incaricato;

nella ipotesi di responsabilità ex art. 2049 c.c., la condotta pregiudizievole non si traduce propriamente nella mancata o inesatta esecuzione in un contenuto obbligatorio del committente verso un creditore, quanto piuttosto nello svolgimento di mansioni dannose per un terzo privo di una pregressa relazione qualificata con il debitore, ferma la naturalistica alterità dei soggetti imputabili dell’illecito (il preponente, il preposto): e proprio per ciò si richiede la preposizione e l’occasionalità necessaria (Cass., Sez. U., 16/05/2019, n. 13246) per la configurazione di una responsabilità (concordemente ritenuta oggettiva) del “dominus”;

la responsabilità per fatto dell’ausiliario (e del preposto) prescinde dalla sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, essendo irrilevante la natura del rapporto intercorrente tra i medesimi ai fini considerati; assumendo fondamentale rilievo, viceversa, la circostanza che dell’opera del terzo il debitore comunque si sia avvalso nell’attuazione della propria obbligazione, ponendo la medesima a disposizione del creditore, sicchè la stessa risulti a tale stregua inserita nel procedimento esecutivo del rapporto obbligatorio;

la responsabilità che, dall’esplicazione dell’attività di tale terzo direttamente consegue in capo al soggetto che se ne avvale, riposa infatti sul principio cuius commoda eius et incommoda, o, più precisamente, come detto, dell’appropriazione o “avvalimento” dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino (cfr., con riferimento a diverse fattispecie, Cass., 14/2/2019, n. 4298; Cass., 22/11/2018, n. 30161; Cass., 12/10/2018, n. 25374; Cass., 12/10/2018, n. 25373; Cass., 6/6/2014, n. 12833; Cass., 26/5/2011, n. 11590);

nè, al fine di considerare interrotto il rapporto in base al quale il debitore (Azienda Sanitaria) è chiamato a rispondere, vale distinguere tra comportamento colposo e comportamento doloso del soggetto agente (sanitario) che costituisce il presupposto della responsabilità della struttura sanitaria, essendo sufficiente la mera occasionalità necessaria (v. Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 15/2/2000, n. 1682). E tale principio trova applicazione, sia nella responsabilità contrattuale, che in quella extracontrattuale, con ciò rendendo irrilevanti parte delle argomentazioni della ricorrente;

la struttura sanitaria risponde, allora, direttamente di tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto (medico o, nel caso di specie, sanitario in genere, preposto alle manovre post partum), della cui opera comunque si è avvalsa, sono state rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, e cioè dei danni che ha potuto arrecare in ragione di quel particolare contatto cui è risultato esposto nei suoi confronti il creditore (nel caso, la gestante/partoriente e il feto/neonato);

l’Azienda sanitaria è, infatti, direttamente responsabile allorquando l’evento dannoso risulti, come nella specie, da ascriversi alla condotta colposa posta in essere (quand’anche a sua insaputa: cfr. Cass., 17/5/2001, n. 6756) dal sanitario (Cass., 27/8/2014, n. 18304), della cui attività essa si è comunque avvalsa per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale;

deve ulteriormente porsi in rilievo che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, oltre che nei confronti del paziente, è configurabile anche relativamente ai soggetti terzi cui si estendono gli effetti protettivi del contratto, e in particolare ai prossimi congiunti, tra cui il padre, anche qualora il contratto sia stato stipulato tra una gestante e una struttura sanitaria e/o un medico, avente in particolare ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza (Cass., 11/05/2009, n. 10741; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 22/7/2004, n. 13634. Con riferimento al danno c.d. da nascita indesiderata scaturente dalla mancata rilevazione di malformazioni congenite del concepito, cfr. altresì, da ultimo, Cass., 21/8/2018, n. 20829; Cass., 29/1/2018, n. 2070; Cass., 2/10/2012, n. 16754; Cass., 2/2/2010, n. 2354);

fatte queste premesse, va precisato che il sanitario opera sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l’attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere agevolmente “isolata” dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante, mentre il già citato art. 1228 c.c., fonda, a sua volta, l’imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla base della libertà del titolare dell’obbligazione di decidere come provvedere all’adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la struttura di responsabilità da rischio d’impresa (“cuius commoda eius et incommoda”) ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilità organizzativa nell’esecuzione di prestazioni complesse;

ne consegue che, se la struttura si avvale della “collaborazione” dei sanitari persone fisiche (utilità) si trova del pari a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati (danno): la responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice non già in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione (Cass., 27/03/2015, n. 6243), realizzandosi, e non potendo obliterarsi, l’avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino (cfr. Cass., 06/06/2014, n. 12833 e da ultimo Cass. civ. Sez. III, 11-11-2019, n. 28987);

poichè l’attività della struttura sanitaria deve conformarsi a criteri di organizzazione e gestione distinti da quelli che governano la condotta del singolo medico, da ciò discende la particolare responsabilità dell’Azienda a causa dell’adozione di uno stringente “standard” operativo, per cui la stessa si modella secondo criteri di natura oggettiva (in questi termini, le decisioni di questa Corte depositate l’11.11.2019 del cd “programma sanità” ed, in particolare, la citata sentenza n. 28987);

alla luce di quanto precede la decisione del giudice di appello non è censurabile, poichè corretta nelle conclusioni, atteso che, all’interno della cornice giuridica ora descritta, la riferibilità dell’evento alla condotta di un dipendente o di un ausiliario dell’Azienda Sanitaria è stata ritenuta provata implicitamente, per presunzioni, atteso che tutto l’iter relativo alle attività connesse al parto e alla successiva assistenza è stato gestito esclusivamente dal personale delle strutture sanitarie, con divieto di interazione di terzi estranei e nel segmento temporale meglio descritto con riferimento al terzo motivo di ricorso;

con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per la mancata valutazione delle risultanze della perizia disposta in sede di incidente probatorio davanti al Gip e l’errata applicazione del principio di causalità in sede civile, secondo il criterio del “più probabile che non”. In particolare, il giudice di appello avrebbe preso in considerazione, condividendole, le risultanze della consulenza collegiale civile e dell’elaborato peritale espletato in sede di incidente probatorio davanti al Gip, per affermare la sussistenza di esiti di un trauma cranico encefalico di notevole intensità. Al contrario, nell’elaborato peritale penale si parla di emorragia con origine traumatica “che non influì certamente sul decorso della malattia della vittima” e che quindi non avrebbe avuto alcuna incidenza sulla morte del neonato, ciò in quanto questi era nato con un indice Apgar pari a 4 (che esprimerebbe il pericolo di vita) per la sofferenza respiratoria e cianotico. La Corte, pur condividendo le risultanze di entrambe le consulenze tecniche, penale e civile, non avrebbe valutato tale fatto decisivo, cioè quello dell’accertata irrilevanza da parte del Collegio peritale penale della lesione cutanea suturata. Ciò determinerebbe una valutazione di probabilità dell’evento inferiore al 50%. Tali profili sarebbero stati esclusi anche dalla sentenza penale di primo grado che si è occupata della posizione del medico B., con riferimento al ritardo nel parto cesareo e nell’estrazione del feto e non per il fatto contusivo localizzato “che ha prodotto un minimo versamento ematico”;

il secondo motivo presenta dei profili di inammissibilità per difetto di autosufficienza, perchè il nucleo centrale della censura riguarda la mancata considerazione dell’irrilevanza della lesione cutanea che sarebbe stata affermata dal collegio peritale penale, in sede di incidente probatorio. Ciò è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, trascrivendo un breve passaggio contenuto nella comparsa di costituzione di primo grado e della sentenza penale di primo grado. Facendo riferimento alla perizia penale si precisa, in particolare, “questa emorragia ebbe una genesi traumatica la cui origine non è dato conoscere all’esito del dibattimento, ma che non influì certamente sul decorso della malattia della vittima, sicchè non assume rilevanza ai fini della nostra discussione”. Poi si aggiunge, trascrivendo la sentenza penale, che “il quadro dell’autopsia, infatti, evidenzia una sottile falda ematica che è legata ad un fatto contusivo localizzato, che ha prodotto un minimo versamento ematico in quella sede. La tipologia di quel versamento, inoltre, ha provocato un ematoma non fortemente comprimente sul parenchima encefalico, sicchè è possibile ritenere che non sia stata la causa determinante dell’exitus. Certamente quella emorragia ebbe..” e, prosegue, con il riferimento alla genesi traumatica dell’emorragia;

parte ricorrente non trascrive i passaggi significativi della perizia penale, ma quelli della sentenza del Tribunale che “riporta(ndo) le risultanze della relativa CTU”. La perizia penale non è menzionata o localizzata nel fascicolo di legittimità e ciò rende difficoltosa la valutazione delle censure da parte della Corte;

a prescindere da ciò, le doglianze sono infondate perchè la Corte d’Appello di Lecce prende posizione rispetto al materiale probatorio, dando prevalenza alle valutazioni oggetto della CTU espletata in sede civile. L’incipit della motivazione della Corte si limita alla mera descrizione dei fatti, ma l’impostazione accolta dal giudice di appello si riferisce alle conclusioni della consulenza civile, rispetto a quella penale che descrive una forte sofferenza respiratoria che avrebbe indebolito il corpo della piccola vittima, amplificando l’episodio traumatico al capo. Secondo la Corte territoriale, in particolare, dalle risultanze della CTU collegiale civile, emergeva che, nonostante il rassicurante decorso descritto, in sede di autopsia, era stata riscontrata l’esistenza di un punto di sutura, al vertice del capo e un’inondazione ematica. Sulla base di tale elemento i consulenti hanno dedotto l’esistenza di un trauma cranico di notevole intensità, che giustificava il decesso del piccolo paziente. Il collegio ritiene che il danno si è certamente verificato dopo la nascita del feto vivo e vitale e nell’arco di un’ora successiva, a seguito di un trauma cranico encefalico che lo ha condotto al decesso;

con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte territoriale avrebbe escluso la garanzia assicurativa ritenendo, in difetto di prova, che il danno cerebrale sarebbe stato provocato dai dipendenti dell’ospedale di (OMISSIS) e non, invece, dagli operatori dell’ospedale (OMISSIS), per il quale esisteva la garanzia. Come dedotto con il primo motivo, non vi sarebbe la prova del momento di determinazione del trauma cranico. L’unico elemento sarebbe desumibile dalla consulenza espletata in ambito civile che si limiterebbe ad ipotizzare che la lesione si sarebbe verificata dopo il parto e prima dell’arrivo presso l’ospedale di (OMISSIS). Inoltre, nessun accertamento sarebbe stato espletato per accertare a chi era riferibile l’autoambulanza utilizzata per trasportare il neonato da (OMISSIS);

osserva questa Corte che la parte della decisione impugnata si riferisce all’argomentazione di pagina 11 della sentenza, lì dove, riassumendo la relazione peritale civile, secondo cui vi sarebbe stato un buon recupero di funzionalità respiratoria subito dopo la nascita e, a distanza di meno di un’ora, un rapidissimo aggravamento, la Corte territoriale conclude che quell’anomalo decorso “deponga per un evento traumatico occorso presso l’ospedale di (OMISSIS)”. Aggiunge la Corte che, anche in sede penale, i periti hanno escluso che il trauma possa essersi verificato nel corso dell’intervento, cioè durante l’estrazione del feto, concludendo “senza ombra di dubbio” che il feto vivo e vitale ha subito un trauma cranico encefalico presso l’ospedale di (OMISSIS), a causa della condotta, tutt’altro che diligente, degli operatori di quel nosocomio;

il motivo è infondato, perchè la Corte territoriale, attraverso il richiamo puntuale alla consulenza civile, ha implicitamente ritenuto “più probabile che non” la collocazione temporale dell’evento traumatico in quella fase, giacchè il piccolo M. nasce con un indice Apgar di 4/10, che poi migliora decisamente passando ad 8 e poi a 9, per cui alle 9:20 (10 minuti dopo la nascita) del (OMISSIS) era in ottime condizioni, mentre alle 10:00 i pediatri di (OMISSIS) rilevano gravissime difficoltà respiratorie. La Corte, sulla base di questi dati evidenti, ha collocato l’episodio in quel segmento temporale, delimitato, da un lato, dai valori oltremodo accettabili di vitalità (indice Apgar 8/9) e dall’atro dalla segnalazione, da parte dei pediatri del nosocomio di (OMISSIS), di una evidente criticità. Tale valutazione in fatto è ragionevole e non è censurabile in sede di legittimità;

con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato Generali Italia S.p.A. lamenta la violazione dell’art. 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la Corte d’Appello ha dichiarato la estraneità della compagnia di Assicurazioni Generali, invece di dare atto del venir meno della domanda di garanzia, attesa la sua intempestiva riproposizione;

con il secondo motivo si deduce la violazione l’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 e dell’art. 116 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale avrebbe omesso di decidere sulla richiesta di Generali Italia S.p.A. di dichiarare il diritto di rivalsa in caso di pagamento dell’indennità di polizza;

per effetto delle conclusioni raggiunte con riguardo al ricorso principale, devono ritenersi assorbite le doglianze prospettate con i due motivi del ricorso incidentale condizionato;

ed, infatti, anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass., Sez. Un., sentenza del 6 marzo 2009, n. 5456; Sez. Un., sentenza 25 marzo 2013, n. 7381 e, da ultimo, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 6138 del 14 marzo 2018);

ne consegue che il ricorso principale deve essere rigettato e va dichiarato assorbito quello incidentale; le spese del presente giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza nei rapporti tra la ricorrente principale e i contro ricorrenti M.A., S.L. e T., mentre vanno compensate quelle nei rapporti tra ricorrente principale e ricorrente incidentale. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) dichiara che sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo, se dovuto, a carico della ricorrente principale.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge e compensa integralmente le spese nei rapporti tra la ricorrente principale e quella incidentale.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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