Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13857 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 07/07/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 07/07/2016), n.13857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11146/2015 proposto da:

T.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA

18, presso l’avvocato LORENZA DOLFINI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ATTILIO TOPPAN, CLAUDIO CONSOLO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

TO.LU., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO

9, presso l’avvocato MARIO NUZZO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GUIDO ERCOLE MARIA CALLEGARI, VITTORIO

SALA, VINCENZO MARICONDA, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

T.D., L.D., TE.CL.,

TECNOPOLIMERI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 627/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato CLAUDIO CONSOLO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato MARIO NUZZO che ha

chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Monza, con sentenza n. 2628 del 2010, ha accolto la domanda proposta, con atto di citazione notificato il 2 marzo 2009, da To.Lu., il quale aveva chiesto di dichiarare la simulazione della cessione delle proprie quote della società Tecnopolimeri (srl, poi spa), fittiziamente intestate ad altre persone ( L.D., Te.Cl., T.D.) e da queste al convenuto T.L., in data 9 ottobre 2003, con richiesta di condanna di quest’ultimo a rilasciare i certificati azionari e a reintestarli all’attore, che assumeva essere l’unico e il reale titolare delle partecipazioni.

Il gravame di T.L. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza 6 febbraio 2015.

La Corte ha ritenuto che la simulazione dell’atto di cessione del 2003, incompatibile con la intestazione reale prospettata dall’appellante, si desumesse da una controdichiarazione (cd.

“convenzione”), avente valore di piena prova dell’intesa simulatoria, contestualmente sottoscritta (“nella stessa data”) da T.L., nella quale costui aveva riconosciuto che la cessione delle partecipazioni era simulata e che tutti i poteri di gestione della società erano rimasti in capo all’attore che ne era effettivo titolare; inoltre, la Corte ha ritenuto inammissibile la prova testimoniale e presuntiva della simulazione assoluta della medesima convenzione, in quanto assimilabile ai patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, di cui all’art. 2722 c.c., per i quali quella prova non è ammessa.

Avverso questa sentenza T.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, cui si è opposto To.Lu..

Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il sesto motivo di ricorso, T.L. denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1417 e 2722 c.c., art. 2724 c.c., n. 2, artt. 2733 e 2729 c.c. e art. 228 c.p.c., per avere la Corte di merito rigettato l’eccezione di nullità della “convenzione” del 9 ottobre 2003, ritenuta dal ricorrente simulata, dopo avere erroneamente rifiutato sia di ammettere l’articolata prova per testi della simulazione della stessa sia, di conseguenza, di utilizzare le presunzioni, mentre, a suo avviso, la prova era ammissibile, a norma dell’art. 2724 c.c., n. 2, essendo egli “nell’impossibilità morale di procurarsi una prova scritta”, in considerazione del legame familiare e del timore riverenziale che egli nutriva nei confronti di To.Lu.; ulteriore motivo di doglianza riguarda la mancata ammissione dell’interrogatorio formale di To.Lu..

Il settimo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e art. 2722 c.c., per avere dichiarato inammissibili le prove orali, per testi e interrogatorio formale, articolate da T.L., ritenendole precluse per effetto della “convenzione” del 9 ottobre 2003.

Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente e prioritariamente, sono fondati nei termini di cui si dirà ed assorbenti.

Il ricorrente si duole della mancata ammissione dei mezzi istruttori da lui tempestivamente indicati, al fine di dimostrare il carattere simulato della medesima “convenzione” scritta del 9 ottobre 2003, interpretata dai giudici di merito come controdichiarazione, dimostrativa della simulazione dell’atto, in pari data, di cessione delle partecipazioni societarie di To.Lu., in favore di L., Te. e T. D. e, quindi, di T.L..

Secondo la Corte di merito, “l’appellante T.L. ha inteso provare il carattere simulatorio di tale documento solo per testi, in spregio al disposto normativo di cui agli artt. 1417 e 2722 c.c., come correttamente rilevato dal tribunale, che ha dichiarato inammissibili tali istanze istruttorie, avendo ritenuto la convenzione assimilabile ai patti di cui all’art. 2722 c.c.”.

Tuttavia, le limitazioni poste, nei rapporti tra le parti contraenti, dell’art. 1417 c.c., comma 2, ai fini della prova della simulazione del contratto, riguardano soltanto la prova testimoniale e, correlativamente (art. 2729 c.c., comma 2), quella per presunzioni, ma non quella per interrogatorio formale, che può essere ammessa anche quando il negozio del quale deve essere accertata la simulazione sia stato concluso per atto scritto, sempre che non si tratti di forma ad substantiam o ad probationem, non richiesta (nei rapporti tra le parti) per il trasferimento di quote di partecipazione societaria (Cass. n. 25468/2010, 23203/2013). Infatti, la confessione ha carattere di piena prova legale e non esiste, per questa, una disposizione corrispondente a quella della simulazione, trattandosi, nel caso di specie, non di accertare un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, ma di dimostrare la simulazione assoluta del contratto, al fine di ricercare la verità reale contro quella formale risultante dall’atto scritto (v. Cass. n. 6160/1979, 5490/1980 e, in motiv., 17601/2015). Questa Corte ha anche precisato che, attraverso le risposte date dall’interessato in sede di interrogatorio, può essere utilmente acquisita sia la prova piena della simulazione, in caso di confessione piena e completa, sia un principio di prova, se le risposte sono tali da rendere verosimile la simulazione, con la conseguenza di rendere ammissibile la prova testimoniale, a norma dell’art. 2724 c.c., n. 1 (Cass. n. 3999/1969, n. 3521/1968).

La Corte di merito, non solo, ha ignorato la tempestiva istanza di ammissione dell’interrogatorio formale articolata da T.L. (nel giudizio di primo grado e in appello), ma è venuta meno anche al dovere di valutare, in concreto, l’ammissibilità della prova testimoniale richiesta dalla medesima parte, che aveva specificamente affermato di trovarsi nella condizione, prevista dall’art. 2722 c.c., n. 2, di “impossibilità morale di procurarsi una prova scritta”, a causa dei particolari legami familiari con To.Lu., del forte divario di età e di esperienza tra i due, del timore reverenziale verso il suo autorevole e anziano parente e datore di lavoro ( To.

L.) e del profondo senso di gratitudine nei suoi confronti.

Avere trascurato – com’è dimostrato dalla mancanza di una qualsiasi motivazione sul punto (che è invece necessaria sia in senso positivo che negativo: v. Cass. n. 3999/1969, 1913/1972) – la stessa possibilità di ammettere la prova testimoniale (e, quindi, presuntiva), in deroga al generale divieto, qualora ricorrano le condizioni previste dal citato art. 2724 c.c., n. 2 (in presenza delle quali la prova per testi è ammessa “in ogni caso”), ha determinato la violazione dei menzionati parametri normativi.

Se è vero che per la ricorrenza dell’impossibilità morale di procurarsi la prova scritta di cui alla citata norma non è sufficiente la deduzione di una astratta posizione di preminenza della persona dalla quale la dichiarazione scritta doveva essere pretesa o di un vincolo affettivo con la persona stessa, è pur vero che la valutazione debba sempre essere operata in considerazione del caso concreto e che la circostanza de qua non possa essere negata, ove ricorrano altre speciali e/o particolari circostanze concorrenti a determinare una specifica situazione di oggettivo impedimento psicologico alla richiesta di una dichiarazione siffatta. Non può pretendersi l’allegazione di circostanze ostative assolute, ma è sufficiente, per integrare gli estremi di una situazione d’impossibilità morale, specie ove si verta in tema di rapporti affettivi, l’allegazione di circostanze anche di dettaglio nelle quali un atteggiamento di sospetto e/o sfiducia finirebbe per ingenerare comprensibili risentimenti e motivi di crisi nei rapporti interpersonali; sicchè, in tali ipotesi, l’opera del giudice deve volgersi, con particolare sensibilità, alla valutazione delle circostanze dedotte in relazione sia al tipo di rapporto inter partes, sia alla possibile incidenza di eventi o situazioni particolari (v. Cass. n. 15760/2001, in motiv., richiamata daCass. n. 18554/2013). In conclusione, entrambi i motivi in esame sono accolti, restando assorbiti gli altri, vertenti sull’interpretazione del contenuto e degli effetti delle contestate convenzioni; la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il sesto e settimo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; in relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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