Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13853 del 18/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 13853 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 22846-2009 proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e
2014
645

difeso dagli avvocati RICCIO ALESSANDRO, SERGIO
PREDEN, NICOLA VALENTE, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

BIANCHINI

GIORGIO

C.F.

BNCGRG43A10D969A,

Data pubblicazione: 18/06/2014

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO
DENZA 27, presso lo studio dell’avvocato TOMASSINI
ANTONELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato
ALLESCIA GUISCARDO, giusta delega in atti;
– controricorrente

di GENOVA, depositata il 30/07/2009 R.G.N. 244/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;
udito l’Avvocato ALLESCIA GUISCARDOM/~. 4 / 1—ACC’)
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
il rigetto.

avverso la sentenza n. 443/2009 della CORTE D’APPELLO

Svolgimento del processo
Bianchini Giorgio chiese al giudice del lavoro del Tribunale di Genova il
riconoscimento del diritto, nei confronti dell’Ipps, al beneficio del cumulo della
pensione di anzianità, della quale era titolare dall’ottobre del 1996, con la

dipendente, il tutto ai sensi dell’art. 44, comma 2°, della legge n. 289 del 2002.
Tale domanda fu accolta e a seguito di impugnazione, in via principale, della
relativa decisione da parte dell’Inps e, in via incidentale, da parte del Bianchini, la
Corte d’appello di Genova, con sentenza del 29/5 – 30/7/2009, riformò
parzialmente quella di primo grado condannando l’istituto previdenziale al
pagamento in favore del pensionato dell’ulteriore somma di € 3600,00, oltre
interessi legali, in accoglimento della domanda di risarcimento dei danni in merito
alla quale il primo giudice aveva omesso di pronunziarsi. Tali danni erano stati
richiesti dal Bianchini a causa del fatto che egli, fidando sull’iniziale consenso
espresso dall’Inps in merito al beneficio del predetto cumulo, aveva rassegnato in
anticipo le dimissioni dal lavoro.
Nel respingere il gravame dell’Inps la Corte territoriale spiegò che non era di
ostacolo al beneficio del predetto cumulo il fatto che il Bianchini, già titolare di
pensione di anzianità, non lo avesse chiesto nel termine di tre mesi, di cui all’art.
44, comma 4°, della legge n. 289/2002, dall’inizio del primo rapporto di lavoro
successivo al pensionamento, così come eccepito dall’Inps, bensì entro il trimestre
decorrente dall’inizio del secondo rapporto di lavoro intrattenuto nel maggio del
2004, in quanto nulla autorizzava a ritenere che la norma in esame prevedesse
distinzioni riguardanti il numero o la tipologia dei rapporti lavorativi successivi al
pensionamento.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps con tre motivi illustrati da memoria
ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso il Bianchini.

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retribuzione percepita in conseguenza dello svolgimento di un rapporto di lavoro

Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 44 della legge 27
dicembre 2002, n. 289, ravvisata nella decisione della Corte territoriale di
riconoscere al pensionato, dopo il 30 novembre del 2002, la possibilità di

pensione e da lavoro (autonomo o dipendente) entro i tre mesi successivi
all’instaurazione di uno qualsiasi dei rapporti di lavoro intrapresi dopo il
pensionamento.
Sostiene, invece, l’Inps che l’art. 44, comma 4°, della legge 27 dicembre 2002 n.
289, nella parte in cui dispone che per i pensionati non in attività lavorativa al 30
novembre 2002 il versamento della somma una tantum per l’ammissione al
cumulo integrale fra redditi e pensione di anzianità sia effettuato entro i tre mesi
dall’inizio del rapporto lavorativo, deve essere interpretato nel senso che,
nell’ipotesi in cui dalla predetta data il pensionato abbia svolto plurime attività
lavorative, il termine decorre dall’inizio della prima di esse.
Quindi, secondo l’Inps, nessun brano della norma in esame consente di limitare gli
effetti dell’ammissione al cumulo al solo rapporto di lavoro nel corso del quale
l’opzione è stata esercitata, ove successivo al primo rapporto instaurato dopo il 30
novembre 2002 e a quelli ad esso posteriori.
Pertanto, secondo tale tesi, una volta accertato che il Bianchini lavorava al 2
gennaio 2003, ne conseguiva che il termine trimestrale entro il quale il medesimo
poteva effettuare il pagamento delle somme al quale era subordinata l’ammissione
al regime di totale cumulabilità di cui trattasi scadeva il 2 aprile 2003, sicchè
l’opzione effettuata il 25 maggio 2004, mediante il pagamento della somma una
tantum, era tardiva e non consentiva più l’ammissione dell’istante al beneficio del
predetto cumulo.
2. Col secondo motivo il ricorrente deduce la nullità per violazione degli artt. 345 e
437 cod. proc. civ., sostenendo che la domanda di risarcimento dei danni sulla

esercitare l’opzione per l’accesso al regime di integrale cumulabilità tra redditi da

quale si era pronunziata la Corte territoriale era da reputare nuova e, dunque,
preclusa in appello, posto che in primo grado il Bianchini aveva chiesto in via
alternativa il riconoscimento del diritto al cumulo, tra redditi da lavoro autonomo e
dipendente e quelli da pensione di anzianità, o il risarcimento del danno, per cui,

avrebbe potuto riproporre in seconde cure quella risarcitoria. In ogni caso,
secondo l’Inps, l’eccepita insussistenza del diritto al predetto cumulo comportava
automaticamente il venir meno del presunto inadempimento generatore del
lamentato pregiudizio patrimoniale.
3. Col terzo motivo, attraverso il quale è segnalata la violazione degli artt. 1218,
2043 e 1223 cod. civ., l’istituto previdenziale si duole della condanna al
risarcimento del danno sostenendo che la liceità del diniego del predetto beneficio
del cumulo escludeva in radice qualsiasi sua responsabilità per danni di natura
economica. Aggiunge il ricorrente che le dimissioni rassegnate dal Bianchini non
potevano avergli comportato alcun effetto pregiudizievole sul piano patrimoniale,
dal momento che i suoi redditi erano rimasti invariati, pure a seguito della
risoluzione del rapporto di lavoro, a causa dell’impossibilità di cumulare pensione
e stipendio per le ragioni espresse col primo motivo di censura del presente
ricorso.
Osserva la Corte che il primo motivo di censura è fondato.
Invero, l’interpretazione letterale, logica e sistematica della norma di cui all’art. 44
(abolizione del divieto di cumulo tra pensioni di anzianità e redditi da lavoro) della
legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) conduce alla soluzione
della questione nei termini prospettati dalla difesa dell’istituto previdenziale.
Orbene, tale norma, dopo aver previsto, al primo comma, l’estensione, a decorrere
dal 1° gennaio 2003, del regime di totale cumulabilità tra redditi da lavoro
autonomo e dipendente e pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione
generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della

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una volta conseguito l’accoglimento della domanda principale, il medesimo non

medesima, ai casi di anzianità contributiva pari o superiore ai 37 anni per i
lavoratori con 58 anni di età, ha previsto, nei successivi commi 2 e 4, due ipotesi,
vale a dire il caso dei titolari di pensione di anzianità alla data del 1° dicembre
2002 nei cui confronti trovino applicazione i regimi di divieto parziale o totale di

novembre 2002 (4° comma).
Nel primo caso la possibilità di accesso al regime di totale cumulabilità, attraverso
il versamento dell’importo previsto dalla stessa norma, è consentita entro il
termine del 16 marzo 2003, mentre nella seconda ipotesi è stabilito che il
versamento possa avvenire successivamente al 16 marzo del 2003, purchè entro
tre mesi dall’inizio del rapporto lavorativo.
La scelta del legislatore di fissazione di termini precisi per l’accesso al beneficio
del cumulo risiede, da una parte, nell’esigenza di ancorare ad un dato oggettivo,
quale quello temporale, la procedura di regolamentazione delle due diverse ipotesi
di cui sopra e, dall’altra, di poter contare entro tempi predeterminati sui dati
contabili, fiscali ed amministrativi necessari per l’operazione stessa.
Infatti, non a caso, il quinto comma dello stesso art. 44 della suddetta legge
finanziaria stabilisce che dalla data del 1° aprile 2003 i comparti interessati
dell’amministrazione pubblica, ed in particolare l’anagrafe tributaria e gli enti
previdenziali erogatori di trattamenti pensionistici, procedono all’incrocio dei dati
fiscali e previdenziali da essi posseduti, per l’applicazione delle trattenute dovute e
delle relative sanzioni nei confronti di quanti non hanno regolarizzato la propria
posizione ai sensi del terzo comma. Invero, in tale comma è previsto che non
vengano applicate fino al 31 marzo 2003 le penalità e le trattenute agli iscritti alle
suddette gestioni previdenziali titolari di reddito da pensione che abbiano prodotto
redditi sottoposti al divieto parziale o totale di cumulo e che non abbiano
ottemperato agli adempimenti previsti dalla normativa di volta in volta vigente
qualora abbiano versato un importo pari al 70 per cento della pensione relativa al

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cumulo (2° comma) ed i pensionati non in attività lavorativa alla data del 30

mese di gennaio 2003, moltiplicato per ciascuno degli anni relativamente ai quali
si è verificato l’inadempimento.
Pertanto, qualora volesse aderirsi all’interpretazione della norma offerta dalla
Corte d’appello di Genova si perverrebbe ad una ingiustificata disparità di

termine improrogabile di scadenza del 16 marzo 2003 per l’esercizio della
suddetta opzione, ed i pensionati non in attività lavorativa alla data del 30.11.2002,
i quali avrebbero la facoltà di decidere a quale rapporto lavorativo ancorare la
decorrenza del trimestre utile per la richiesta del beneficio del cumulo. In tal
modo, tale categoria di pensionati avrebbe la facoltà di decidere di non esercitare
l’opzione di scelta del cumulo integrale in occasione del primo rapporto di lavoro
successivo al pensionamento e di effettuarla, invece, in concomitanza con un altro
rapporto futuro, traendo un ingiustificato vantaggio rispetto all’altra categoria di
pensionati già occupati al 1° dicembre 2002 e ponendo in essere un’operazione i
cui effetti sono destinati a ripercuotersi anche sui precedenti rapporti di lavoro
instaurati in epoca immediatamente successiva al 10 gennaio 2003, data di
decorrenza legale del regime di totale cumulablità tra i redditi da lavoro dipendente
e autonomo e le pensioni di anzianità ai sensi del primo comma dell’art. 44 della
legge n. 289/2002.
D’altra parte, dalla lettura del quarto comma di tale norma non emerge che ai
pensionati, non in attività lavorativa al 30.11.2002, sia consentito di chiedere il
beneficio del cumulo in occasione dello svolgimento di un qualsiasi rapporto
successivo al loro pensionamento, mentre balza evidente che il versamento della
somma per il conseguimento del cumulo totale possa avvenire successivamente
al 16 marzo 2003, purchè entro tre mesi dall’inizio del rapporto di lavoro.
Quindi, la condizione richiesta per il versamento dopo il 16.3.2003 della somma
necessaria per il conseguimento del beneficio del cumulo totale in esame da parte
dei pensionati non in attività lavorativa al 30.11.2002 è quella dell’osservanza del

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AP5

trattamento tra i pensionati già occupati alla data dell’1.12.2002, per i quali opera il

termine massimo di tre mesi dall’inizio del rapporto immediatamente successivo al
pensionamento per l’esercizio dell’opzione in esame.
Pertanto, è fondata l’eccezione di tardività della domanda sollevata dall’Inps, in
quanto il Bianchini, pensionato non in attività lavorativa al 30.11.2002, risultava

cui l’esercizio dell’opzione in esame da parte del medesimo, attraverso il
versamento in data 25 maggio 2004 della somma una tantum, era da considerare
fuori del termine di legge.
Da ciò consegue che il diniego opposto dall’Inps alla richiesta del Bianchini di
cumulare il reddito da pensione con quello da attività lavorativa non era illegittimo
e non poteva essere fonte di danno, per cui rimane assorbita la disamina del
secondo e del terzo motivo che vedono sulla questione della pretesa risarcitoria
conseguente al mancato accoglimento della predetta domanda.
In definitiva, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza va cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ai sensi dell’ad. 384, comma
2°, c.p.c., la causa può essere decisa nel merito con rigetto della domanda del
Bianchini.
La particolarità della questione trattata e la parziale diversità dell’esito dei due
giudizi di merito inducono la Corte a ritenere interamente compensate tra le parti
le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
rigetta la domanda. Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma il 25 febbraio 2014
Il Consigliere estensore

aver lavorato come collaboratore coordinato e continuativo all’inizio del 2003, per

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