Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13854 del 31/05/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 13854 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MATERA LINA

SENTENZA
sul ricorso 10995-2007 proposto da:
DICATALDO
GIUSEPPE

RUGGIERO

DCTRGR41S16A669W,

RZZGPP46C13A669U,

DINOIA

RIZZITELLI
EMANUELE

DNIMNL31R16A669A, DAGNELLO PASQUALE DGNPQL55M23A669W,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 90,
presso lo studio dell’avvocato VACCARO GIOVANNI, che
2013
831

li rappresenta e difende,.-únitamente all’avvocato BUFO
GIUSEPPE;
– ricorrenti contro

COMUNE DI BARLETTA in persona del Sindaco pro

Data pubblicazione: 31/05/2013

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato
PANARITI BENITO, rappresentato e difeso dall’avvocato
PALMIOTTI ISABELLA;
DE MARTINO NORANTE FRANCESCO PAOLO DMRFNC31A04A669K,

24, presso lo studio dell’avvocato ROMAGNOLI ILARIA,
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ACCLAVIO GENNARO;
– controricorrenti non chè contro

PUTTILLI MARIA, DIBITONTO ANGELA, PUTTILLI ANTONIO,
PUTTILLI SEBASTIANO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 70/2006 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 06/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/03/2013 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito l’Avvocato VACCARO Giuseppe,

con delega

depositata in udienza dell’Avvocato BUFO Giuseppe,
difensore dei ricorrenti che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
uditi gli Avvocati ROMAGNOLI Ilaria e PANARITI Benito
con delega dell’Avvocato PALMIOTTI Isabella difensori
dei rispettivi resistenti che chiedono il rigetto del

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L. ANDRONICO

ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso

per l’inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato 1’11-3-1997 Dinoia Emanuele,
Dicataldo Ruggiero, Dagnello Pasquale e Rizzitelli Giuseppe
esponevano che, nel corso dell’azione di rilascio promossa da de

e Puttilli Michele per l’immissione nel possesso di alcuni fondi per il
giorno 6-3-1997, durante l’accesso dell’Ufficiale Giudiziario essi
avevano sollevato un incidente di esecuzione, e per tale ragione vi
era stato un rinvio dell’esecuzione al 19-4-1997; che gli istanti erano
possessori di terreni in agro di Trinitapoli e di Barletta, e che non
era dato sapere se i fondi per i quali era stata avviata l’azione
esecutiva comprendessero o meno le particelle da essi possedute; che
gli opponenti, possessori in buona fede, in caso di restituzione al de
Martino, avevano diritto alla rifusione delle spese, ai frutti maturati
e maturandi ed alle migliorie apportate ai fondi, con diritto di
ritenzione ex art. 1152 c.c. Tanto premesso, i ricorrenti,
nell’invocare la sospensione dell’esecuzione in via cautelare,
chiedevano al Pretore di Foggia, Sezione Distaccata di Trinitapoli, la
tutela del loro possesso ultrannuale contro le molestie subite, con la
condanna dell’opposto al risarcimento dei danni, da quantificarsi in
separata sede o in via equitativa.
Con sentenza in data 28-11-2002 il Tribunale di Foggia,
Sezione Distaccata di Trinitapoli, disattese preliminarmente le

Martino Norante Francesco Paolo nei confronti di Puttilli Sebastiano

eccezioni di litispendenza e incompetenza sollevate da de Martino
Norante Francesco Paolo, rigettava la domanda di manutenzione e di
risarcimento danni. Il giudice di primo grado osservava che, poiché i
ricorrenti avevano sostenuto di aver occupato nel 1989 alcune parti

avevano utilizzato, i predetti avevano posto in essere un
impossessamento clandestino, in quanto nulla avevano fatto per
esteriorizzare, nei confronti del De Martino, il loro possesso e
distinguerlo da quello del Puttilli, e soltanto al momento
dell’accesso dell’Ufficiale Giudiziario avevano reso manifesto tale
possesso. Di conseguenza, poiché fino a quel momento il possesso
dei ricorrenti era clandestino ed oggettivamente confondibile con
quello dei Puttilli, solo da quel giorno cominciava a decorrere il
termine annuale, scaduto il quale i ricorrenti avrebbero potuto
avvalersi dell’azione di manutenzione ex art. 1170 c.c.; sicché,
essendo stata l’azione intrapresa 1’11-3-1997, non vi era tutela per
tale possesso viziato.
Con sentenza in data 6-2-2006 la Corte di Appello di Bari
rigettava l’appello proposto avverso la predetta decisione dagli
attori.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
Dinoia Emanuele, Dicataldo Ruggiero, Dagnello Pasquale e Rizzitelli
Giuseppe, sulla base di sette motivi.

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del fondo che i Puttilli, dopo l’occupazione del fondo medesimo, non

de Martino Norante Francesco Paolo e il Comune di Barletta,
già evocato nel giudizio di secondo grado dagli appellanti, hanno
resistito con separati controricorsi, mentre Puttilli Sebastiano e gli
eredi di Puttilli Michele non hanno svolto attività difensive.

1) Preliminarmente, si rileva che non ha pregio l’eccezione
sollevata dal De Martino, secondo cui la sentenza di appello sarebbe
passata in giudicato, non essendo stata impugnata nei termini di
legge.
Tale eccezione muove dal presupposto secondo cui nel
presente procedimento, in quanto avente ad oggetto un’opposizione
all’esecuzione, non troverebbe applicazione, ai sensi dell’art. 92 del
r.d. n. 12\1941, la sospensione dei termini processuali nel periodo
feriale di cui all’art. 1 della legge n. 742\1969; con la conseguenza
che sarebbe da considerare tardiva la notifica del ricorso, avvenuta il
23-3-2007, a distanza di oltre un anno dalla pubblicazione della
sentenza di appello (6-2-2006).
Simile presupposto, peraltro, si rivela erroneo, avendo la Corte
di Appello, a pag. 8 della sentenza impugnata, espressamente
qualificato la domanda proposta dagli attori come azione di
manutenzione, ex art. 1170 c.c.
Ciò posto, non può dubitarsi della tempestività del ricorso per
cassazione, atteso che, nei procedimenti possessori e cautelari,

MOTIVI DELLA DECISIONE

l’eccezione al principio della sospensione dei termini processuali
durante il periodo feriale, stabilita dall’art. 3 della legge 7 ottobre
1969, n. 742, in relazione all’art. 92 dell’ordinamento giudiziario
(r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), opera con riguardo alla fase a carattere

mentre nella successiva fase a rito ordinario, compresa quella di
impugnazione, ovvero nel caso in cui si proceda congiuntamente alla
trattazione del merito, trova applicazione la regola generale della
sospensione dei termini (Cass. 18-2-2008 n. 3955).
2) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e
falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e l’insufficiente motivazione, in
relazione alla pronuncia di condanna alle spese del giudizio di
appello emessa a suo carico in favore del Comune di Barletta. Fanno
presente di aver citato il predetto Ente nel giudizio di appello al solo
fine di renderlo edotto del giudizio pendente, nel quale il De Martino
accampava pretese petitorie sui fondi, in realtà appartenenti. al
Dmanio del Comune di Barletta. Sostengono, pertanto, che nella
specie non può farsi applicazione del principio di soccombenza.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e
falsa applicazione degli artt. 1145 comma 3, 1170 comma 2, 2697
comma 2 e 1142 c.c., nonché l’illogicità e contraddittorietà della
motivazione. Sostengono che il possesso dei ricorrenti non poteva
essere qualificato come clandestino, essendo fondato sul

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sommario, intrinsecamente caratterizzata dal requisito dell’urgenza,

riconoscimento formale del Comune di Barletta, al quale gli attori
versavano un canone di concessione, ed essendo emerso
dall’istruttoria che la situazione di fatto era nota alla collettività.
Sostengono, inoltre, che, trattandosi di beni demaniali, la norma

costituisce una specie nel genere della disciplina possessoria prevista
dall’art. 1170 c.c.
Con il terzo motivo i ricorrenti, dolendosi della violazione e
falsa applicazione degli artt. 2909 c.c.e e 324 c.p.c., nonché della
illogicità e contraddittorietà della motivazione, deducono che la
sentenza valevole quale titolo esecutivo azionato dall’opposto non fa
stato che tra le parti in causa e i loro eredi, e non può valere contro
gli opponenti.
Con il quarto motivo i ricorrenti, lamentando la violazione e
falsa applicazione degli artt. 942, 946 c.c., 213 c.p.c., nonché
l’insufficiente motivazione, sostengono che i fondi contesi fanno
parte da tempo immemorabile del Demanio del Comune di Barletta.
Con il quinto motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e
falsa applicazione degli artt. 2969 c.c. e 112 c.pc. Sostengono che la
Corte di Appello, nel rilevare la decadenza in cui sono incorsi i
ricorrenti nella proposizione dell’azione possessoria, è incorsa nel
vizio di ultrapetizione, in quanto l’opposto aveva fatto riferimento
alla clandestinità, ma non aveva sollevato eccezione di decadenza.

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applicabile è quella dettata dall’art. 1145 comma 3 c.c., che

Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1147, 1148, 1152 c.c. e l’insufficiente
motivazione, deducendo di avere diritto, quali possessori, alla
rifusione delle spese e dei miglioramenti, nonché alla ritenzione in

Con il settimo motivo, infine, i ricorrenti si dolgono della
violazione e falsa applicazione del principio di liquidità del titolo
esecutivo, nonché dell’insufficiente motivazione, deducendo che i
fondi rientrano tutti nel demanio del Comune di Barletta, e che il
giudice di Trinitapoli non poteva affermare alcuna competenza.
3) Il primo motivo è fondato.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che, in un giudizio
svoltosi con pluralità di parti in cause scindibili ai sensi dell’art. 332
c.p.c.., cioè cause cumulate nello stesso processo per un mero
rapporto di connessione, la notificazione dell’impugnazione (nella
specie, l’appello) e la sua conoscenza assolvono alla funzione di
“litis denuntiatio”, così da permettere l’attuazione della
concentrazione nel tempo di tutti i gravami contro la stessa sentenza.
In tal caso, pertanto, il destinatario della notificazione non diviene
per ciò solo parte nella fase di impugnazione e, quindi, non
sussistono i presupposti per la pronuncia a suo favore della condanna
alle spese a norma dell’art. 91 c.p.c., che esige la qualità di parte, e

caso di condanna alla restituzione dei fondi.

perciò una “vocatio in ius”, e la soccombenza (Cass. 16-2-2012 n.
2208).
Nella specie, pertanto, avendo la sentenza impugnata dato atto,
a pag. 5, che l’atto di appello era stato notificato al Comune di

avrebbe potuto condannare gli appellanti alle spese in favore del
predetto Ente, che non ha assunto la qualità di parte nel giudizio.
Per le ragioni esposte, la sentenza impugnata va cassata in
relazione alla pronuncia sulle spese in favore del Comune di
Barletta, che, pronunciando nel merito, va annullata.
4) Il secondo motivo è infondato.
La Corte di Appello, all’esito di un’analitica disamina delle
risultanze processuali, ha accertato che gli appellanti avevano
conseguito il possesso dei fondi per cui è causa in modo clandestino.
Essa ha spiegato, in particolare, che tale possesso non era
riconoscibile da parte del de Martino, il quale aveva visto il Di Noia,
il Dagnello, il Rizzitelli e il Di Cataldo apparire con vari ruoli a
fianco dei Puttilli, per conto del quale avevano effettuato diversi
lavori; ed ha aggiunto che il pagamento del canone di concessione
non era idoneo ad influire sulla natura del possesso degli appellanti,
i quali nulla avevano fatto per esteriorizzare il loro possesso di
fronte al de Martino, onde distinguerlo da quello dei Puttilli. Ha
evidenziato che “l’estrinsecazione in modo chiaro ed univoco di un

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Barletta ai soli fini della denuntiatio litis, il giudice del gravame non

autonomo possesso di singole parti del terreno accanto a quelle
rimaste nella disponibilità dei Puttilli” è avvenuta solo in occasione
dell’accesso dell’ufficiale giudiziario (6-3-1997); ed ha
conseguentemente ritenuto che solo da tale momento era iniziato a

decorrere il termine annuale di cui al secondo comma dell’art. 1170
c.c., scaduto il quale i ricorrenti avrebbero potuto avvalersi
dell’azione di manutenzione. Di qui la conclusione secondo cui,
essendo stata la domanda proposta 1’11-3-1997, non vi era tutela per
tale possesso viziato.
Ciò posto, si osserva che non sussiste la dedotta violazione
dell’art. 1170 comma 2 c.c., avendo il giudice del gravame fatto
corretta applicazione del principio posto da tale norma di legge,
secondo cui, qualora il possesso sia stato acquisito in modo violento
o clandestino, l’azione di manutenzione può essere esercitata solo
decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è
cessata.
Né giova ai ricorrenti sostenere la tesi della natura demaniale
dei fondi in questione, atteso che, come è stato rimarcato nella
sentenza impugnata, vertendosi nell’ambito di un giudizio
possessorio e non petitorio, appare del tutto irrilevante che i fondi
appartenessero al Demanio e non a privati.
E invero, come è stato esattamente osservato dalla Corte di
Appello, la qualità demaniale dei terreni in questione potrebbe

i

rilevare solo ai fini dell’art. 1145 comma 3 c.c., il quale dispone che
l’azione di manutenzione nei rapporti tra privati in relazione ai beni
demaniali è ammissibile a condizione che il possesso inerisca
all’esercizio di facoltà che possono formare oggetto di concessione

l’azione in parola possa essere esercitata esclusivamente da coloro
che abbiano già conseguito in concessione il godimento di un bene
demaniale.
E’ indubbio, peraltro, che, ai fini della tutela possessoria
accordata dalla norma di legge in esame, devono ricorrere tutte le
condizioni richieste in via generale dal menzionato art. 1170 c.c.,
comprese quelle previste in tema di violenza o clandestinità del
possesso. Nella specie, pertanto, anche a voler ritenere la natura
demaniale dei fondi in oggetto, deve escludersi che il giudice del
gravame, nell’attribuire rilevanza alla clandestinità del possesso e
nel ritenere che gli appellanti avrebbero potuto proporre l’azione di
manutenzione solo decorso un anno dalla cessazione di tale
condizione del possesso, sia incorso nella violazione del citato art.
1145 comma 3 c.c.
Le ulteriori deduzioni svolte con il motivo in esame per negare
la clandestinità del possesso dei ricorrenti si risolvono in sostanziali
censure di merito, che mirano ad ottenere una diversa e più
favorevole valutazione delle risultanze processuali rispetto a quella

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da parte della Pubblica Amministrazione, con ciò escludendo che

compiuta dal giudice territoriale. In tal modo,

peraltro,

viene

sollecitato a questa Corte l’esercizio di un potere di cognizione
esulante dai limiti del sindacato ad essa istituzionalmente riservato.
L’accertamento della clandestinità del possesso e della

di cui al citato art. 1170 comma 2 c.c., infatti, involge tipici
apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito e come tali non
sindacabili in sede di legittimità, se sorretti, come nel caso in esame,
da una motivazione adeguata ed immune da vizi logici.
5) Il quinto motivo è inammissibile, non confrontandosi con le
ragioni della decisione.
I ricorrenti, infatti, nel sostenere che i giudici di merito non
avrebbero potuto rilevare d’ufficio la decadenza degli attori
dall’azione di manutenzione, non tengono conto del fatto che la
domanda attrice non è stata rigettata in base al rilievo del decorso
del termine annuale di decadenza previsto per la proposizione
dell’azione di manutenzione dal primo comma dell’art. 1170 c.c.,
bensì in ragione del mancato decorso del termine di un anno dalla
cessazione dello stato di clandestinità, previsto dal secondo comma
dello stesso articolo.
6) Gli ulteriori motivi di ricorso difettano del requisito di
specificità richiesto dall’art. 366 n. 4 c.p.c. e sono, pertanto,
inammissibili, risolvendosi in generiche affermazioni di principio,

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cessazione di tale situazione al fine del decorso del termine annuale

del tutto sganciate da concreti riferimenti alle statuizioni adottate
dal giudice di appello che si intende censurare.
Come è noto, infatti, il ricorso per cassazione deve contenere,
a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la

cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità
alla decisione impugnata, il che comporta la necessità dell’esatta
individuazione del capo di pronunzia impugnata e dell’esposizione di
ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte
violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della
motivazione (tra le tante v. 6-6-2006 n. 13259; Cass. 23-7-2004 n.
13830; Cass. 11-6-2003 n. 9371).
7) Si rivela inammissibile, infine, l’istanza proposta dai
ricorrenti per la cancellazione ex art. 89 c.p.c. di alcune espressioni
sconvenienti ed offensive contenute nella comparsa conclusionale di
primo grado del convenuto.
Si rammenta, al riguardo, che la Corte di Cassazione è
competente ad ordinare, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., la cancellazione
delle espressioni sconvenienti ed offensive contenute nei soli scritti
ad essa diretti; con la conseguenza che è inammissibile il motivo del
ricorso per cassazione con cui si chieda la cancellazione delle frasi
del suddetto tenore contenute nelle fasi processuali anteriori,
essendo riservata la relativa statuizione al potere discrezionale del

.1.

giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 17-32009 n. 6439).
8) Essendo stati rigettati tutti i motivi di ricorso proposti nei
confronti del de Martino, i ricorrenti vanno condannati al pagamento

liquidate come da dispositivo.
Nessuna pronuncia sulle spese va invece emessa nei confronti
del Comune di Barletta, il quale, per le ragioni in precedenza
esposte, non ha assunto la qualità di parte nel presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza
impugnata in relazione a tale motivo e, pronunciando nel merito,
annulla la pronuncia sulle spese in favore del Comune di Barletta;
rigetta nel resto il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese del presente grado di giudizio in favore del de Martino, che
liquida in euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti del Comune di
Barletta.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26-3-2013
Il Consigliere estensore

delle spese sostenute da quest’ultimo nel presente grado di giudizio,

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