Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13850 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 06/07/2020), n.13850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27338/2017 proposto da:

FINTECNA SPA, in persona del procuratore speciale e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARNABA ORIANI, 85, presso lo studio dell’avvocato VALERIO DI

GRAVIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIOVANNA ADINOLFI;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ ITALIANA PER CONDOTTE D’ACQUA SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DI VILLA GRAZIOLI N. 29, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

ZACCHEO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6187/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il ridetto;

udito l’Avvocato FILIPPO AURITI per delega orale; udito l’Avvocato

GIUSEPPE BERTI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 14.10.2016 n. 6187, ha rigettato l’appello proposto da Società FINTECNA s.p.a. (da ora Fintecna) e confermato la decisione di prime cure che aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso a favore di detta società per il pagamento di commissioni insolute (oggetto delle fatture n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)) spettanti per prestazioni di garanzie fidejussorie e lettere di patronage rilasciate a favore di Società Italiana per Condotte d’Acqua s.p.a. (da ora Condotte).

La Corte territoriale ha ritenuto che difettasse del tutto la prova che le parti avessero convenuto il corrispettivo relativo a tale prestazione e che lo stesso non fosse determinabile neppure “per relationem”, risultando quindi del tutto arbitraria la liquidazione degli importi effettuata nelle fatture da Fintecna. Aggiungeva ancora che il rapporto in questione risaliva nel tempo, in quanto concerneva alcune garanzie fidejussorie e lettere di patronage concesse originariamente da IRITECNA, società successivamente incorporata nel 1997 da Fintecna, e nelle quali soltanto quest’ultima era dunque subentrata, rimanendo, invece, del tutto estranee a tale vicenda successoria le commissioni richieste da Fintecna con il decreto monitorio relative ad “altre” garanzie asseritamente rilasciate nel periodo successivo tra l’1.1.1998 ed il 31.12.1999: pertanto non vi era corrispondenza tra la pretesa azionata in via monitoria e gli accordi – peraltro lacunosi quanto alla determinazione della commissione – dei quali era stata fornita prova in giudizio.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da FINTECNA con ricorso affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso CONDOTTE.

Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Emerge dalla lettura, per vero non agevole, della sentenza di appello che tra Fintecna e Condotte (poi Ferrocemento s.p.a. in seguito alla rilevazione dell’intero capitale sociale di Condotte) era intervenuto uno scambio di prestazioni di garanzie e di controgaranzie (quanto a quest’ultime, avendo, prima Condotte, e poi, in data 30.3.1997, Ferrocemento s.p.a. assicurato la “manleva della società garante (ndr Fintecna) da ogni conseguenza patrimoniale sfavorevole dell’impegno assunto, con obbligo in particolare di rilevare detta società garante, immediatamente ed a semplice richiesta, di ogni esborso sostenuto al riguardo”, ed ancora di “manlevare e tenere indenne Fintecna da danni, costi e perdite, in relazione alle fidejussioni suddette”: cfr. sentenza appello in motivazione pag. 3 e 4), e che la prestazione della controgaranzia si estendeva anche ad ” interessi, commissioni ed accessori” (ibidem, pag. 3 ove è riportata la motivazione della sentenza del Tribunale di Roma).

Su tale quadro fattuale le pronunce dei Giudici di merito appaiono conformi, in quanto fondate entrambe sulle seguenti “rationes decidendi”:

a) tra le parti era intercorso un rapporto avente ad oggetto la prestazione da parte di FINTECNA di garanzie fidejussorie e lettere di patronage a favore di CONDOTTE la quale, a sua volta, aveva prestato una controgaranzia a prima richiesta estesa a “interessi, commissioni ed accessori”: il rapporto trovava riscontro nelle ammissioni rese dal rappresentante legale di CONDOTTE nel corso dell’interrogatorio formale, il quale aveva riferito che la società si era effettivamente avvalsa delle garanzie prestate da FINTECNA ed aveva corrisposto a questa regolarmente le commissioni fino a tutto l’anno 1997.

b) oggetto della pretesa monitoria era il credito per commissioni relative a garanzie prestate da FINTECNA, sempre a favore di CONDOTTE, successivamente al 1997 – e più esattamente nel periodo 1.1.1998 fino al 31.12.1999 – dunque si trattava di un rapporto distinto da quello esauritosi nel 1997, concernente “altre” garanzie ed in ordine al quale, difettava del tutto la prova del suo perfezionamento (“non è stato assolutamente dimostrato (e neppure dedotto) che un accordo si sia formato successivamente fra le parti proprio riguardo alle garanzie per cui è causa, essendo evidentemente irrilevanti gli accordi che si dovessero essere formati in precedenza riguardo ad altre garanzie rimaste estranee al presente giudizio”: cfr. sentenza appello, in motivazione, pag. 3 laddove vengono riportate le ragioni della decisione di prime cure);

c) anche a volere porre a fondamento della pretesa monitoria per le “nuove” commissioni le precedenti dichiarazioni di controgaranzia a prima richiesta rilasciate da CONDOTTE (per le quali erano stata pagate commissioni fino a tutto l’anno 1997), difettava la prova dei fatti costitutivi della pretesa, in quanto se tali dichiarazioni erano volte ad assicurare alla garante FINTECNA anche il rimborso degli esborsi eventualmente sostenuti per “interessi, commissioni e accessori”, le stesse tuttavia non sopperivano, comunque, alla originaria indeterminatezza della prestazione in quanto: 1) l’ammontare del corrispettivo non era stato in alcun modo convenuto dalle parti, nè poteva altrimenti essere ricavato in mancanza finanche di un criterio di determinazione “per relationem”; 2) la unilaterale determinazione degli importi da parte di FINTECNA, non era stata prevista dalle parti ed era dunque affetta da nullità ex artt. 1346 e 1418 c.c., in quanto del tutto arbitraria; 3) le percentuali delle commissioni riferite alla prassi commerciale e bancaria non potevano sopperire alla lacune dell’elemento essenziale del contratto, atteso che FINTECNA non aveva dato dimostrazione di svolgere attività al pari di un istituto bancario o finanziario e di essere assoggettata al relativo regime vincolato di carattere pubblicistico.

La ricorrente FINTECNA investe la sentenza di appello con i seguenti motivi di ricorso.

Primo motivo: nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione contraddittoria ed incomprensibile.

Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe operato una erronea ricostruzione della fattispecie concreta, riferendo all’anno 1997 anzichè all’anno 2000 la incorporazione di IRITECNA (originaria garante) in FINTECNA, confondendo i due distinti rapporti di garanzia intrattenuti nel medesimo periodo 1998-2000 da FINTECNA, rispettivamente, con CONDOTTE e con Ferrocemento s.p.a. – da marzo 1997 – e senza tenere conto che oggetto della controversia era soltanto il rapporto con CONDOTTE.

Il motivo è inammissibile.

E’ affermazione condivisa dalla giurisprudenza di legittimità che la motivazione è solo “apparente”, ovvero “perplessa” o “incomprensibile”, e la sentenza è quindi nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Al riguardo è stato rilevato che “in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. civ. sez. un. 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009)…. ” (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017).

Nella specie si è dato conto dello svolgimento delle argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata, tradottesi nelle “rationes decidendi” sopra individuate. Indipendentemente dalla fondatezza giuridica delle stesse, la decisione, intesa come corrispondenza della premessa in fatto alla “regula juris” applicata al rapporto controverso, traspare in ogni modo dalla sentenza di appello e consente la identificazione del percorso logico seguito dalla Corte di merito, sottraendosi alla censura della nullità processuale.

Diversa questione è l’allegato errore di fatto che il Giudice di merito avrebbe commesso nella ricostruzione della fattispecie negoziale. Ma in questo caso il vizio di legittimità deducibile non concerne la violazione delle norme processuali o dello statuto normativo di validità del provvedimento giurisdizionale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), sibbene la inadeguatezza della rilevazione e valutazione dei fatti storici assunti a base della sussunzione nello schema normativa astratto e della successiva attività di valutazione probatoria concernente i fatti costituti della pretesa. Con la conseguenza che l’accesso al sindacato di legittimità richiedeva di essere veicolato attraverso il vizio di omessa considerazione di fatti decisivi così come definito dall’art. 360, comma 1, n. 5) nel testo, applicabile “ratione temporis”, modificato dal DL n. 83/2012 conv. in L. n. 134 del 2012.

Orbene sotto tale profilo, quand’anche così riqualificata la censura, il motivo si palesa egualmente inammissibile non indicando il fatto storico decisivo che la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare, ed in particolare il fatto determinate a confutare la ratio decidendi sopra indicata alla lett. b).

Secondo motivo: nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente od incomprensibile.

La ricorrente evidenzia una carenza strutturale nella costruzione grammaticale e logica di una proposizione estrapolata dalla motivazione della sentenza di appello.

Il motivo è infondato.

L’errore che si riscontra nella costruzione linguistica della proposizione, peraltro attinente ad una sola delle diverse ragioni di decisione e quindi neppure determinante ai fini della dedotta nullità della sentenza, è agevolmente emendabile laddove alla frase venga aggiunto il verbo essere, declinato nella terza persona singolare del tempo indicativo presente: “il giudice di prime cure ha già evidenziato come il richiamo alle commissioni in queste lettere di richiesta (è) lungi dall’integrare alcun accordo in ordine alla controprestazione rectius alle commissioni quale corrispettivo per le prestazioni in garanzia”.

Terzo motivo: violazione degli artt. 1362,1367,1374 e 1474 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta la ricorrente che il Giudice di appello avrebbe erroneamente affermato la nullità dell’accordo di garanzia per indeterminatezza della pattuizione sul corrispettivo della fidejussione, in quanto avrebbe omesso di applicare il criterio ermeneutico volto a desumere la comune intenzione delle parti anche dal comportamento tenuto successivamente alla stipula dell’accordo, in quanto: 1- le fatture emesse da FINTECNA ante (OMISSIS) erano state accettate e regolarmente pagate da CONDOTTE; 2- il legale rapp.te della società garantita aveva ammesso che anche successivamente negli anni (OMISSIS) erano maturate commissioni. Inoltre la Corte di merito non aveva fatto applicazione del criterio residuale secondo cui, nel dubbio, le clausole dovevano essere interpretate nel senso di attribuire loro un effetto piuttosto che negarlo tout court, e neppure del criterio integrativo di cui all’art. 1374 c.c., che, come era dato evincere dall’art. 1474 c.c., escludeva la nullità degli accordi in cui mancava la determinazione del prezzo.

Il motivo è infondato.

La violazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, non è conferente alla “ratio decidendi” secondo cui difetta la prova di accordi di garanzia con CONDOTTE successivi all’anno 1997: sul punto la Corte territoriale ha risposto richiamando la decisione del Tribunale secondo cui non vi era prova che si fosse perfezionato “inter partes” un accordo “riguardo alle garanzie per cui è causa” (relative al periodo 1.1.1998 – 31.12.1999) risultando irrilevanti gli accordi ed i comportamenti tenuti in precedenza dalle parti (e tali sono appunto i comportamenti di cui la ricorrente lamenta la omessa considerazione). Del tutto indimostrata è poi la allegazione in fatto, peraltro nuova, secondo cui CONDOTTE, successivamente al 1997 non avrebbe richiesto la ripetizione di quanto indebitamente pagato, non essendo stata fornita dalla ricorrente alcuna indicazione di prove acquisite nei gradi di merito in ordine a detta circostanza. Le invocate ammissioni rese dal rappresentante legale di CONDOTTE, quando anche evidenzianti un errore di fatto del Giudice di appello (che ha limitato tali ammissioni al periodo precedente, fino al 31.12.1997), non consentono di superare la “ratio decidendi” della sentenza fondata sulla mancanza di un criterio convenzionale predeterminato di individuazione della misura del corrispettivo, che rifluisce nella mancanza di un elemento essenziale dell’accordo (art. 1346 c.c.), e contro la quale si infrange anche la censura, genericamente prospettata, della omessa applicazione della norma ermeneutica di cui all’art. 1367 c.c..

Priva di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, è poi la censura dedotta in relazione alla violazione dell’art. 1374 c.c., con riferimento all’art. 1474 c.c..

Non è dubbio in via di principio che un accordo debba ritenersi regolarmente perfezionato anche nel caso in cui l’oggetto (o come nella specie una delle prestazioni) sia indeterminato attualmente, ma comunque determinabile (art. 1346 c.c.). Ed è altrettanto innegabile che se le parti abbiano omesso di indicare alcun criterio esterno anche soltanto “per relationem”, si tratta di indagare se la fattispecie negoziale possa essere regolata, sotto il profilo della determinabilità dell’oggetto, mediante forme integrative di determinazione “legale” (es. art. 1474 c.c., art. 1740 c.c., comma 1) od anche “giudiziale” (es. artt. 1657,1709 c.c.).

Tanto premesso, osserva il Collegio che il richiamo all’art. 1474 c.c., non è conferente, in quanto la fattispecie normativa si riferisce allo scambio di “cose che il venditore vende abitualmente” contro prezzo, mentre nella specie non ricorre nè l’ipotesi di vendita di una “res”, nè la condizione di abitualità della prestazione resa quale attività commerciale ordinariamente svolta da FINTECNA e per la quale sia rilevabile un corrispettivo “normalmente praticato” al pubblico (la censura ancora prima che infondata pecca quindi del requisito di specificità, non essendo stato neppure indicato da FINTECNA quale sia il prezzo “ordinario” della fidejussione offerto sul mercato).

Quarto motivo: nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente e contraddittoria; violazione degli artt. 106 e 113 TUB nel testo pro tempore vigente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo investe la statuizione della sentenza che nega la equiparazione di FINTECNA a soggetto autorizzato ad esercitare l’attività bancaria.

Trattasi di censura rivolta esclusivamente alla statuizione sopra indicata alla lett. c-3), come tale è inammissibile, in quanto non è idonea a scalfire le altre “rationes decidendi” indicate alle lettere a) e b) sulle quali si regge in modo autonomo la decisione.

In ogni caso la censura non è assistita dal requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la ricorrente non indica il documento, ritualmente prodotto in giudizio, ovvero altra prova ritualmente acquisita nei gradi di merito, da cui emerga il riscontro del fatto contrario (ossia la iscrizione di FINTECNA nell’elenco degli intermediari autorizzati dalla Banca d’Italia ad esercitare l’attività finanziaria di prestazione di garanzie) a quello affermato dalla Corte territoriale, nè viene sviluppato in alcun modo l’argomento giuridico volto a contestare – attraverso l’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria – la statuizione della irrimediabile indeterminatezza del corrispettivo oggetto dell’accordo.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e FINTECNA condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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