Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13852 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 22/05/2019), n.13852

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23134/2015 proposto da:

T.G.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via del

Casale Strozzi n. 33, presso lo studio dell’avvocato Bandinu

Giuseppe Luigi, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Mameli Antonio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.M.G., nella qualità di erede di P.S.,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Mirandola n. 23, presso lo

studio dell’avvocato Marziale Lucio, rappresentato e difeso

dall’avvocato Tedde Matteo, giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 258/2015 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI, –

SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI – depositata il 05/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/03/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Procuratore

Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 5 giugno 2015 la Corte d’Appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari – ha confermato integralmente la sentenza di primo grado n. 301/2012 del 24.02.2012 con cui il Tribunale di Sassari, in accoglimento della domanda proposta da P.S. (al quale, dopo il decesso, è subentrato nella fase d’appello l’erede T.M.G.) nei confronti di T.G.A., ha dichiarato la falsità materiale della cambiale emessa per l’importo di Lire 45.000, datata 25.11.1993, nonchè la falsità dei restanti 21 titoli prodotti in copia dall’attore, per essere stati riempiti con l’indicazione di somme in difformità rispetto agli accordi intercorsi tra le parti.

Il giudice di secondo grado, nel rigettare l’appello, ha rigettato una serie di eccezioni svolte dall’appellante, e, segnatamente, in primis, di nullità della sentenza di primo grado per mancata interruzione del processo a seguito del decesso di P.S. nonchè per estinzione del processo ex art. 75 c.p.p., per essersi l’attore costituito parte civile nel processo riguardante la falsità delle cambiali.

Venivano, altresì, rigettate le eccezioni di nullità della querela di falso per dedotta omessa indicazione delle prove della falsità e di nullità della CTU.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.G.A. affidandolo a cinque motivi.

T.M.G. si è costituito in giudizio con controricorso, depositando, altresì, la memoria ex art. 380 bis c.p.c., seppur fuori termine. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo T.G.A. ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 300 c.p.c., comma 5.

Lamenta il ricorrente che la dichiarazione di morte del P. era stata notificata, ancora nel corso del giudizio di primo grado, al procuratore del convenuto T.M.G. con plico raccomandato a mezzo ufficiale giudiziario del (OMISSIS) ed era quindi stata ritualmente effettuata. Di tale atto il giudice di primo grado, prima, e la Corte d’Appello (nel valutare l’eccezione), successivamente, avrebbero dovuto tenerne conto atteso che la causa, in un primo tempo rimessa al collegio per la decisione, era, nel frattempo, regredita ad una fase precedente.

2. Il motivo è inammissibile.

Va, preliminarmente, osservato che la Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per mancata interruzione del giudizio, in conseguenza del decesso di P.S., sulla base di due autonome e distinte rationes decidendi.

In primo luogo, il giudice di secondo grado ha evidenziato che era pur vero (dopo che la causa era stata trattenuta in decisione in data 24.3.2011) che con istanza ex art. 300 c.p.c., il procuratore del P. aveva dato atto che il proprio assistito era deceduto. Tuttavia, all’udienza del 17.11.2011, fissata dal Tribunale, previa rimessione della causa sul ruolo, allo scopo di consentire al P.M. di intervenire in giudizio e concludere, lo stesso procuratore del P. confermò, invece, le conclusioni fino a quel momento assunte, non dichiarando quindi il decesso del proprio cliente, così manifestando una volontà contraria all’interruzione del processo.

La Corte di Appello, ha, altresì, rilevato che, anche ove avesse dichiarato la nullità del giudizio per mancata interruzione del processo, in virtù del principio della conversione dei vizi di nullità della sentenza di primo grado in motivi di gravame, avrebbe comunque dovuto trattenere la causa e decidere nel merito, non rientrando tale nullità tra i casi tassativi in cui il giudice d’appello può rimettere la causa al primo giudice, con la conseguenza che l’impugnante non poteva limitarsi a far valere il vizio procedurale.

Ciò premesso, in primo luogo, il ricorrente ha contestato la prima ratio decidendi introducendo degli elementi fattuali (l’avvenuta notifica allo stesso della dichiarazione di morte in data (OMISSIS)) dei quali non vi è traccia nè nella sentenza e nè nella stessa sintesi del primo motivo d’appello, contenuta nello stesso ricorso per cassazione. Peraltro, neppure il ricorrente ha dedotto di aver già formulato in questi termini al giudice d’appello tale censura, con evidente difetto del requisito di autosufficienza del ricorso.

In ogni caso, è dirimente ed assorbente che il ricorrente non ha minimamente contestato la seconda ratio decidendi utilizzata dal giudice d’appello, concernente l’impossibilità di rimessione della causa al giudice di primo grado per effetto del vizio denunciato.

In proposito, è principio consolidato di questa Corte che, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza. (Sez. U, n. 7931 del 29/03/2013; Sez. 6 – 5, n. 9752 del 18/04/2017; Sez. L, n. 4293 del 04/03/2016).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 75 c.p.p..

Lamenta il ricorrente che, essendosi la controparte avvalsa della facoltà di trasferire l’azione in sede penale, con la costituzione di parte civile, i giudici di merito non avrebbero potuto emettere alcuna sentenza, ma limitarsi alla dichiarazione di estinzione del processo.

4. Il motivo è inammissibile.

Nonostante il ricorrente abbia riportato nel proprio ricorso in modo integrale il passaggio motivazionale della sentenza d’appello che si riferisce al punto denunciato nel presente motivo, non ha minimamente impugnato la ratio decidendi del giudice di secondo grado, il quale aveva evidenziato che non sussisteva più litispendenza tra il giudizio civile e l’azione civile esercitata nel processo penale atteso che, come dichiarato dallo stesso appellante, odierno ricorrente, i reati all’epoca ascritti al T.G.A. erano stati dichiarati estinti per prescrizione con sentenza definitiva.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione all’art. 221 c.p.c..

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha rigettato l’eccezione di nullità della querela di falso ritenendo erroneamente la consulenza tecnica di parte come mezzo di prova. Censura, inoltre, che sia stata disposta CTU nonostante la sua evidente natura esplorativa.

Infine, il ricorrente lamenta che la prova per testi, assente dall’atto di citazione, è stata articolata solo nella memoria ex art. 183 c.p.c. e che all’udienza del 9.12.2008 è stato esibito al teste escusso un documento diverso da quello indicato nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 2.

6. Il motivo è infondato.

Va osservato che dall’esame del terzo motivo d’appello – come ricostruito in modo dettagliato nella parte narrativa della sentenza impugnata e non contestato dal ricorrente – emerge che l’appellante aveva censurato la violazione dell’art. 221 c.p.c., comma 2.

solo in relazione all’omessa articolazione della prova per testi nell’atto di citazione ed alla sua formulazione solo nella memoria ex art. 183 c.p.c., n. 2. Orbene, su tale punto, la sentenza impugnata aveva puntualmente risposto che, relativamente alle ulteriori cambiali, diverse da quella che portava la somma di Lire 45 milioni – incontestabilmente impugnata di falso – non era necessaria la proposizione di tale azione, essendo stato solo contestato il riempimento “contra pacta”. Ed è proprio tale precisazione che rende, all’evidenza, infondata ed inconferente la censura del ricorrente: il P. aveva articolato la prova per testi nella memoria ex art. 183 c.p.c., n. 2, producendo, altresì, la scrittura redatta dall’avv. Piredda, non per la cambiale in relazione alla quale era stata proposta la querela di falso, ma solo per quelle relativamente alle quali era stato lamentato il riempimento “contra pacta”, e per le quali non occorre, come detto, la querela di falso. Pertanto, dalla mancata articolazione della predetta prova costituenda nell’atto di citazione non consegue alcuna sanzione processuale.

Anche la dedotta esibizione al teste di un documento difforme rispetto a quello prodotto in giudizio riguarda le altre cambiali non impugnate di falso, in relazione alle quali non può, pertanto, invocarsi la violazione dell’art. 221 c.p.c., comma 2.

7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione agli artt. 223 e 224 c.p.c..

Espone il ricorrente, a confutazione del rilievo della Corte di appello della intempestività dell’eccezione di nullità, di aver contestato la validità della consulenza tecnica d’ufficio – per aver il CTU esaminato i titoli in un ufficio giudiziario differente rispetto a quello indicato dalla parte attrice e per avere utilizzato scritture di comparazione diverse rispetto a quello indicate in atto di citazione – già nella comparsa di costituzione e risposta di nuovo procuratore del 9.12.2008, primo atto successivo all’incarico conferito al CTU in data 24.0.6.2008, e di aver ribadito tale nullità nelle conclusioni all’udienza del 24.03.2011.

8. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non ha contestato la ratio decidendi del provvedimento impugnato che, sul punto, aveva rigettato la sua eccezione di nullità, osservando, in conformità ad un consolidato orientamento di questa Corte, che l’eccezione di nullità doveva essere fatta valere nella prima istanza o udienza successiva al deposito dell’elaborato peritale (Sez. 2, n. 1744 del 24/01/2013, Sez. L, n. 8347 del 08/04/2010; vedi anche Sez. 1, n. 19427 del 03/08/2017; sez. 3, n. 4448 del 25/02/2014).

Il ricorrente, infatti, nel sostenere di aver sollevato tempestivamente l’eccezione di nullità, ha fatto riferimento a momenti processuali differenti dal deposito della consulenza tecnica d’ufficio, quali la costituzione del nuovo procuratore e l’udienza di precisazione delle conclusioni.

9. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 2697 c.c. e all’art. 115 c.p.c..

Lamenta il ricorrente che il giudice d’appello ha erroneamente interpretato una sua dichiarazione in ordine al possesso dei titoli come una sorta di confessione giudiziale.

Si duole, altresì di come sono state valutate le conclusioni del CTU, il quale non si era espresso in termini di assoluta certezza in ordine alla falsità della cambiale di Lire 45 milioni.

Contesta, inoltre, il ricorrente che i titoli siano stati sottoscritti presso lo studio dell’avv. Piredda, come era emerso dalle dichiarazioni di quest’ultimo, non rispondendo al vero quanto spontaneamente affermato dal P..

10. Il motivo è inammissibile.

Non vi è dubbio che tutte le censure svolte dal ricorrente nel presente motivo si configurino come di merito, essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito e ad accreditare una diversa ricostruzione della vicenda processuale e, come tali, non sono consentite in sede di legittimità.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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