Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13865 del 09/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 09/06/2010), n.13865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Comune di Teramo, in persona del Sindaco p.t., domiciliato in Roma,

via Trionfale, n. 5637, presso l’Avvocato D’Amario Ferdinando, che lo

rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Europlak s.r.l., in persona del legale rappresentante Arch. P.

L., elettivamente domiciliata in Roma, piazza Santiago del Cile,

n. 8, presso l’Avvocato Marco Battaglia, rappresentata e difesa

dall’Avvocato di Eugenio Luca per procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 81/2/05 pronunziata dalla Commissione

tributaria regionale dell’Abruzzo in sede di rinvio, depositata il

19.1.2006;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 22 aprile 2010 dal relatore Cons. Dott. MAGNO Giuseppe Vito

Antonio;

Uditi, per il Comune ricorrente, l’Avvocato Ferdinando D’Amario e,

per la controricorrente, l’Avvocato Luca Di Eugenio;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- Il comune di Teramo ricorre, con nove motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, giudicando in sede di rinvio disposto da questa suprema corte con sentenza n. 22860/2004, accoglie l’appello della contribuente Europlak s.r.l, avverso la sentenza n. 117/4/2005 della commissione tributaria provinciale di Teramo, che ne aveva rigettato il ricorso contro l’avviso di accertamento dell’ICI per gli anni 1993, 1994, 1995, 1996, 1997, emesso dal comune di Teramo in relazione allo stabilimento industriale e relativi impianti di essa contribuente, con la richiesta di pagamento delle somme di L. 285.260.623 per imposta evasa, L. 199.682.436 per sanzioni e L. 126.746.163 per interessi.

1.2.- La nominata contribuente resiste mediante controricorso.

2.- Questioni controverse e motivi del ricorso.

2.1.- La sentenza n. 22860/2004 di questa suprema corte – con cui era stata annullata la sentenza di secondo grado, per avere dichiarato illegittimo l’atto impositivo in base ad una domanda (concernente difetto di motivazione dell’avviso) proposta ex novo in appello dalla contribuente, e dunque inammissibile – precisa che la contribuente aveva bene specificato nel ricorso introduttivo, e poi riproposto in appello, in via subordinata, i motivo di lagnanza relativo alla corretta determinazione della base imponibile, “deducendo di contestare l’avviso di accertamento perche’ frutto di erronea determinazione della base imponibile, conseguente alla indebita contabilizzazione anche del valore di impianti e macchinari… del tutto estranei al fabbricato industriale e, quindi, assolutamente ininfluenti ai Fini ICI”.

2.2.- Il giudicante a quo, uniformandosi al principio di diritto stabilito da questa suprema corte con la sentenza citata, decide la controversia nel merito della suddetta questione (corretta determinazione della base imponibile), “senza tener conto della domanda nuova asserito difetto di motivazione dell’atto impositivo inammissibilmente proposta in sede di gravame dall’appellante societa’”; e giudica non accoglibile la maggior pretesa del comune, rispetto a quanto dichiarato dalla contribuente in base ai propri dati di bilancio (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3), perche’, da un lato, “il macchinario non incorporato nell’edificio, la cui rimozione o sostituzione e’ possibile senza alterare la struttura muraria… e’ certamente parte dell’opificio, ma non del fabbricato”, quindi non sarebbe soggetto ad ICI; dall’altro, “L’ente impositore non ha provveduto, ne’ in fase di accertamento ne’ durante la fase giurisdizionale, a fornire elementi idonei alla determinazione del (maggior) valore dell’immobile in questione ai fini ICI”.

2.3.- Tale sentenza e’ criticata dal comune per i seguenti motivi:

2.3.1.- sulla questione relativa all’esatta contabilizzazione della base imponibile si sarebbe formato il giudicato, poiche’ la contribuente, non solo non avrebbe riformulato tale eccezione in appello, ma avrebbe addirittura fatto acquiescenza (in una memoria) alla tesi del comune, ammettendo che “alla determinazione del valore del cespite concorrono anche il valore delle installazioni connesse od incorporate con i fabbricati” (violazione dell’art. 2909 c.c.;

degli artt. 324, 329, 339 c.p.c.; D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 49, 53, 56; omessa e contraddittoria motivazione);

2.3.2.- rigetto illegittimo e non adeguatamente motivato dell’eccezione di nullita’ dell’atto d’appello, per violazione dell’obbligo di specificita’ dei motivi d’impugnazione e d’indicazione degli elementi di diritto costituenti la ragione della domanda (violazione e falsa applicazione degli artt. 163, 164 e 342 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 53; contraddittorieta’ ed illogicita’ della motivazione);

2.3.3.- violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), per avere il giudicante a quo omesso di decidere sull’eccezione di modifica del petitum e della causa petendi, dato che la “mancanza dei prescritti presupposti di diritto e di fatto della pretesa tributaria”, dedotta in appello, sarebbe motivo diverso da quello contenuto nel ricorso introduttivo, inerente alla contestata contabilizzazione d’impianti, senza accenno alcuno alla prova (resa inutile dalla contabilita’ incontestata), con successiva acquiescenza riguardo agli “impianti fissi incorporati”;

2.3.4.- violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 per aver giudicato mancante la prova della maggior pretesa tributaria riferita ad impianti industriali, allorche’ la contribuente aveva posto tale questione, inammissibilmente, solo in appello;

2.3.5.- impossibilita’ di conoscere le ragioni della decisione, per contraddittorieta’ ed illogicita’ della motivazione, in ordine alla distinzione fra impianti industriali e macchinari, una volta stabilito pacificamente l’an debeatur dell’imposta ed essendo rimasto da definire solo il quantum del tributo; con violazione di legge (combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3 e D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, co. 3, pen. per., convertito con modificazioni nella L. 8 agosto 1992, n. 359), qualora debba intendersi l’impiantistica esclusa dall’imposta; e con decisione superflua o extra petita (violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c.), qualora s’intenda la volonta’ impositiva del comune nel senso d’includere altri macchinari, oltre gl’impianti fissi, questione pacificamente esclusa;

2.3.6.- omesso esame di fatto decisivo, vizio di motivazione e violazione di legge (art. 115 c.p.c.), per non avere tenuto conto di una serie di dati, documentati in causa, concernenti i criteri di contabilizzazione adottati dal comune, con inclusione dell’impiantistica fissa ed esclusione degli altri macchinari;

2.3.7.- violazione dell’art. 2697 c.c., del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 5 e 11, e del D.L. n. 333 del 1992, art. 7 cit., oltre che omessa motivazione, per avere immotivatamente ritenuto che il comune non avesse fornito prova della pretesa, quando tale prova era stata ricavata dalla stessa contabilita’, incontestata, offerta dalla contribuente;

2.3.8.- violazione degli artt. 112 e 156 c.p.c., per omessa pronuncia sulla contro – eccezione d’inesistenza della nullita’ dell’avviso di accertamento, eccepita dalla contribuente, e per aver ritenuto invalido tale avviso, nonostante contenesse i dati necessari ed avesse raggiunto lo scopo cui era destinato;

2.3.9.- violazione del principio della soccombenza e difetto di motivazione in ordine al carico delle spese di lite, fatto gravare sul comune relativamente a tutte le fasi del giudizio – primo grado, appello, cassazione e rinvio -, con duplicazione di quelle di secondo grado (appello e fase di rinvio) e senza considerare che il comune, in primo grado e nel giudizio di legittimita’, non era stato affatto soccombente.

3.- Decisione.

3.1.- Il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

4.- Motivi della decisione.

4.1.- Il primo motivo di ricorso (par. 2.3.1) e’ infondato.

4.1.1.- Risulta dalla citata sentenza n. 22860/2004 di questa suprema corte che la contribuente aveva lamentato, gia’ col ricorso introduttivo del giudizio, che l’avviso di accertamento era “frutto di erronea determinazione della base imponibile, conseguente alla indebita contabilizzazione anche del valore di impianti e macchinari… del tutto estranei al fabbricato industriale e, quindi, assolutamente ininfluenti ai fini ICI”; quindi, dopo avere consultato direttamente gli atti, per essere stato dedotto un error in procedendo, il collegio accerto’ che la contribuente aveva sostenuto l’illegittimita’ dell’atto impositivo “per aver il Comune arbitrariamente contabilizzato nell’importo imponibile i valori di impianti e macchinari del tutto estranei al fabbricato industriale”.

4.1.2.- Pertanto, allorche’ la contribuente asserisce che “alla determinazione del valore del cespite concorrono anche il valore delle installazioni connesse od incorporate con i fabbricati” non opera alcuna ammissione contro se, ma ribadisce la tesi, sostenuta in primo grado ed in appello – ragion per cui non puo’ ritenersi formato alcun giudicato interno -, che l’ICI non debba applicarsi, come invece vorrebbe il comune, agli altri “macchinari del tutto estranei al fabbricato industriale”.

4.1.3.- Il giudice del rinvio ha accolto tale impostazione difensiva con motivazione adeguata e coerente sul piano logico, affermando che “e’ necessario distinguere tra gli impianti che sono dotazione dell’edificio in quanto tale da quelli installati per la specifica produzione industriale, cui l’edificio stesso e’ destinato”; e che “il macchinario non incorporato nell’edificio, la cui rimozione o sostituzione e’ possibile senza alterare la struttura muraria, concorre alla produzione industriale ed e’ certamente parte dell’opificio, ma non del fabbricato”, sicche’ non e’ soggetto ad ICI. 4.2. – Il secondo motivo (par. 2.3.2) e’ pure infondato.

4.2.1.- L’analoga lagnanza, formulata davanti al giudice del rinvio (registrata al punto n. 4 della narrativa della sentenza qui impugnata), e’ stata da questo respinta nel senso che “Nel caso di specie le doglianze del ricorrente sono chiare e specifiche e sulle stesse si e’ ampiamente dibattuto in ben tre gradi di giudizio, per cui l’eccezione formulata dalla ricorrente amministrazione deve essere disattesa”; anche perche’, in appello, la contribuente aveva “precisato l’oggetto ed i limiti del riesame richiesto”.

4.2.2.- Per gli stessi evidenti ed inconfutabili motivi deve essere disattesa la censura anche in questa sede (cfr. Cass. nn. 19639/2008, 1224/2007, 1574/2005).

4.3.- La violazione dell’art. 112 c.p.c., denunziata col terzo motivo di censura (par. 2.3.3), non ricorre nel caso specifico perche’ – come gia’ aveva rilevato ad analogo proposito la citata sentenza n. 22860/2004, con cui questa suprema corte aveva disposto il rinvio “il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale relativa, nella specie, a pretesa non corrispondenza fra domanda proposta in primo grado e motivo d’appello… non e’ suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (v. Cass. 18.3.2002, n. 3927)”. Problematica peraltro infondata, perche’ la parte ha sempre esposto, in primo grado ed in appello, la stessa lagnanza: avere il comune conteggiato ai fini dell’ICI anche il valore di macchinari non incorporati nell’edificio, ma “del tutto estranei al fabbricato industriale”.

4.4.- Il quarto motivo (par. 2.3.4) e’ infondato, poiche’ la costante lagnanza della contribuente, in primo ed in secondo grado, riguardo alla “infondatezza” della maggior pretesa del comune, equivale precisamente ad eccepire l’insussistenza di valide ragioni per tassare macchinari ritenuti estranei (non incorporati in modo inamovibile) all’immobile; la commissione regionale si limita ad osservare che, in proposito, l’ente impositore “non ha provveduto…

a fornire elementi idonei alla determinazione del (maggior) valore dell’immobile”; ossia non ha spiegato per quale motivo ritiene che anche gli altri macchinari, rimovibili, debbano essere inclusi nella valutazione dell’opificio ai fini dell’ICI, in contrasto con l’assunto riportato sopra, al par. 4.1.3.

4.5.- Come gia’ rilevato (par. 4.1.3), il giudicante a quo fonda la decisione sulla distinzione fra macchinari incorporati all’edificio, soggetti ad ICI, e macchinari asportabili (il cui valore non concorre alla determinazione della base imponibile).

4.5.1.- Tale distinzione e’ posta in modo oltremodo chiaro, sicche’ il quinto motivo di ricorso (par. 2.3.5) e’ infondato sotto il profilo del vizio di motivazione.

4.5.2.- Per il resto, la censura e’ inammissibile, perche’ immuta arbitrariamente i termini della controversia, giungendo il ricorrente ad affermare che esso, quale ente impositore, “aveva sostenuto doversi interpretare la norma vigente nel senso di inclusione della sola impiantistica fissa e di non inclusione dei macchinari”; o che sarebbe stato “pacifico per tutti che la impiantistica non andava inclusa nella base imponibile” (ricorso, pag. 19): ovviamente, se tanto fosse vero, non ci sarebbe controversia. Invece, la stessa commissione provinciale, che pure aveva dato ragione al comune, notava che “la controversia… verte sostanzialmente sulla corretta determinazione della base imponibile”, ossia sulla inclusione o non inclusione in essa del valore di determinati macchinari.

Ora, mentre la contribuente ammette di dover comprendere nell’imponibile il valore “delle installazioni connesse od incorporate con i fabbricati”, il comune invece vorrebbe comprendere anche altre macchine non aventi queste caratteristiche. La commissione regionale ha rigettato tale pretesa ed ha aggiunto che il comune neppure l’ha sostenuta con “elementi idonei” a farle mutare opinione. Essendo la controversia in questi termini, le censure di violazione di legge comprese in questo motivo risultano eccentriche, cioe’ estranee al thema decidendum, e sono percio’ inammissibili.

4.6.- Il sesto motivo (par. 2.3.6) e’ inammissibile, in quanto sottopone al giudice di legittimita’ una questione eminentemente di merito: se, in base ai documenti contabili versati in atti e riprodotti nel ricorso per Cassazione, possa stabilirsi che il comune aveva escluso dalla tassazione il valore dei macchinari che teoricamente non vi sono soggetti. L’estrema genericita’ della doglianza, che non si riferisce ad alcun oggetto specifico – per sostenere che esso fa parte integrante del fabbricato industriale, e che quindi il giudicante a quo avrebbe dovuto considerarlo compreso nell’imponibile, secondo la sua stessa teoria – porta ad escludere anche il profilo di violazione di legge (art. 115 c.p.c.), avendo giustamente la commissione regionale, pure in presenza di una copiosa documentazione contabile, ritenuto mancante la prova della maggiore pretesa fiscale, ossia la prova che determinati macchinari dovevano considerarsi parte integrante dell’edificio. D’altra parte, se questa specifica prova era stata invece fornita, il comune ricorrente omette di riprodurre nel ricorso, in omaggio al principio di autosufficienza, gli esatti termini in cui l’aveva formulata; con lo stesso risultato d’inammissibilita’ della censura.

4.7.- Il settimo motivo (par, 2.3.7) e’ in gran parte assorbito dalle argomentazioni precedenti, in quanto muove dallo stesso convincimento, sopra confutato, che la prova della maggior pretesa fiscale fosse raggiunta con la semplice esibizione della documentazione contabile comunale: in realta’, il comune avrebbe dovuto dimostrare che tutti i macchinari inclusi nel calcolo dell’ICI, compresi quelli che la contribuente ritiene “estranei” al fabbricato, facevano parte fisicamente di questo. In proposito, non esistendo alcuna presunzione di inerenza fisica di tutte le macchine utensili al fabbricato, l’onere di provare tale circostanza spettava al comune; sicche’, sotto il profilo dell’asserita violazione dell’art. 2697 c.c., la censura e’ infondata.

4.8.- L’ottavo motivo (par. 2.3.8) e’ inammissibile per evidente carenza d’interesse, dato che il giudice del rinvio non ha pronunziato la nullita’ dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione (tale pronunzia era contenuta nella sentenza poi annullata con rinvio).

4.9.- Il nono motivo (par. 2.3.9) e’ infondato. La condanna del comune alle spese di tutte le fasi del giudizio segue giustamente la soccombenza (art. 91 c.p.c.), anche con riferimento a quelle (primo grado, Cassazione) in cui non si verifico’ tale soccombenza, stante l’esito finale del giudizio totalmente negativo per il comune stesso (Cass. nn. 15483/2008, 406/2008, 7846/2006, 4778/2004 ed altre). Non costituisce duplicazione delle spese di secondo grado la liquidazione fattane in relazione sia al primo giudizio davanti alla commissione regionale sia al giudizio di rinvio, trattandosi di due giudizi distinti, le cui spese debbono essere regolate distintamente.

5.- Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200,00 (cinquemiladuecento/00), di cui Euro 5.000,00 (cinquemila/00) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2010

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