Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13858 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 07/07/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 07/07/2016), n.13858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23184/2010 proposto da:

GRUPPO TUCCERI S.R.L., (c.f. (OMISSIS)), già GRUPPO TUCCERI

S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 11, presso

l’avvocato ALDO PINTO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANNA PINTO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, già COMUNE DI ROMA (c.f. (OMISSIS)), in persona

del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, Via DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso l’AVVOCATURA DI ROMA

CAPITALE, rappresentata e difesa dall’avvocato PIER LUDOVICO

PATRIARCA, giusta procura speciale autenticata dal Vice Segretario

Generale MARIAROSA TURCHI il 26.4.2016;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1496/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato PINTO ALDO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato PATRIARCA PIER LUDOVICO

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.n.c. Tucceri, poi divenuta s.p.a., esercente attività di commercio di prodotti petroliferi, conveniva in giudizio il comune di Roma lamentando l’illegittimità di alcune misure della viabilità urbana, e segnatamente dell’apposizione di una barriera spartitraffico tra la (OMISSIS), negativamente incidente sul diritto di essa attrice di fare uso della pubblica via secondo le proprie esigenze imprenditoriali.

Formulava domande di rimozione delle opere e di condanna generica al risarcimento dei danni.

Nella resistenza del comune, l’adito tribunale di Roma rigettava la pretesa.

La corte d’appello di Roma ha per la quasi totalità respinto il gravame della società, reputando inammissibile per genericità una prima censura di presunta violazione dell’art. 112 c.p.c. e in ogni caso confermando l’infondatezza della pretesa nel merito, atteso che nessun impedimento era stato frapposto a che la società, con propri veicoli, potesse entrare o uscire dalla proprietà e posto che non era da configurare un diritto soggettivo all’uso della strada pubblica in conformità all’anteriore condizione di viabilità.

Ha del resto osservato che, prima della barriera spartitraffico, l’impiego di veicoli di rilevanti dimensioni aveva indotto la società a eseguire manovre in entrata e in uscita, tra (OMISSIS), con indebito superamento della linea di mezzeria e invasione della semicarreggiata opposta.

Il gravame è stato accolto nella sola parte concernente la sorte delle spese di un supplemento di c.t.u., infine compensate in ragione di 1/2.

Contro la sentenza, depositata il 12-4-2010 e non notificata, ha proposto ricorso la s.r.l. Gruppo Tucceri, già s.p.a., affidandosi a quattro motivi ai quali il comune di Roma ha replicato con controricorso.

La ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Relativamente alla dichiarata inammissibilità del corrispondente motivo di appello, la società deduce, col primo mezzo, violazione dell’art. 112 c.p.c., motivazione apparente, violazione e falsa applicazione degli artt. 342, 163 c.p.c. e segg., artt. 1362, 1363 e 1367 c.c..

Lamenta che la sentenza non abbia minimamente precisato a quale ipotesi di inammissibilità aveva inteso riferire il vizio riscontrato, e ribadisce che in appello era stato ascritto al giudice di primo grado di aver erroneamente sollevato eccezioni d’ufficio.

2. – Il motivo è inammissibile perchè non coerente con la funzione sostitutiva della sentenza d’appello.

Si sostiene che la doglianza era stata specificamente riferita al fatto che il tribunale aveva respinto le domande perchè le concessioni, autorizzazioni e licenze richiamate dall’attrice non erano riferibili all’uso della pubblica via, ma all’esercizio dell’attività imprenditoriale. In tal modo il tribunale aveva violato l’art. 112 c.p.c., perchè aveva deciso la causa in base a un argomento diverso da quello – il difetto di giurisdizione –

unicamente avanzato dal comune per resistere in giudizio.

La corte d’appello ha reputato inammissibile la censura perchè generica, e di ciò si duole la ricorrente.

Ma è evidente l’errore concettuale al fondo della doglianza, dal momento che, ove dinanzi al giudice d’appello sia stata fatta valere la presunta invalidità della sentenza di primo grado per violazione di norma processuale commessa in fase decisoria, il giudice superiore deve occuparsi dell’anteriore dedotto vizio di attività nell’ottica rimediale propria dell’appello.

Se il vizio che ha determinato la nullità della sentenza si è verificato in fase decisoria, il giudice d’appello deve semplicemente pronunciare sentenza di merito sostittiva di quella viziata, non ricorrendo alcuno dei casi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c..

Poichè l’impugnata sentenza ha appunto esaminato e infine deciso il merito della controversia, non ha alcun senso dolersi autonomamente del fatto di avere essa reputato generica la doglianza attinente alla violazione processuale insita nella decisione di primo grado.

Tale decisione è infatti totalmente assorbita in (e interamente sostituita da) quella d’appello.

3. – Il primo motivo è poi anche manifestamente infondato.

La ricorrente sostiene che il giudice d’appello avrebbe errato nel considerare inammissibile la censura di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ascritta al tribunale. E in effetti la corte territoriale ha ritenuto la censura inammissibile perchè l’appellante non aveva dedotto quali eccezioni specifiche erano state sollevate dal primo giudice; sicchè aveva violato l’art. 342 c.p.c..

Nel ricorso si afferma, invece, che la società aveva censurato la prima decisione perchè la domanda era stata respinta in base all’argomentazione secondo cui le autorizzazione prodotte in giudizio erano da riferire all’attività d’impresa anzichè all’uso della via pubblica; argomentazione diversa dal difetto di giurisdizione eccepito dal comune di Roma.

Ma è risolutivo osservare che, anche ciò ammettendo, nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c., potevasi fondatamente dedurre, non essendosi dinanzi a un’eccezione – e men che meno un’eccezione in senso stretto – sebbene a una mera difesa. Per cui l’afferente profilo era rilevabile d’ufficio, attenendo alla prova del fatto costitutivo del diritto vantato.

4. – Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 347 e 112 c.p.c., in relazione al divieto di mutati libelli, nonchè violazione della L. n. 2248 del 1865, artt. 2 e 4, del giudicato interno e dell’art. 832 c.c. e la carenza e contraddittorietà della motivazione.

Si sostiene che il tribunale, sia a mezzo di ordinanza avente valore di sentenza, sia a mezzo della sentenza in senso formale, aveva respinto le domande assumendo che le limitazioni derivanti dall’apposizione di barriere avevano riguardato l’impresa, non l’immobile. La corte d’appello, invece, aveva sostituito a tale motivazione del tribunale l’apodittico rilievo che la società aveva inteso esercitare la propria attività con indebito superamento della linea di mezzeria di (OMISSIS) e violazione del codice della strada; e dunque aveva indebitamente modificato la domanda a fronte del divieto dei nova. Aveva inoltre omesso di considerare che su tutte le restanti questioni si era formato un giudicato interno favorevole all’attrice e che l’apposizione di barriera spartitraffico costituiva attività materiale non sorretta da atti amministrativi.

5. – Col terzo motivo vengono dedotti la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e il vizio di motivazione relativamente alla c.t.u., dal momento che due delle quattro manovre prima eseguibili per uscire dalla proprietà erano state soppresse in ragione dell’impedimento costituito dalla barriera, e dal momento che la realizzazione di codesta era avvenuta senza la preventiva approvazione degli organi competenti e senza adottare misure idonee a evitare il danno.

6. – Infine col quarto motivo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 2043 c.c. e “l’omessa pronuncia e quindi l’omessa motivazione” sul motivo di doglianza col quale era stata eccepita l’esistenza di limiti all’attività della p.a. derivanti dal principio del neminem laedere.

7. – I suddetti motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi.

Essi sono infondati.

La corte d’appello ha confermato la statuizione del tribunale semplicemente argomentando in ordine all’inesistenza di lesioni a diritti soggettivi al mantenimento delle condizioni di viabilità.

E’ quindi inconferente, innanzi tutto, l’insistito rilievo della società circa una presunta violazione del divieto dei nova.

8. – Quanto al merito della critica, va premesso che al comune, quale ente proprietario delle strade urbane (art. 2 C.d.S.), è pacificamente attribuita la potestà di regolamentare la circolazione attraverso gli organi competenti (artt. 5 C.d.S. e segg.) e con ordinanze motivate e rese note al pubblico mediante i prescritti segnali.

Ciò è stabilito ai fini della legittimità delle conseguenti sanzioni amministrative in caso di violazioni al codice della strada.

Tra i compiti dell’ente proprietario (artt. 2 C.d.S. e segg.) vi sono poi quelli di manutenzione, gestione, controllo tecnico e apposizione di segnaletica di cui all’art. 14, in aggiunta a quelli afferenti la predisposizione dei piani urbani del traffico (art. 36). Oggetto della presente controversia era l’apposizione di una barriera spartitraffico, che il comune di Roma aveva apposto in loco in difetto si dice – di un provvedimento di disciplina della circolazione stradale. Invero in questo senso si era espresso il tribunale, e dalla sentenza d’appello non risulta che simile dato di fatto sia stato dal comune posto in ulteriore discussione.

Secondo la ricorrente, l’apposizione della barriera spartitraffico era dunque qualificabile come attività materiale e aveva determinato un’indebita limitazione alle facoltà connesse alla proprietà immobiliare e alla attività d’impresa. Aveva in particolare compromesso il suo diritto (o comunque, se ben si comprende, il suo legittimo interesse) all’uso della strada in conformità della condizione antecedente.

In contrario può osservarsi che quella che enfaticamente viene indicata come materiale è pur sempre un’attività amministrativa rispondente al fine di pubblico interesse. L’apposizione di barriere spartitraffico con funzione di contenimento e protezione delle semicarreggiate costituisce il riflesso di compiti manutentivi, di controllo e di regolamentazione attribuiti agli enti proprietari, in rapporto ai quali è possibile cogliere semmai una contaminazione tra potestà deliberativa e attività esecutiva.

Il privato non può vantare diritti soggettivi con riferimento all’uso della strada pubblica, salvo che tali diritti, ulteriori rispetto all’ordinario interesse all’uso del bene demaniale in conformità alla sua destinazione, spettante a ogni cittadino, gli siano stati eccezionalmente attribuiti in base a specifici provvedimenti di tipo concessorio.

Viene in questione il discrimine che – in diritto amministrativo –

caratterizza i beni pubblici, tra uso generale e uso particolare.

Questo discrimine sta a designare la possibilità di utilizzo cui tutti vengono indiscriminatamente ammessi uti cives e quella che invece spetta, uti singuli, ai beneficiari di specifici provvedimenti di tipo concessorio.

Il transito stradale rientra pacificamente nella prima categoria, cosicchè solo quando un uso particolare (eccezionale) del bene sia stato attribuito al privato, questi può dolersi della successiva compressione di quel diritto a mezzo di un’attività di terzi, ivi compresa la p.a. (cfr. per riferimenti Sez. 2^ n. 17382-05).

Nell’ordinario, invece, il diritto a usare una strada nelle stesse condizioni che la caratterizzavano prima dell’apposizione di una barriera spartitraffico – vale a dire un diritto al mantenimento dello stutus quo ante rispetto alle caratteristiche oggettive della viabilità – non sussiste a prescindere dall’essere quelle caratteristiche mutate per volontà dell’amministrazione espressa da un atto amministrativo o da un’attività esecutiva.

9. – Occorre aggiungere un’ulteriore considerazione. L’attrice, per quel che dalla sentenza si evince, aveva dedotto a fondamento della pretesa una maggiore difficoltà di accesso al proprio fondo, in entrata e in uscita, tra la (OMISSIS).

Ebbene questa circostanza non appare suscettibile di connotare l’interesse di fatto con più feconda qualificazione.

E’ risolutivo che la corte d’appello, con accertamento a essa istituzionalmente riservato, abbia stabilito che nessun impedimento era stato frapposto all’uso ordinario (generale) della strada pubblica e al conseguente accesso in essa o da essa.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e maggiorazione di spese generali nella percentuale di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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