Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13860 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 06/07/2020), n.13860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8202/2018 proposto da:

S.A., anche nella sua qualità di socio della cessata

società SAN GUGLIELMO SRL UNIPERSONALE IN LIQUIDAZIONE,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO N. 25, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI MERLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato VITTORIO DI MARTINO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio

dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANDREA MINA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1317/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 08/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNI MERLA per delega orale;

udito l’Avvocato DANIELE MANCA BITTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.A., anche nella sua qualità di socio della cessata società unipersonale San Guglielmo S.r.l. in liquidazione, ricorre, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 1317/17, dell’8 settembre 2017, della Corte di Appello di Brescia, che respingendo il gravame da esso esperito avverso la sentenza n. 3697/13, del 13 novembre 2013, del Tribunale di Brescia – ha confermato la decisione del primo giudice. La stessa, per l’esattezza, aveva accertato la corretta esecuzione degli obblighi assunti dalla società (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi, “(OMISSIS)”), nei confronti della società San Guglielmo, in relazione alla costruzione e vendita di un edificio destinato ad uso artigianale, riconoscendo a favore di detta società (OMISSIS), per l’effetto, la proprietà e il possesso dell’assegno recante l’importo di Euro 1.000.000,00, dalla stessa rilasciato, a garanzia dell’esatto adempimento delle proprie obbligazioni, a favore della San Guglielmo, condannando, infine, il S. a risarcire a (OMISSIS) il danno subito, liquidato nella misura di Euro 10.000,00.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente che le società San Guglielmo e (OMISSIS) diedero vita ad un’articolata operazione negoziale. Infatti, in data 23 febbraio 2004, esse concludevano due contratti preliminari, con i quali la San Guglielmo prometteva di vendere a (OMISSIS) un intero complesso commerciale di circa 4.000 metri quadrati, impegnandosi, invece, (OMISSIS) a realizzare su quell’area un nuovo edificio artigianale, in sostituzione di quello esistente, nonchè a rivenderlo alla stessa società San Guglielmo per un prezzo di Euro 10.681.000,00, più IVA, il tutto chiavi in mano. Peraltro, precisa sempre l’odierno ricorrente, la stipulazione dei due contratti era dettata anche dalla necessità di (OMISSIS) di finanziarsi attraverso un leasing, nel quale, una volta realizzata l’opera, sarebbe potuta subentrare San Guglielmo, qualora avesse ritenuto di dare il proprio benestare alle condizioni proposte a (OMISSIS) dalla società Fineco leasing. Difatti, con successivo contratto dell’8 luglio 2004, avente ad oggetto promessa di cessione del leasing, venne espressamente stabilito che San Guglielmo potesse subentrare nel predetto contratto di locazione finanziaria, entro 24 mesi dalla sua stipulazione.

In tale contesto, dunque, in data 23 febbraio 2004, venne negoziato il predetto assegno (poi oggetto di causa), consegnato dalla società (OMISSIS) alla società San Guglielmo il 23 aprile 2004, assegno sulla fotocopia del quale venne aggiunta la dicitura “da restituirsi all’atto di compravendita con la società di leasing”. Il titolo bancario aveva, pertanto, lo scopo – sottolinea il ricorrente – di garantire che San Guglielmo addivenisse alla stipula del contratto gli acquisto dell’erigendo edificio, mentre (OMISSIS) assicurasse che l’opera fosse; sia effettivamente costruita, sia, soprattutto, consegnata priva di vizi e difetti.

Orbene, sul presupposto che l’opera realizzata ebbe a rivelare, ben presto, vizi e difetti, nonchè in ragione del precipitare della situazione finanziaria di (OMISSIS) (che, nel tempo, ebbe a portarla dapprima al concordato preventivo e poi al fallimento), l’odierno ricorrente riferisce che San Guglielmo decise, in data 5 maggio 2010, di porre all’incasso l’assegno, risultato, però, scoperto.

2.1. Rivoltasi, pertanto, la curatela fallimentare della società (OMISSIS) al Tribunale di Brescia con ricorso ex artt. 670 e 700 c.p.c., al fine di ottenere il sequestro giudiziario del predetto assegno bancario, emesso il relativo provvedimento “inaudita altera parte” (il tutto, peraltro, mentre il predetto titolo bancario risultava anche oggetto di un sequestro di iniziativa da parte dei Carabinieri della stazione di (OMISSIS), sequestro non convalidato dal Pubblico Ministero della Procura della Repubblica di Brescia, che, tuttavia, provvedeva autonomamente a sequestrarlo quale asserito corpo di reato, con decreto, infine, annullato dal locale Tribunale del Riesame), veniva radicato, sempre dalla società (OMISSIS), il giudizio ex art. 669-octies c.p.c..

L’instaurazione di tale giudizio – deduce l’odierno ricorrente sarebbe, però, avvenuta con violazione del termine previsto del citato art. 669-octies c.p.c., comma 2 e con citazione in giudizio della sola San Guglielmo in liquidazione, e non del medesimo S.A. personalmente, quantunque lo stesso, in ogni precedente atto (incluso lo stesso ricorso per sequestro giudiziario) fosse stato indicato da (OMISSIS) come “resistente”.

Deduce, inoltre, l’odierno ricorrente come nel predetto atto di citazione, portato alla notifica in data 8 marzo 2011, (OMISSIS) ebbe a richiedere che fosse accertato e dichiarato che “la convenuta” non aveva il titolo per incassare l’assegno, per essere stato lo stesso consegnato a garanzia di obbligazioni che, nella prospettazione dell’allora parte attrice, sarebbero state adempiute.

Tuttavia, la società San Guglielmo non ebbe a costituirsi in giudizio, non essendo stata raggiunta da alcuna notifica, tanto che (OMISSIS), all’udienza dell’8 febbraio 2012, faceva rilevare di aver preso atto, da una visura camerale, che la predetta società risultava cessata e cancellata dal registro delle imprese il 30 dicembre 2011. Chiedeva, pertanto, l’attrice di essere autorizzata a riassumere la causa, ex art. 303 c.p.c., nei confronti della San Guglielmo “in liquidazione”, depositando, però tardivamente (sempre secondo l’odierno ricorrente) il ricorso per la prosecuzione del giudizio. Evidenzia, altresì, l’odierno ricorrente come il Tribunale bresciano – nel decidere in merito a tale istanza – ebbe a fissare udienza, per la prosecuzione del giudizio, nei confronti di esso S. (ma ciò senza che (OMISSIS) avesse manifestato alcuna volontà in tal senso), con decisione della quale si assume, pertanto, l’irritualità, visto che l’adito giudicante, di sua iniziativa, risultava aver evinto, da un certificato camerate, la qualità del S. di unico socio della cessata San Guglielmo.

L’atto di riassunzione, portato alla notifica, nei suoi confronti, il 23 maggio 2012, venne, tuttavia, restituito al notificante – sempre secondo la narrativa dell’odierno ricorrente – per “irreperibilità assoluta del destinatario”, sicchè le domande dell’attrice in riassunzione, formulate esclusivamente nei confronti della cessata società, senza essere estese nei confronti di esso S., avrebbero dovuto comportare la declaratoria di estinzione del giudizio.

Diversamente, tuttavia, il Tribunale – celebrata l’istruttoria concludeva nel senso di attribuire alla società attrice la proprietà e il possesso dell’assegno già oggetto del sequestro giudiziario, condannando il S. al risarcimento dei danni in favore di parte attrice, oltre che alla rifusione delle spese di lite.

2.2. Proposto appello dai S., il medesimo lamentava, tra l’altro (e per quanto qui ancora di interesse):

– che il giudizio di primo grado non fu coltivato da (OMISSIS) nei suoi confronti;

– che la contumacia della società San Guglielmo era stata dichiarata erroneamente, attesa la mancata notifica nei confronti della stessa dell’atto introduttivo del giudizio ex art. 669-octies c.p.c.;

– che il medesimo giudizio, in ogni caso, fosse da ritenersi tardivo, giacchè instaurato oltre di sessanta giorni di cui alla norma suddetta;

– che fu solo il Tribunale ad individuare esso S. quale destinatario dell’atto di riassunzione, in sostituzione della società San Guglielmo, incorrendo, pertanto, nel vizio di “extrapetizione soggettiva”;

– che, comunque, non fosse estensibile al socio della cancellata società unipersonale San Giuliano, nella qualità di successore della stessa, una generica condanna al risarcimento dei danni “subiti e subendi”;

– che la domanda di restituzione dell’assegno fosse inammissibile nei propri confronti, sia perchè esso S. non aveva alcuna disponibilità del titolo, sia perchè egli sarebbe potuto subentrare solo in posizioni attive e passive (peraltro, già e se esistenti) facenti capo alla società San Guglielmo, ma non pure in obblighi di fare e di non fare;

– che del tutto erronea sarebbe stata l’affermazione del Tribunale, secondo cui la causa era stata riassunta nei confronti di esso S. quale “liquidatore”, sia perchè il liquidatore non poteva subentrare nella posizione della società estinta, sia perchè la notificazione dell’atto di riassunzione, nei suoi confronti, era stata tardivamente effettuata, oltre che compiuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c., in luogo dell’art. 143 c.p.c., attesa la sua assoluta irreperibilità (e la mancanza di effettuate ricerche ed adempimenti ex art. 148 c.p.c.).

Il giudice di appello, tuttavia, rigettava il proposto gravame.

3. Avverso la decisione della Corte bresciana ha proposto ricorso per cassazione il S., sulla base di sette motivi.

3.1. Con il primo motivo si deduce – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “falsa applicazione (e/o violazione)” dell’art. 354, comma 1, e dell’art. 101 c.p.c..

In particolare, il ricorrente lamenta che la notifica, nei suoi confronti, dell’atto di riassunzione era nulla, in quanto essa – in considerazione dell’irreperibilità assoluta del destinatario, certificata, nella cd. “CAD”, dall’ufficiale postale – avrebbe dovuto essere effettuata, non già ai sensi dell’art. 140 c.p.c., bensì ai sensi dell’art. 143 c.p.c..

Orbene, la Corte territoriale, pur riconoscendo la nullità della notificazione “de qua”, non ha rimesso la causa al primo giudice (al quale era riservato l’esame delle ragioni di merito), così violando l’art. 354 c.p.c., comma 1 e con esso il principio del contraddittorio, giacchè, pur qualificando come erronea la contumacia dichiarata in primo grado, ha ritenuto di poter direttamente decidere la causa nel merito, non rientrando – a suo dire – l’ipotesi in esame tra i casi di rimessione al primo giudice.

D’altra parte, a giustificare la decisione impugnata, secondo il ricorrente, neppure varrebbe invocare – come ha fatto, invece, la Corte bresciana – il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (è citata Cass. Sez. Un., sent. 19 maggio 2008, n. 12644, Rv. 603269-01), secondo cui, qualora si verifichi, nel processo di primo grado, un evento interruttivo del processo cui faccia seguito un irregolare atto di riassunzione del medesimo, il giudice di appello cui tale irregolarità venga prospettata non può rimettere la causa al primo giudice – trattandosi di eventualità non prevista dagli artt. 353 e 354 c.p.c. – bensì deve deciderla nel merito. Tale principio, infatti, varrebbe – assume il ricorrente – per l’ipotesi della nullità dell’atto di riassunzione, non per quella della nullità della notificazione dello stesso.

3.2. Con il secondo motivo si deduce – in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – “falsa applicazione (o violazione) dell’art. 100 c.p.c.”.

Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa – sul rilievo che, nel bilancio finale di liquidazione della società San Guglielmo (prenditrice dell’assegno), non risultava il relativo importo, e dunque interpretando tale contegno quale “rinuncia al credito” – ha ravvisato un difetto di “interesse sostanziale all’impugnazione” in capo al S..

Siffatta affermazione, ritenuta non condivisibile già in relazione alla posizione della società San Guglielmo (visto che il l’assegno era stato emesso solo in funzione di garanzia), viene contestata sotto più profili.

Premesso, invero, che da essa sarebbe dovuta derivare, semmai, una declaratoria di inammissibilità del gravame, e non il rigetto dello stesso, l’odierno ricorrente sottolinea come il proprio interesse ad impugnare dovesse essere riconosciuto sotto più profili.

Innanzitutto, perchè egli, sul presupposto degli inadempimenti della società (OMISSIS) agli obblighi garantiti proprio attraverso il rilascio dell’assegno, si era avvalso dello stesso in quanto “espressione di un’autonoma promessa di pagamento” ex artt. 1988 e 1322 c.c..

Inoltre, l’iniziativa dell’allora appellante risultava sorretta anche dal suo interesse a far rilevare che: a) il giudizio di merito era iniziato tardivamente; b) la notificazione dell’atto di riassunzione era nulla; c) la dichiarazione della sua contumacia era illegittima (con la conseguenza, a tacer d’altro, del riconoscimento in proprio favore delle spese del secondo grado).

Orbene, ciascuno di tali, concreti, interessi era certamente idoneo – a dire del ricorrente – ad integrare quei “risultati giuridicamente apprezzabili”, sia “di rito”, che “di merito”, rilevanti ai fini ed agli effetti di cui all’art. 100 c.p.c..

3.3. Con il terzo motivo si deduce – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omesso esame circa il fatto, oggetto di discussione tra le parti e decisivo per il giudizio, che parte attrice, all’esito del procedimento per il sequestro giudiziario dell’assegno, aveva introdotto il giudizio di merito con citazione dell’8 marzo 2011 e, quindi, allorchè era già scaduto il termine perentorio di 60 giorni (previsto dall’art. 669-octies c.p.c., comma 2), decorrente dalla comunicazione dell’ordinanza di concessione del sequestro giudiziario del 13 maggio 2010.

3.4. Il quarto motivo, proposto subordinatamente a quello immediatamente precedente, ipotizza – con riferimento, questa volta, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “falsa applicazione (o violazione)” dell’art. 669-octies c.p.c., commi 1 e 2 e art. 669-novies c.p.c., comma 1, sostenendosi che, in forza della corretta applicazione di tali norme, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la tardività dell’avvio del giudizio di merito, con conseguente perdita di efficacia del provvedimento di sequestro.

3.5. Il quinto motivo, proposto subordinatamente al quarto, ipotizza – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – “violazione o falsa applicazione” degli artt. 303,305,125,112,111 c.p.c., comma 2, art. 101 c.p.c., comma 1, nonchè dell’art. 24 Cost..

Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la riassunzione, a seguito della cancellazione della società San Guglielmo dal registro delle imprese, sia stata richiesta e sia avvenuta nei confronti di esso S.A., laddove la società (OMISSIS), nel ricorso per la prosecuzione del giudizio, individuava espressamente nella “San Guglielmo in liquidazione” il soggetto nei cui confronti intendeva essere abilitata a riprendere il giudizio. Del resto, aggiunge il ricorrente, non solo la procedura di riassunzione risultava orientata esclusivamente nei confronti di tale soggetto, ma anche le domande formulate all’esito di essa (come attesta l’uso del termine “convenuta”, al femminile), rendono palese che l’intento della società (OMISSIS) fosse quello di far accertare che San Guglielmo, e non altri, avesse “l’obbligo di restituire l’assegno, non avendo titolo a trattenerlo”.

Nel pronunciarsi, dunque, nei riguardi del S. (nei cui confronti, oltretutto, la domanda non era stata estesa dall’allora attrice, a seguito dell’accertata estinzione della San Guglielmo) il primo giudice sarebbe incorso nel vizio di “extrapetizione soggettiva”, non rilevato neppure dalla Corte bresciana.

Il tutto, inoltre, senza tacere del fatto che il giudice di appello, “nello spostare la sua attenzione sulla tardività della notifica del ricorso-decreto in riassunzione”, avrebbe finito “per omettere di esaminare” altre eccezioni, ovvero non solo quella relativa alla “non proposta riassunzione nei confronti del S.”, ma anche “alla tardività della riassunzione”, visto che l’attrice non avrebbe dato atto “nè del momento in cui la San Guglielmo era cessata, nè di quando era venuta a conoscenza (cd. legale) di detto fatto, nè della data in cui sarebbe stata ottenuta la visura camerale” attestante la cessazione.

3.6. Il sesto motivo ipotizza – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – falsa applicazione dell’art. 2907 c.c., nonchè degli artt. 99,112 c.p.c., art. 101 c.p.c., comma 2 e art. 183 c.p.c., comma 4, nonchè degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., anche in relazione agli artt. 2037 e 948 c.c..

Sul rilievo che l’azione svolta dalla società (OMISSIS) fosse quella personale di restituzione dell’assegno, da essa consegnato a garanzia degli obblighi assunti in forza dei contratti conclusi con la società San Guglielmo (ovvero, quello di costruire l’immobile a regola d’arte e quello di rivenderlo alla predetta società San Guglielmo), il ricorrente aveva già lamentato, con l’appello, che il giudice di primo grado – pur riconoscendo, in motivazione, la natura personale dell’azione – avesse emesso in dispositivo, illegittimamente, una pronuncia costitutiva, con la quale attribuì a (OMISSIS) la proprietà ed il possesso dell’assegno, incorrendo, così, nel vizio di ultrapetizione.

Con il presente motivo il ricorrente lamenta che, in appello, la società (OMISSIS) avrebbe cambiato il presupposto della propria iniziativa, non basandola più sull’avvenuto adempimento delle proprie obbligazioni contrattuali (e, pertanto, sull’esaurimento della funzione di “garanzia” svolta, sino a quel momento, dall’assegno), bensì sulla “proprietà” del titolo bancario, sostituendo, così, all’azione personale di “restituzione”, quella di natura “reale” di cui all’art. 948 c.c..

Orbene, la Corte territoriale – in particolare, affermando che l’azione di (OMISSIS) avrebbe avuto come presupposto implicito la proprietà del titolo (in realtà, mai invocata) – risulterebbe aver convalidato la determinazione e valorizzazione di una domanda radicalmente difforme nel “petitum” e nella “causa petendi” da quanto espressamente allegato e dedotto dalla parte, in violazione delle regole dell’ermeneutica contrattuale (applicabili anche all’interpretazione della domanda giudiziale), nonchè pronunciando una sentenza cd. “della terza via”.

3.7. Il settimo motivo ipotizza – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – “falsa applicazione (o violazione)” degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

Si assume che la Corte territoriale – proprio perchè avrebbe dovuto rimettere la causa al giudice di primo grado, ex art. 354 c.p.c., comma 1, senza entrare nel merito della vicenda avrebbe dovuto porre le spese processuali a carico dell’attrice, avendo ravvisato la nullità della notifica del ricorso in riassunzione, riconoscendole in favore di esso S., in considerazione del suo interesse ad impugnare la sentenza di primo grado.

L’illegittima, dunque, sarebbe – per le stesse ragioni – anche la sua condanna al pagamento del doppio del contributo unificato.

4. Ha proposto controricorso la curatela fallimentare della società (OMISSIS), per chiedere che l’avversaria impugnazione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Viene eccepita, innanzitutto, l’inammissibilità del ricorso nel suo complesso, dal momento che le censure formulate sarebbero generiche e prive della caratteristica dell’autosufficienza, non essendo, in particolare, trascritti nè i documenti sui quali impugnazione si fonda, nè le parti della sentenza oggetto di impugnazione. In ogni caso, si assume che le censure tenderebbero, inammissibilmente, ad un riesame del merito della controversia.

Quanto, poi, al primo motivo, si ritiene che la notifica sia stata correttamente eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c.; l’atto di riassunzione, infatti, veniva notificato al S. quale socio unico della società in liquidazione, presso la propria residenza anagrafica, la correttezza della quale veniva attestata da certificato dell’anagrafe del Comune di Brescia. Corretta, pertanto, sarebbe stata la dichiarazione di contumacia dello stesso. In ogni caso, si sottolinea come, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, l’eventuale mancata notifica del ricorso per riassunzione non sia causa di rimessione al primo giudice.

In ordine al secondo motivo, nel ribadire che lo stesso sarebbe inammissibile, risolvendosi nella richiesta di una rinnovata valutazione delle risultanze probatorie di causa, si ribadisce che l’apprezzamento operato dalla Corte territoriale risulterebbe del tutto corretto, avendo essa valutato il vero interesse sostanziale dell’appellante, essendo, viceversa, gli altri interessi, individuati nell’odierno atto di impugnazione, soltanto strumentali e secondari.

Circa, invece, il terzo motivo, l’inammissibilità è dedotta ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., ricorrendo, nella specie, l’ipotesi della cosiddetta “doppia conforme di merito”.

Infine, il quarto, il quinto, il sesto motivo e settimo motivo di ricorso sarebbero non fondati, risultando la motivazione della Corte territoriale del tutto logica e coerente, e, comunque, risolvendosi le censure in un tentativo di provocare una diversa valutazione delle risultanze istruttorie.

5. Con successiva memoria, la controricorrente ha ribadito le medesime considerazioni già svolte, non senza, però, produrre – agli effetti di cui all’art. 372 c.p.c. – una sopravvenuta ordinanza del Tribunale di Brescia che ha rigettato il ricorso, ex art. 669-octies, comma 2 e art. 669-novies, commi 1 e 2, proposto dal S. quale liquidatore e socio unico della cessata società San Guglielmo. Con lo stesso, in particolare, si chiedeva di dichiarare che il provvedimento cautelare di concessione del sequestro giudiziario fosse divenuto inefficace. Sul punto, il Tribunale di Brescia ha osservato che il termine perentorio di sessanta giorni per l’instaurazione del giudizio di merito non può ritenersi violato, visto che – nel caso di specie l’ordinanza di concessione del sequestro risultava emessa fuori udienza, di talchè il termine “de quo” decorreva dalla sua comunicazione. Orbene, poichè nella specie l’ordinanza di concessione del sequestro risulta depositata in cancelleria in data 8 gennaio 2011, per ciò solo instaurazione del giudizio di merito – avvenuta il successivo marzo – deve considerarsi tempestiva, essendo intervenuta entro il 59 giorno successivo alla comunicazione, non potendo essere avvenuta prima dell’8 gennaio.

6. Già fissata adunanza camerale del 24 maggio 2019 (in vista della quale, come detto, le parti presentavano memoria, ex art. 380-bis 1. c.p.c.), l’esame del presente ricorso veniva rinviato in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso va accolto, nei termini di seguito meglio precisati.

7.1. Il primo motivo è fondato.

7.1.1. Al riguardo, occorre muovere dalla constatazione che la nullità della notificazione dell’atto di riassunzione del giudizio di primo grado risulta attestata dalla stessa sentenza impugnata, sicchè – in difetto di ricorso incidentale condizionato da parte della società (OMISSIS) – deve ritenersi formato, sul punto, un giudicato interno.

Ciò detto, è errata la decisione del giudice di appello di non trarre, quale conseguenza della riconosciuta nullità, la rimessione degli atti al primo giudice, ex art. 354 c.p.c., comma 1.

Nella specie, quella denunciata – e riconosciuta dalla stessa Corte territoriale – è, come detto, un’ipotesi di nullità non dell’atto di riassunzione, ma della notificazione dello stesso.

Si tratta di una distinzione rilevante, proprio alla stregua dei principi enunciati nell’arresto delle Sezioni Unite richiamato dalla sentenza impugnata.

Infatti, se “la nullità degli atti successivi alla interruzione del processo, conseguente alla irregolare riassunzione del medesimo, non rientra tra i casi nei quali il giudice di appello, riconoscendo una nullità del processo di primo grado deve rimettere la causa al primo giudice, per cui lo stesso deve trattenere la causa e deciderla nel merito, in virtù della conversione dei vizi della sentenza di primo grado in motivi di gravame” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 19 maggio 2008, n. 12644, Rv. 603269-01, nello stesso senso anche, Cass. Sez. 2, sent. 23 giugno 2006, n. 14650, Rv. 590455), da tale ipotesi va, tuttavia, distinto il “caso di nullità della notifica dell’atto di riassunzione tempestivamente depositato, per il quale è necessario disporre la rinnovazione della notificazione stessa”, caso nel quale “si deve dar luogo al rinvio della causa al primo giudice, in applicazione analogica dell’art. 354 c.p.c.” (così, nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. n. 12644 del 2008, cit.; nello stesso senso Cass. Sez. 2, sent. 18 marzo 1999, n. 2481, Rv. 524264-01).

Dunque, come già chiarito – da tempo – da questa Corte, la regola della rimessione al primo giudice trova applicazione per tutte “le violazioni che attengono allo strumento destinato a dare attuazione al principio “audiatur et altera pars”, e cioè alla notificazione della citazione introduttiva e di tutti glì altri atti rivolti alla stessa finalità di provocare, anche nel corso del procedimento, la costituzione delle parti”, ricorrendo, tipicamente, “una tale ipotesi nel caso di riassunzione del processo, dopo un evento interruttivo” (sul punto si veda anche Cass. Sez. 2, sent. 13 marzo 1964, n. 547, Rv. 300728-01).

Nel caso che occupa, pertanto, essendo il S. – all’esito della riassunzione – rimasto contumace innanzi al Tribunale, e risultado “nullo il relativo grado di giudizio”, il “giudice di appello” (e, “in mancanza, la Corte di Cassazione”), è tenuto “a rimettere le parti dinanzi al primo giudice”, (vedi Cass. Sez. 2, sent. 2481 del 1999, cit.), non ricorrendo l’ipotesi della costituzione, e dunque della sanatoria della nullità per avvenuto raggiungimento dello scopo, del resto sancita – per la notificazione – dal combinato disposto dell’art. 160 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 3.

7.2. L’accoglimento del primo motivo comporta, in uno con l’assorbimento degli altri, la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio – ex art. 383 c.p.c., comma 3 – al Tribunale di Brescia, in persona di diverso giudice, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti i restanti, e cassa, per l’effetto, la sentenza impugnata, rinviando – ex art. 383 c.p.c., comma 3 – al Tribunale di Brescia, in persona di diverso giudice, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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