Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13856 del 07/07/2016
Cassazione civile sez. I, 07/07/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 07/07/2016), n.13856
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19909/2011 proposto da:
A.M., (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di erede di
D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
GREGORIO VII 466, presso l’avvocato MARINA FLOCCO, che lo
rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
ITALFONDIARIO S.P.A. (che ha incorporato CASTELLO GESTIONE
CREDITI S.R.L.), nella qualità di mandataria di INTESA SANPAOLO
S.P.A. (denominazione a seguito di fusione per incorporazione del
SANPAOLO IMI S.P.A. in BANCA INTESA S.P.A.), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI 15, presso l’avvocato BENEDETTO
GARGANI, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1805/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 21/04/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
21/04/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato P. BUSCEMI, con delega, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato A. CUVIELLO, con delega,
che ha chiesto l’inammissibilità, in subordine il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE
AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Roma con sentenza del 21 aprile 2011 ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città, la quale aveva respinto l’opposizione a Decreto Ingiuntivo proposta da D.G. contro Intesa Gestione Crediti s.p.a., decreto che recava condanna della stessa, quale fideiussore, al pagamento della somma di Euro 25.887,13.
La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) sono nuove le domande relative all’accertamento dell’assenza dei requisiti del contratto di fideiussione, di nullità, di illiceità dell’oggetto, per violazione del divieto di anatocismo e per il superamento del tasso-soglia, mai proposte in primo grado, così come le istanze istruttorie di esibizione e c.t.u. contabile, per la prima volta avanzate nell’atto di appello; b) la sottoscrizione apposta alla fideiussione non è stata disconosciuta dalla D., onde resta irrilevante l’avvenuto disconoscimento ad opera di altri fideiussori; c) è irrilevante la prova testimoniale dedotta circa l’esistenza di una condizione sospensiva al negozio, posto che dal testo del medesimo tale condizione è esclusa; d) la domanda di annullamento dell’atto per errore è infondata, in mancanza di prova sia della essenzialità, sia della riconoscibilità del medesimo.
Avverso questa sentenza propone ricorso A.M., che si qualifica unico erede della soccombente, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso l’intimata.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 141 del 1938, art. 102 e art. 345 c.p.c., in quanto si tratta di nullità rilevabile d’ufficio, gli estratti di saldaconto non sono prova nel giudizio ordinario, l’anatocismo è illecito, la fideiussione è accessoria ad una obbligazione principale.
Con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 1325, 1346, 1418 c.c. e art. 345 c.p.c., per avere l’appellante soltanto compiuto una emendatio libelli.
Con il terzo motivo, deduce il vizio di motivazione contraddittoria, avendo la corte del merito ritenuto valida la fideiussione per non essere stata disconosciuta la sottoscrizione in calce alla stessa:
invero, la fideiussione diviene “atto illecito” per il disconoscimento operato da altri firmatari; ha, poi, errato la corte del merito nel reputare la fideiussione valida in virtù della clausola “M” della medesima; inoltre, la corte ha ritenuto irrilevante la prova testimoniale articolata, senza prima procedere alla escussione della stessa, con impossibile valutazione prognostica.
Con il quarto motivo, deduce la violazione dell’art. 2909 c.c., avendo la sentenza n. 15121 del 2006 revocato il decreto ingiuntivo, rendendolo inefficace nei confronti di tutti gli ingiunti.
2. – La controricorrente ha eccepito la mancata prova della successione a titolo universale della controparte, che tuttavia è stata dal ricorrente dimostrata in giudizio, onde l’eccezione va disattesa, alla stregua degli insegnamenti di questa Corte (Cass., sez. un., 25 febbraio 2009, n. 4468).
3. – Il primo motivo è inammissibile.
L’articolazione della censura, infatti, non raggiunge il grado minimo di intelligibilità richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove la norma impone la formulazione di “motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”.
4. – Il secondo ed il quarto motivo sono inammissibili, per difetto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, oltre che per non avere articolato il ricorrente la censura a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass., sez. un., n. 17931 del 2013).
Invero, come da questa Corte molte volte chiarito (cfr., fra le altre, Cass. 30 settembre 2015, n. 19410), anche l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale.
5. – Il terzo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
La deduzione del vizio di motivazione concernente la clausola “M” della fideiussione palesa la medesima violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, sopra già richiamato.
Quanto al mancato disconoscimento della sottoscrizione apposta in calce alla fideiussione per cui è causa, la corte del merito ha adeguatamente motivato circa l’efficacia dell’atto; nè è addirittura giuridicamente comprensibile il riferimento, operato dal ricorrente, alla fideiussione quale “atto illecito” per l’avvenuto disconoscimento operato da altri firmatari.
Trascura, infine, il disposto letterale dell’art. 183 c.p.c. –
laddove dispone che il giudice provvede ad ammettere le richieste istruttorie ritenute ammissibili e rilevanti – l’assunto secondo cui la corte del merito non avrebbe potuto giudicare sulla rilevanza dei capitoli di prova testimoniale articolati, se non dopo avere assunto la prova medesima.
6. – Le spese di lite seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016