Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13857 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/05/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 20/05/2021), n.13857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21041-2019 proposto da:

P.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BARNABA TORTOLINI, 30, presso lo studio dell’avvocato PLACIDI

STUDIO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI SALVIA;

– ricorrente –

contro

F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO

N. 10/B, presso lo studio dell’avvocato MARIA LAVIENSI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO ARANEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 85/2019 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 04/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata dell’11/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte di appello di Potenza con la sentenza n. 85/2019, riformando la decisione del primo giudice, aveva ritenuto non provata l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato tra F.P. e P.P.M. e rigettato la originaria domanda proposta da quest’ultimo anche relativa alla condanna alle differenze retributive asseritamente maturate.

Avverso tale statuizione il P. proponeva ricorso affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso il F..

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di Consiglio.

Entrambe le parti depositavano successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1) Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132 c.p.c., comma 4, per essere, la motivazione, apparente e perplessa.

2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per il travisamento della prova.

I motivi possono essere trattati congiuntamente perchè afferiscono alle ragioni che la corte di appello ha posto a fondamento della decisione.

Pur tenendo in disparte il profilo di carenza di specificazione dei motivi con riguardo alle prove testimoniali (non riportate in ricorso) su cui si focalizzano le censure, deve rilevarsi che la corte territoriale, sulla base delle prove testimoniali raccolte e di cui fornisce riscontro in motivazione, ha escluso che da esse potesse evincersi la prova della subordinazione. In particolare ha rilevato la carenza di prova sulla sottoposizione del P. alle direttive ed al controllo del F., esaminando attentamente quanto dichiarato dai vari testi escussi e valutando non esistenti circostanze di fatto che univocamente rendessero conto dei qualificanti elementi della subordinazione, quali l’espletamento del potere direttivo e di controllo da parte del datore di lavoro.

Gli attuali motivi di doglianza, quindi, mirano a una differente valutazione del materiale probatorio non ammissibile in questa sede di legittimità. Le censure sono pertanto da disattendere.

3) Con il terzo motivo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale il compenso mensile percepito nonchè l’inserimento del P. nella organizzazione aziendale attraverso il contatto con i clienti e l’annotazione degli appuntamenti e delle relative incombenze sulle apposite agende.

Con riguardo alla tipologia del vizio denunciato questa Corte ha avuto modo di chiarire che “In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 17761/2016).

Ha anche specificato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017)

La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poichè determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).

Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio.

Siffatta circostanza non è presente nella censura in esame poichè non è allegata e provata la immediata e diretta causalità tra i fatti omessi e una diversa decisione del giudice. Si tratta, invero, di circostanze la cui decisività non risulta in nessun modo esplicitata e che dunque non incidono sulla valutazione complessivamente adottata circa l’assenza di elementi attestanti la subordinazione.

4) Con ultimo motivo il ricorrente si duole della mancata valutazione, da parte della corte territoriale, della denunciata inammissibilità dell’atto di appello.

Il motivo è inammissibile poichè non soddisfa i requisiti di specificità richiesti, in quanto non contiene l’atto di appello di cui è chiesta la valutazione di inammissibilità e pertanto non consente alla Corte la valutazione richiesta (Cass. n. 14107/2017; Cass. 5478/2018).

Per tutto quanto sopra considerato il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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