Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13855 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, (ud. 13/01/2020, dep. 06/07/2020), n.13855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32943/2018 proposto da:

M.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA REGINA

MARGHERITA 192, presso lo studio dell’avvocato ROCCO MELE,

rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLETTA RUGGIERI;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, MA.RO.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 679/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 11/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.I. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 679/18, dell’11 aprile 2018, della Corte di Appello di Bari, che – respingendo il gravame dalla stessa esperito contro la sentenza n. 24/13, del 20 gennaio 2013, del Tribunale di Foggia, sezione distaccata di Cerignola – ha dichiarato l’intervenuta transazione, in sede stragiudiziale, della controversia risarcitoria instaurata dall’odierna ricorrente nei confronti Ma.Ro. e della società Unipolsai Assicurazioni S.p.a. (già Fondiaria SAI S.p.a.).

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere rimasta coinvolta, il giorno 6 novembre 2001, in un incidente stradale occorso nel territorio del Comune di Cerignola, mentre viaggiava, in qualità di terza trasportata, a bordo dell’autovettura di proprietà e condotta da Ma.Ro.. Avendo subito lesioni personali in conseguenza del sinistro, con postumi di invalidità permanente, la M. radicava un giudizio risarcitorio innanzi alla sezione distaccata di Cerignola del Tribunale foggiano, nei confronti sia della Ma. che della società SAI Assicurazioni (poi divenuta Fondiaria SAI e, infine, Unipol Assicurazioni), quale assicuratore per la responsabilità civile auto. Accolta la domanda risarcitoria, quantunque il giudice di prime cure avesse riconosciuto una corresponsabilità della M. nella causazione dei danni da essa subiti, nella misura del 40%, e ciò in relazione al mancato uso della cintura di sicurezza, l’odierna ricorrente proponeva gravame per ottenere la riforma, sul punto, della sentenza impugnata.

Il giudice di appello, tuttavia, rigettava il proposto gravame, sul presupposto, come detto, di una intervenuta transazione stragiudiziale da parte di una difensore diverso da quello che aveva prestato assistenza, in giudizio, alla M..

3. Avverso la decisione della Corte barese ha proposto ricorso per cassazione la M., sulla base di quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – è ipotizzata violazione e falsa applicazione degli artt. 1965,1967 e 1392 c.c..

La sentenza impugnata è censurata laddove, ai fini della dimostrazione della intervenuta transazione stragiudiziale, fa riferimento alla corrispondenza intercorsa fra l’Avv. Audiello ed il legale della società assicuratrice.

Osserva, al riguardo, l’odierna ricorrente di non aver mai rilasciato mandato al predetto Avv. Audiello, essendo stata assistita, nel giudizio di primo grado, da altro difensore, tale Avv. Saverio Battista.

In questo modo, quindi, la Corte barese avrebbe violato gli artt. 1967 e 1392 c.c., in quanto, dovendo il rappresentante concludere un atto negoziale, la transazione, per il quale è prevista sebbene solo “ad probationem” – la forma scritta, anche la relativa procura andava rilasciata con la medesima forma (è citata Cass. Sez. 2, sent. 27 maggio 1982, n. 3217).

D’altra parte, avendo il predetto Avv. Audiello operato quale “falsus procurator”, alla stregua del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (è citata Cass. Sez. Un., sent. 3 giugno 2015, n. 11377), l’assenza di poteri rappresentativi in capo al medesimo avrebbe potuto essere rilevata anche d’ufficio dalla Corte di Appello.

3.2. Il secondo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio ex artt. 1967,1392,1398 e 1399 c.c..

Si censura la sentenza impugnata, in quanto “errata”, nella parte in cui, pur dando atto della mancanza di procura conferita dalla M. all’Avv. Audiello al fine di addivenire ad una soluzione bonaria della controversia, arriva a ritenere transatta e definita la controversia stessa. In particolare, si contesta la sentenza impugnata laddove sostiene che l’odierna ricorrente non avrebbe mai disconosciuto l’operato del legale, nè revocato il mandato conferitogli. In senso contrario, si rileva come l’odierna ricorrente abbia disconosciuto l’operato del legale con fax del 24 gennaio 2014.

3.3. Con il terzo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1388,1392,1398 e 1399 c.c..

Nel rammentare come, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, il negozio concluso dal “falsus procurato,’ deve ritenersi inefficace, salva la possibilità di ratifica, la ricorrente richiama un recente arresto di questa Corte secondo cui, poichè la transazione richiede la forma scritta, seppur solo “ad probationem”, la prova del contratto, sebbene possa essere fornita anche mediante un documento sottoscritto da una sola parte, esige che il consenso dell’altra, anche come mera ratifica tacita, esprima in maniera chiara la volontà di fare proprio il negozio concluso dal falso rappresentante.

Ciò, tuttavia, sarebbe da escludere nel caso di specie, rilevando l’odierna ricorrente, al riguardo, di aver proposto appello fin dal 3 settembre 2013, così dimostrando, fin da subito, la volontà di impugnare la decisione di primo grado.

Inoltre, la M. deduce che, subito dopo il ricevimento della somma da parte della compagnia assicuratrice, con fax del 24 gennaio 2014, essa ebbe ad esprimere la volontà di proseguire il giudizio pendente, affermando che le somme percepite fossero da intendere in acconto alla maggior somma richiesta nel giudizio di appello.

3.4. Il quarto motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio ex artt. 1965 e 1967 c.c..

La sentenza impugnata viene ritenuta errata nella parte in cui ha reputato transatta e definita la controversia, sulla base di quanto risultante dalla già citata corrispondenza intercorsa tra l’Avv. Audiello e il legale della società assicuratrice.

Tuttavia, in particolare dal fax del 10 gennaio 2014, risulta che la somma di Euro 7.700,00 venne accettata dall’odierna ricorrente per le ragioni “di cui al precetto in oggetto”. Quindi, da una lettura più attenta, approfondita e completa della corrispondenza intercorsa tra le parti, la somma non venne accettata – osserva la ricorrente – “a chiusura della controversia e a definizione di ogni avere”, ma “in ragione esclusivamente dell’atto di precetto e della esecutività della sentenza di primo grado”.

4. Sono rimaste intimate sia la Ma. che la società Unipolsai.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso va rigettato.

5.1. “In limine”, va rilevato che i motivi di ricorso secondo e quarto, proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sono da considerare “in radice” non fondati, visto che la Corte barese non ha affatto omesso di esaminare – come, invece, ipotizzato dalla ricorrente – i due fax del 10 e 24 gennaio del 2004, risolvendosi, in definitiva, le censure “de quibus” in una critica della “correttezza” della loro valutazione.

Deve, pertanto, farsi applicazione del principio secondo cui l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4) – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458).

5.2. Anche i motivi primo e terzo non sono fondati.

5.2.1. In relazione ad essi va, innanzitutto, evidenziata l’opportunità di un esame congiunto.

I due motivi, infatti, censurano la sentenza impugnata sul presupposto che, richiedendo il contratto di transazione la forma scritta, ancorchè solo “ad probationem”, e non essendo stato acquisito agli del giudizio il mandato a transigere che la M. conferì all’Avv. Audiello, costui avrebbe agito alla stregua di un “faisus procurator”. Il suo operato, tuttavia, lungi dall’essere “ratificato” dall’odierna ricorrente, sarebbe stato “sconfessato” dal fax del 24 gennaio 2004, con cui ella espresse la volontà di proseguire il giudizio pendente, affermando che gli importi fino ad allora percepiti fossero da intendere solo in acconto alla maggior somma richiesta nel giudizio di appello.

La censura è, però, destituita di fondamento, visto che la sentenza impugnata risulta correttamente motivata.

Osserva, in particolare, la Corte territoriale che dai documenti prodotti in appello dalla compagnia assicuratrice si evince, in maniera inequivocabile, l’intervenuta transazione tra le parti, frutto di una lunga trattativa intrattenuta, per corrispondenza, tra l’Avv. Audiello, procuratore diverso da quello che difese la M. in primo grado, ed il legale della compagnia assicuratrice. In particolare, con raccomandata del 23 settembre 2013, il predetto Avv. Audiello, in virtù di un “espresso e separato mandato”, prendeva contatti con la società assicuratrice. Successivamente, con fax del 9 dicembre 2013, il medesimo procuratore comunicava alla compagnia che la M. era disponibile a definire bonariamente la controversia, per la complessiva somma di Euro 8.000,00; in risposta a tale fax, la società assicuratrice offriva la somma di Euro 6.500,00. Con successiva raccomandata, il predetto procuratore della M., il 16 dicembre 2013, rifiutava tale proposta, dichiarando, tuttavia, che la propria assistita era disponibile a definire la controversia per la complessiva somma di Euro 7.700,00. A seguito di tale controproposta, la compagnia assicuratrice emetteva, in data 23 dicembre 2013, un assegno bancario, in favore della donna, di importo pari a quello oggetto della controproposta ad essa riferibile. A definitiva conferma dell’ormai intervenuta transazione sopravveniva il fax del 10 gennaio 2014, con il quale il predetto Avv. Audiello comunicava che la M. aveva ricevuto la somma concordata di Euro 7.700,00 e che non aveva “più nulla a pretendere”. Solo in data 24 gennaio 2014, il legale che ha assistito la M. nel giudizio di appello comunicava, sia all’Avvocato Audiello che alla società assicuratrice, la volontà della propria assistita di proseguire nel giudizio intrapreso innanzi alla Corte barese. Al riguardo, tuttavia, la sentenza impugnata osserva come, accettato l’assegno bancario, “la M. non poteva – con una manifestazione unilaterale di volontà – revocare e porre nel nulla gli effetti di un contratto di transazione già perfezionato”.

Orbene, proprio la giurisprudenza richiamata dall’odierna ricorrente conferma la correttezza della decisione impugnata.

Difatti, “poichè la transazione richiede la forma scritta unicamente “ad probationem” (salvo quando riguardi uno dei rapporti di cui all’art. 1350 c.c., n. 12), la prova del contratto può anche essere fornita da un documento sottoscritto da una sola parte, ove risulti il consenso anche soltanto tacito, purchè univoco, dell’altra parte, consenso che si manifesti mediante attuazione integrale dei relativi patti” (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, ord. 23 gennaio 2018, n. 1627, Rv. 647083-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 2, sent. 9455 del 28 aprile 2011, Rv. 617676-01, che attribuisce rilievo ad un “comportamento univocamente concludente”, purchè “risulti da circostanze precise, concordanti ed obiettivamente concludenti”, nonchè Cass. Sez. 1, sent. 13 luglio 1998, n. 6825, Rv. 517148-01; Cass. Sez. Lav., sent. 16 maggio 1996, n. 4542, Rv. 497641-01; Cass. Sez. 3, sent. 17 maggio 1985, n. 3013, Rv. 440726-01).

Da quanto precede deriva che, ove l’attuazione dell’accordo risulti avvenuta, la successiva richiesta di risarcimento dei danni deve intendersi intervenuta a “pretesa ormai rinunciata in forza dell’avvenuta definizione transattiva della “res litigiosa”” (così, nuovamente, Cass. Sez. 2, ord. n. 1627 del 2018, cit.).

Nè, d’altra parte, in senso contrario – ovvero, per escludere che il comportamento della M., culminato nell’incasso dell’assegno, possa ritenersi “univocamente concludente” dell’avvenuta volontà della stessa di transigere la lite – potrebbe addursi la circostanza che la lunga e articolata trattativa (che ebbe a precedere la riscossione del titolo bancario e che culminò nella dichiarazione secondo cui la donna non aveva “più nulla a pretendere” dalla società assicuratrice), sia stata compiuta da un soggetto il cui potere rappresentativo è stato posto in discussione, non essendovi agli atti alcun mandato ad esso conferito.

Trova, infatti, applicazione – sul punto – il principio secondo cui “la ratifica del negozio concluso dal “falsus procurator”, se la forma scritta è per lo stesso richiesta “ad probationem”, può avvenire anche per “facta concludentia”, purchè risultanti da atti scritti”; principio, questo, enunciato con riferimento ad una fattispecie sovrapponibile a quella che qui occupa, avendo anche allora questa Corte “confermato la sentenza di merito rilevandone la correttezza della motivazione con cui era stato ritenuto che le ricorrenti avevano validamente ratificato la transazione intervenuta con la società assicuratrice e il “falsus procurator”, atteso che l’atto di transazione e quietanza aveva un univoco significato abdicativo di qualsivoglia iniziativa giudiziale relativa al sinistro di cui si discuteva in causa e che la riscossione della somma, risultante dalla ricevuta di versamento di una banca, era avvenuta a saldo, in esecuzione dell’atto di transazione” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 9 maggio 2008, n. 11509, Rv. 603074-01).

6. Nulla va disposto quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimaste solo intimate sia la Ma. che la società Unipolsai.

7. A carico della ricorrente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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