Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13858 del 31/05/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 13858 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: GIUSTI ALBERTO

compensi
professionali

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AMATO Avv. Emiliano, rappresentato e difeso, in forza di
procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Bruno
Capponi, elettivamente domiciliato nello studio di
quest’ultimo in Roma (studio legale Capponi e Di Falco),
largo Antonio Sarti, n. 4;
– ricorrente contro
COMUNE DI POMEZIA, in persona del sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a
margine del controricorso, dall’Avv. Giorgio Di Micco,
elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. Enrica
Bastoni in Roma, circonvallazione Clodia, n. 80;

Data pubblicazione: 31/05/2013

- controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n.
3241 del 18 luglio 2011.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza

Dott. Alberto Giusti;
udito l’Avv. Bruno Capponi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
l. –

Con sentenza pubblicata in data 22 ottobre

2007, il Tribunale di Roma – decidendo sulla opposizione
a decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dall’Avv. Emiliano Amato per euro 86.588,43, oltre interessi e spese, nei confronti del Comune di Pomezia a titolo di compensi professionali nello svolgimento dell’incarico di
assistenza e rappresentanza dell’ente locale dinanzi al
Consiglio di Stato – ha revocato il decreto opposto e ha
condannato l’opponente Comune al pagamento, in favore
dell’opposto, della minore somma complessiva di euro
45.799,55, a titolo di onorari, competenze e spese imponibili, oltre ad euro 3.700 a titolo risarcitorio ed accessori, ponendo a carico dell’ente locale il 70% delle
spese processuali, compensate per la restante parte.

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pubblica del 16 aprile 2013 dal Consigliere relatore

2. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa
pubblica mediante deposito in cancelleria il 18 luglio
2011, ha respinto sia il gravame principale dell’Avv.
Amato, sia il gravame incidentale del Comune, compensan-

2.1. – Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale ha rilevato:
– che il parere dell’associazione professionale è vincolante soltanto per la pronuncia del decreto ingiuntivo e
non anche nel giudizio di opposizione, non inducendo a
contraria soluzione la circostanza che il Comune, prima
dell’instaurazione del giudizio, abbia richiesto la produzione di tale parere al fine di provvedere alla liquidazione delle giuste pretese dell’avvocato;
– che il rapporto professionale tra l’Avv. Amato ed il
Comune è cessato alla data di rinuncia al mandato, nel
maggio 2004, con conseguente impossibilità di liquidare
gli onorari di difensore alla luce della tariffa professionale approvata con il d.m. 8 aprile 2004, n. 127, entrata in vigore successivamente, il 2 giugno 2004;
– che non sono applicabili gli interessi moratori di cui
al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi
di pagamento nelle transazioni commerciali).

do tra le parti le spese del grado.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte
d’appello l’Avv. Amato ha proposto ricorso, con atto notificato il 20 dicembre 2011, sulla base di sei motivi.
Il Comune ha resistito con controricorso.

tato una memoria illustrativa.
Motivi della decisione
l. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1965 e 1349 cod. civ., nonché
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
un fatto decisivo) ci si duole che la Corte d’appello
abbia escluso la sussistenza di un accordo tra le parti
avente ad oggetto la condivisa determinazione
dell’ammontare del corrispettivo per le prestazioni professionali rese, accordo condizionato al verificarsi
dell’evento che le parcelle fossero vistate dal competente Ordine degli avvocati. Rivolgendosi al Consiglio
dell’ordine, l’Avv. Amato non avrebbe fatto altro che
consentire che la condizione dell’ottenimento del visto
si avverasse: sicché, una volta ottenuto il visto, il
Comune era vincolato alla sua stessa volontà, chiaramente e ripetutamente espressa in forma scritta come in generale imposto per le manifestazioni di volontà da parte
delle pubbliche amministrazioni.
1.1. – Il motivo è infondato.

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In prossimità dell’udienza il ricorrente ha deposi-

La Corte d’appello ha preso in esame le note del
giugno e del luglio 2004, con le quali il Comune di Poinezia aveva richiesto all’Avv. Amato, “al fine di provvedere alla liquidazione delle giuste pretese”, di pro-

stati dal competente Ordine degli avvocati”; e – con
congruo e motivato apprezzamento di tale documentazione
– ha escluso che con essa il Comune abbia manifestato la
volontà di aderire incondizionatamente alle determinazioni del Consiglio dell’ordine o si sia impegnato a liquidare senz’altro all’Avv. Amato quanto portato dal
preavviso di parcella munita del visto di congruità, con
ciò negando che tra le parti, fuori e prima del giudizio, si sia formato un accordo contrattuale in tal sen-

s o.
Sotto questo profilo, il motivo di ricorso – che
assegna a quella documentazione un significato diverso,
e cioè che il Comune avrebbe richiesto la rimessione ad
un terzo super partes, particolarmente autorevole e competente nella materia, la determinazione del giusto compenso da liquidare – si risolve, anche là dove prospetta
la violazione e la falsa applicazione di norme di legge,
nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione
di risultanze di fatto ponderatamente apprezzate dal
giudice del merito.

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porre specifici progetti di parcella “regolarmente vi-

2. – Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 85 cod. proc. civ. e del d.m. n.
127 del 2004, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Con esso il ricorrente lamenta che la

abbia ritenuto che il momento di cessazione
dell’incarico professionale dovesse essere individuato
in quello in cui il professionista aveva rinunciato al
mandato, senza considerare che, successivamente alla rinuncia (nonché alla data di entrata in vigore della nuova tariffa), l’Avv. Amato ha partecipato all’udienza del
6 luglio 2004 in esecuzione del mandato in regime di
prorogati°.

La rinuncia al mandato non sarebbe che

l’atto iniziale di una serie a formazione progressiva
che si completa soltanto con la nomina, da parte del
cliente, di un nuovo difensore, sicché, fino a quel momento, nei rapporti tra professionista e cliente il mandato è perfettamente valido perché la rinuncia non ha
effetto, essendo dovere del rinunciante compiere atti
nell’interesse della parte perché il rapporto professionale perdura fino alla sostituzione con altro procuratore.
2.1. – Il motivo è infondato.
Il giudice del merito ha ritenuto che il mandato
professionale sia venuto meno istantaneamente al momento

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sentenza, al fine di determinare la tariffa applicabile,

della comunicazione al cliente della rinuncia da parte
del difensore. Così decidendo, la Corte territoriale ha
fatto applicazione del principio secondo cui il difensore che abbia rinunciato al mandato, mentre conserva, fi-

gli atti indirizzati dalla controparte al suo assistito,
non è più legittimato a compiere atti nell’interesse del
mandante, atteso che la rinuncia ha pieno effetto tra il
cliente ed il difensore e determina il venir meno del
rapporto di prestazione d’opera intellettuale instauratosi con il cosiddetto contratto di patrocinio (Cass.,
Sez. Il, 13 febbraio 1996, n. 1085). E, da questo principio, ha fatto discendere la conseguenza che, mentre
per la circoscritta attività di ricevimento degli atti
spettano al difensore non sostituito i diritti di procuratore in base alle tariffe vigenti al momento dei singoli atti, gli onorari di avvocato, invece, competono
allo stesso in base alla tariffa in vigore al momento
della rinuncia, a nulla rilevando che dopo la cessazione
dell’incarico sia intervenuta altra tariffa professionale.
D’altra parte, non vi è prova che, successivamente
alla comunicazione della rinuncia, l’Avv. Amato abbia
continuato a svolgere attività di difesa attiva
nell’interesse del cliente, giacché – come emerge dalla

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no alla sua sostituzione, la legittimazione a ricevere

sentenza impugnata – all’udienza del 6 luglio 2004 (successiva all’entrata in vigore delle nuove tariffe professionali) l’Avv. Amato è intervenuto esclusivamente
per formalizzare, nell’ambito processuale, la già avve-

3. -Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e ss. cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) il
ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia confermato l’arbitraria decurtazione delle spese spettanti
all’Avv. Amato per l’ottenimento del parere di congruità
richiesto dal Comune.
3.1. – La censura è infondata, perché la decurtazione del quantum delle spese sostenute dall’Avv. Amato
per l’ottenimento del parere di congruità è stata correttamente operata in ragione della corrispondente riduzione, compiuta dal Tribunale, della parcella che il
Consiglio dell’ordine degli avvocati aveva vistato. E
questa decurtazione non cessa di essere legittima per il
solo fatto che lo stesso ente pubblico avesse sollecitato l’acquisizione preventiva di tale visto.
4. – Con il quarto mezzo ci si duole del mancato
riconoscimento, da parte della sentenza impugnata, degli
interessi moratori previsti dal d.lgs. n. 231 del 2002

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nuta rinuncia al mandato.

contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
4.1. – Il motivo è inammissibile.
Alla base del mancato riconoscimento degli interes-

nella sentenza Impugnata, tre

rationes decidendl,

cia-

scuna delle quali idonea a sostenere la decisione adottata: (a) l’una, secondo cui il rapporto di prestazione
d’opera professionale intercorso tra il Comune di Pomezia ed il professionista non può essere ricondotto sic
et

simpliciter

al concetto di transazione commerciale

previsto dal citato decreto legislativo; (b) l’altra,
con evidente richiamo all’art. 3 dello stesso d.lgs.,
per la quale il ritardo nel pagamento del prezzo è stato
determinato da causa non imputabile al Comune, stante
“la sproporzione tra l’attività svolta dal professionista ed i compensi richiesti, sproporzione affermata nella stessa sentenza Impugnata, che ha revocato il decreto
ingiuntivo emesso sulla base della parcella del professionista”; (c) la terza, secondo cui il riconoscimento
degli interessi ex d.lgs. n. 231 del 2002 si risolverebbe in una inammissibile duplicazione del danno determinato dall’inadempimento, giacché all’Avv. Amato è già
stato liquidato il maggior danno ex art. 1224 cod. civ.

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si moratori ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2002 vi sono,

Ora, mentre la prima ratio decidendl è idoneamente
censurata dal ricorrente (con la pertinente sottolineatura, alla stregua della formulazione letterale degli
artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 231 del 2002, che la discipli-

merciali si applica anche ai contratti d’opera professionale tra l’avvocato e l’ente pubblico territoriale);
altrettanto non lo sono la seconda e la terza ratio.
Con riguardo a queste, infatti, il ricorrente si
limita a osservare criticamente che “la motivazione della Corte d’appello fa sorridere”, perché il Comune avrebbe “sviluppato una strategia di tale resistenza in
mala fede che, nonostante la sentenza di primo grado
provvisoriamente esecutiva

ex lege,

ad oggi nulla ha

versato all’Avv. Amato”; ma non si confronta adeguatamente con il rilievo, a base della sentenza impugnata,
che non vi è ritardo imputabile nel pagamento del prezzo
là dove, come nella specie, i compensi richiesti e la
somma ingiunta siano sproporzionatamente superiori a
quanto dovuto, e che, una volta riconosciuto il maggior
danno oltre gli interessi legali, non può esservi cumulo
con gli interessi moratori ex d.lgs. n. 231 del 2002.
Trova pertanto applicazione, per ritenere inammissibile il motivo, il principio per cui, nel caso in cui
la decisione impugnata sia fondata su una pluralità di

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na contro i ritardi di pagamento nelle transazioni com-

ragioni, tra di loro distinte e tutte autonomamente sufficienti a sorreggerla sul piano logico-giuridico, è necessario, affinché si giunga alla cassazione della pronuncia, che il ricorso si rivolga idoneamente contro

gioni non ritualmente censurate sortirebbero l’effetto
di mantenere ferma la decisione basata su di esse
(Cass., Sez. Il, 20 novembre 2009, n. 24540; Cass., Sez.
lav., 11 febbraio 2011, n. 3386).
5. – Il quinto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 96 cod. proc. civ., anche sotto il profilo del vizio di motivazione) censura il mancato riconoscimento della lite temeraria. La Corte d’appello non
avrebbe considerato che l’atteggiamento del Comune di
Pomezia – tanto nella fase pre-processuale (con la richiesta del parere di congruità quale condizione, poi
disattesa, per il pagamento delle parcelle), quanto nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo (con la proposizione di eccezioni palesemente infondate e pretestuose) – mirava esclusivamente a procrastinare il pagamento di quanto dovuto all’Avv. Amato.
5.1. – Il motivo è destituito di fondamento, perché, come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata,
la sussistenza dell’ipotesi di lite temeraria è esclusa

ciascuna di queste, in quanto, in caso contrario, le ra-

dallo stesso esito del giudizio, che ha parzialmente accolto le ragioni dell’opponente.
6. – Con il sesto mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., anche sotto il

tivazione) il ricorrente, nel denunciare che la Corte
d’appello abbia confermato la statuizione di primo grado
di parziale compensazione delle spese, rileva che nella
specie mancherebbero tanto la soccombenza reciproca
quanto i giusti motivi richiesti dalla norma del codice
di rito.
6.1. – La censura è infondata.
In relazione alla valutazione della ricorrenza di
un caso di reciproca soccombenza, la Corte d’appello,
nel confermare la sentenza del Tribunale, si è conformata al principio secondo cui la nozione di soccombenza
reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.), riguarda anche il caso
dell’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta,
allorché la parzialità dell’accoglimento sia meramente
quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo (Cass., Sez. III, 21 ottobre 2009, n. 22381).
Occorre, altresì, rimarcare

che, in via generale,

in tema di spese processuali, soltanto la parte intera-

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profilo dell’omessa, insufficiente e contraddittoria mo-

mente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per
una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre qualora ricorra la soccombenza reciproca è rimesso
all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabi-

ra debba farsi luogo a compensazione.
7. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cessazione, liquidate come
da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Comune controricorrente, che liquida in complessivi euro
1.600, di cui euro 1.500 per compensi, oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cessazione,
il 16 aprile 2013.

le in sede di legittimità, decidere se ed in quale misu-

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