Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13858 del 23/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 23/06/2011), n.13858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17220-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

BASILI SANITARI DI BASILI MASSIMO & C. SAS (OMISSIS) in Persona

del legale rappresentante pro tempore, B.M.

(OMISSIS), B.C. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA L. CALAMATTA 16, presso lo studio

dell’avvocato FABBRI RAFFAELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato

FORTUNA ALESSANDRO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 101/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA del 7/05/08, depositata il 26/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato Fortuna Alessandro, difensore dei controricorrenti

che si riporta al controricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA che nulla

osserva.

Fatto

LA CORTE

rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. , è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:

“Con sentenza depositata il 26.5.08 la Commissione Tributaria Regionale di Roma ha respinto l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate, Ufficio di Viterbo, avverso la sentenza di primo grado che, in accoglimento dei ricorsi della società Basili sanitari sas di Basili Massimo & C. e dai relativi soci (proposti separatamente e riuniti dal primo giudice), aveva annullato gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società per IVA 1996 e ILOR 1996 e 1997 e nei confronti dei soci per IRPEF 1996 e 1997.

L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione sulla base di due motivi, corredati di idonei quesiti ed entrambi riferiti alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 61 e 36 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4; la difesa erariale deduce la nullità della sentenza impugnata sia per mancata esposizione dello svolgimento del processo, sia per mancata esposizione dei motivi della decisione.

I contribuenti resistono con controricorso, deducendo preliminarmente la carenza di legittimazione attiva dell’Agenzia delle entrate e, nel merito, svolgendo le seguenti deduzioni:

1) la sentenza gravata, avendo deciso nel merito, sarebbe stata ricorribile per cassazione per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ma non per il motivo di cui allo stesso art. 360 c.p.c., n. 4;

2) la doglianza relativa alla mancata esposizione dello svolgimento del processo sarebbe infondata per il disposto dell’art. 156 c.p.c., avendo la sentenza impugnata raggiunto il suo scopo;

3) la doglianza relativa alla mancata esposizione delle ragioni della decisione sarebbe infondata – oltre che, pur essa, per il raggiungimento dello scopo della sentenza – perchè, nella specie, l’appello si risolveva in una mera reiterazione delle argomentazioni svolte dall’Agenzia delle entrate in primo grado e respinta dalla Commissione Tributaria Provinciale.

Preliminarmente appare da disattendere l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’Agenzia delle Entrate, argomentata dai contro ricorrenti sull’assunto che l’Ufficio impositore potrebbe stare in giudizio solo in sede di merito, mentre nel giudizio di cassazione sarebbe sfornito di capacità processuale (dal che discenderebbe la conclusione, peraltro non esplicitata nel controricorso, che la legittimazione a stare in giudizio in sede di legittimità competerebbe al Ministero dell’Economia). E’ infatti costante insegnamento di questa Corte che VA seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia; tale legittimazione costituisce infatti il riflesso, sul piano processuale, della separazione tra la titolarità dell’obbligazione tributaria, tuttora riservata allo Stato, e l’esercizio dei poteri statali in materia d’imposizione fiscale, il cui trasferimento all’Agenzia, previsto dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57 esula dallo schema del rapporto organico, non essendo l’Agenzia un organo dello Stato, sia pure dotato di personalità giuridica, ma un distinto soggetto di diritto. Ai sensi del D.Lgs. n. 300, art. 72 l’Agenzia ha facoltà di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, il quale, in assenza di una specifica disposizione normativa, dev’essere richiesto in riferimento ai singoli procedimenti – anche se non è necessaria una specifica procura -, non essendo a tal fine sufficiente l’eventuale conclusione di convenzioni a contenuto generale tra l’Agenzia e l’Avvocatura.

L’assunzione in via esclusiva da parte dell’Agenzia della gestione del contenzioso nelle fasi di merito, già attribuita dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 ed 11 agli uffici periferici del Dipartimento delle entrate, comporta inoltre che, nei procedimenti introdotti anteriormente al 1 gennaio 2001, nei quali l’ufficio non abbia richiesto il patrocinio dell’Avvocatura, spetta all’Agenzia l’esercizio di tutti i poteri processuali, ivi compresi quelli di disposizione del diritto controverso e del rapporto processuale, con la conseguenza che la proposizione dell’appello da parte della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo. Per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle finanze, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11 la nuova realtà ordinamentale, caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell’Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente invece di ritenere che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato.” Così Cass. SS.UU. 3116 del 2006, a cui si è compattamente uniformata la giurisprudenza successiva.

Nessun dubbio può quindi sussistere sulla legittimazione al ricorso dell’Agenzia delle Entrate, in persona del suo Direttore p.t..

Nel merito, si osserva i due motivi di ricorso sono da trattare congiuntamente, in quanto intimamente connessi. Per quanto concerne la censura relativa all’omessa esposizione dello svolgimento del processo, si deve rilevare che nella sentenza impugnata non sono indicati nè i fatti e gli argomenti giuridici posti a fondamento degli atti impositivi impugnati e delle contestazioni dei contribuenti, nè le argomentazioni della sentenza di primo grado e le doglianze dell’appellante, cosicchè risulta impossibile individuare il thema decidendum. Per quanto concerne la censura relativa all’omessa esposizione dei motivi della decisione, è sufficiente la semplice lettura della parte motiva della sentenza impugnata (“La Commissione, nel valutare la controversia non trova elementi innovativi tali da portare ad una modifica della sentenza già emanata, sentenza che nelle motivazioni ben chiarisce i presupposti a base della stessa, motivazioni che si intendono integralmente riportate nel presente giudizio”) per rilevare che la motivazione è meramente apparente, perchè dalla stessa non emerge se, e secondo quale iter argomentativo, la Commissione Tributaria Regionale abbia valutato criticamente il provvedimento censurato e le censure proposte dall’appellante.

La sentenza va quindi giudicata nulla per difetto dei requisiti di forma di cui ai del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, nn. 2 e 4 e art. 32 c.p.c., (applicabile alla sentenza di secondo grado per il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61) e all’art. 118 disp. att. c.p.c. (applicabile al rito tributario in forza del generale rinvio operato dall’art. 1, comma 2, del citato Decreto Delegato), perchè risulta completamente priva sia della esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, sia della illustrazione dei motivi di diritto della decisione, con conseguente impossibilità di individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (vedi, in argomento, le sentenze di questa Corte nn. 3547/2002, 13990/2003, 25138/2005, 1573/2007).

Nè tali conclusioni possono ritenersi impedite dai rilievi del controricorrente.

Il primo rilievo – secondo cui la sentenza in esame non sarebbe stata impugnabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè non si è limitata a dichiarare l’inammissibilità dell’appello, ma lo ha rigettato – è sfornito di qualunque ancoraggio normativo.

Il secondo e il terzo rilievo sono infondati, perchè la sentenza non ha raggiunto il proprio scopo di illustrare il percorso logico- argomentativo che ha condotto alla decisione. Nè, d’altra parte, risulta pertinente al caso in esame il richiamo del contro ricorrente al principio giurisprudenziale secondo cui – allorquando l’atto di appello si risolva nella reiterazione di argomentazioni già motivatamente disattese in primo grado il requisito della motivazione di cui all’art. 132 c.p.c., nn. 4 e 5 epe viene soddisfatto anche dalla semplice condivisione delle osservazione del primo giudice da parte del giudice del gravame (cfr. Cass. 132 92/2000, Cass. 11139/2006). Tale principio, infatti, non afferma che, quando l’appello si risolva nella reiterazione di argomenti già dibattuti e decisi in primo grado, il giudice di appello è sollevato dall’onere della motivazione, ma afferma che detto onere può essere soddisfatto senza dover necessariamente ricorrere ad argomenti diversi da quelli del primo giudice, essendo all’uopo sufficiente l’adesione a tali argomenti all’esito della illustrazione (del tutto assente nella sentenza oggi in esame) del tema di lite, degli argomenti del primo giudice e del contenuto delle doglianze dell’appellante.

In conclusione, si ritiene che il procedimento possa essere definito in camera di consiglio, con la declaratoria di manifesta fondatezza, nei termini di cui sopra, dei relativi motivi”.

Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata all’avvocato del ricorrente;

che il resistente si è costituito in sede di legittimità ed è comparso all’adunanza della Corte.

Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide le argomentazioni esposte nella relazione;

che pertanto, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso va accolto, in quanto manifestamente fondato, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale di Roma, che regolerà anche le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Roma, che regolerà anche le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2011

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