Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13860 del 23/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 23/06/2011), n.13860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17247-2009 proposto da:

PUNTI BAR SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

amministratore unico, selettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

SAVORELLI 103, presso lo studio dell’avvocato PIERRO ROBERTO, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 179/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA del 17/06/08, depositata il 24/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO COSENTINO;

è presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA.

Fatto

LA CORTE

rilevato che, ai sensi dell’art. 380 ibis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:

“La società Punti Bar srl impugnava un avviso di accertamento IRPEG ILOR per l’anno 1997 e la Commissione Tributaria Provinciale di Roma respingeva il ricorso.

La Commissione Tributaria Regionale di Roma, adita dalla contribuente con l’appello, dichiarava inammissibile il gravame, non avendo l’appellante provveduto al deposito di copia del ricorso in appello presso la cancelleria della Commissione Tributaria Provinciale, come disposto, a pena di inammissibilità dell’appello, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, per il caso in cui il ricorso in appello non sia notificato tramite ufficiale giudiziario.

Ricorre per cassazione la società contribuente, proponendo quattro motivi di ricorso.

L’Agenzia delle Entrate non si è costituita nel giudizio di cassazione.

Il ricorso va giudicato manifestamente infondato per le ragioni di cui appresso.

Col primo motivo, si censura la sentenza di primo grado sotto il duplice profilo del vizio di motivazione e della violazione di legge.

Il motivo è inammissibile, perchè i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata devono essere – oltre che specifici e completi – riferiti a tale sentenza, e non ad altra pronuncia, ancorchè resa nel medesimo processo (Cass. 15952/2007).

Col secondo motivo, si argomenta che il giudice tributario non può limitarsi all’annullamento dell’atto impositivo, ma deve conoscere del rapporto tributario.

Il motivo è inammissibile, in quanto non contiene alcuna censura riferibile alla sentenza impugnata.

Col terzo motivo, si argomenta sulla rilevanza costituzionale, ex art. 111 Cost., dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziari.

Il motivo è inammissibile, in quanto non contiene alcuna censura riferibile alla sentenza impugnata.

Col quarto motivo si censura la sentenza impugnata sotto due profili:

a) Sotto il primo profilo, si lamenta che la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe esposto le motivazioni sulla cui base ha ritenuto l’appello inammissibile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex artt. 53 e 56. La censura è inammissibile per difetto di interesse, in quanto si appunta contro un passaggio argomentativo della sentenza gravata estraneo alla ratio decidendi (la quale si fonda sul mancato deposito di copia del ricorso in appello presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale) e risulta sviluppato meramente ad abundantiam (In ultima, analisi la dichiarata inammissibilità poteva essere altresì dichiarata per la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 56, pag. 3, righi 6-7, della sentenza, sottolineatura nostra); vedi, tra le tante, Cass. 23635/2010, Cass. 13068/2007.

b) Sotto il secondo profilo, si lamenta l’ingiustizia della declaratoria di inammissibilità dell’appello per il mancato rispetto, da parte dell’appellante, dell’adempimento formale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, nel testo modificato dal D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, comma 7, convertito con la L. n. 248 del 2005. Ciò in quanto tale adempimento sarebbe defatigatorio e inutilmente vessatorio e la sua imposizione violerebbe il principio di parità delle parti. Il motivo non censura l’applicazione data dalla Commissione Tributaria Regionale al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, ma solleva, ancorchè implicitamente, dubbi di costituzionalità di tale disposizione (senza peraltro indicare le norme costituzionali con cui la stessa contrasterebbe). I dubbi di costituzionalità del ricorrente sono manifestamente infondati.

Esclusa la pertinenza del richiamo al principio di parità delle parti (art. 111 Cost.), giacchè la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, si applica tanto all’appello dell’Amministrazione quanto all’appello del contribuente, è qui sufficiente richiamare la giurisprudenza costituzionale formatasi sulla compatibilità di detta disposizione con gli artt. 3 e 24 Cost.

(sentenza C. Cost. n. 321 del 4.12.2009, ordinanza C. Cost. n. 43 del 11.2.2010).

In conclusione si ritiene che il procedimento possa essere definito in camera di consiglio, con la declaratoria di manifesta infondatezza del relativo motivo”.

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti; che la resistente ha depositato controricorso. Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide le argomentazioni esposte nella relazione e, pertanto, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso va rigettato; che le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2011

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