Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1385 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/01/2020, (ud. 19/12/2018, dep. 22/01/2020), n.1385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27281-2014 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIACOMO CANEVA

19, presso lo studio dell’avvocato MARIO CERVONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCELLO TAGLIOLI;

– ricorrente –

contro

CONCERIA MONTANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO BOGGIA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LUCA MARRA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 473/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/05/2014 R.G.N. 1206/2012.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Firenze, con sentenza pubblicata in data 13.5.2014, ha rigettato il gravame interposto da G.A., nei confronti della Conceria Montana S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale di Pisa, con la quale era stata respinta la domanda del lavoratore volta ad ottenere il compenso per lavoro straordinario asseritamente prestato, dal maggio 2004 all’aprile 2009, quale responsabile del magazzino presso la predetta società;

che per la cassazione della sentenza ricorre il G., articolando tre motivi, cui resiste con controricorso la società datrice di lavoro;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “errata e o falsa applicazione di legge ed in particolare del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 17” e si lamenta che i giudici di secondo grado avrebbero erroneamente ritenuto che non vi fosse la prova idonea in ordine alla irragionevolezza delle prestazioni eccedenti l’orario ordinario;

ed inoltre, che non avrebbe considerato che il G. rientrava, ai sensi del D.Lgs. n. 66 del 2003, artt. 3,4,5,7,8,12 e 13 nell’ambito dei lavoratori la cui prestazione lavorativa svolta al di fuori dell’ordinario orario di lavoro doveva essere retribuita in via autonoma e maggiorata ed in stretta correlazione con il quantum di ore di straordinario effettivamente svolto; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, avendo la Corte distrettuale, a parere del ricorrente, erroneamente reputato che il G. non avesse fornito prova adeguata circa la costante prestazione di lavoro eccedente l’orario ordinario; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per motivazione mancante e/o inidonea, per avere i giudici di secondo grado “omesso a tratti la motivazione, fondata nella sua parte fondamentale su una errata interpretazione di una norma di diritto e sulla errata o omessa valutazione delle fonti di prova che avrebbero dovuto condurre il Giudicante a ben altre conclusioni, se avesse letto in maniera corretta ed organica quanto riferito dai testimoni”;

che il primo motivo non è fondato; ed invero, deve, innanzitutto, osservarsi che il G., incontestatamente, svolgeva le mansioni di responsabile del magazzino, con inquadramento nel livello B2 -impiegato con funzioni direttive – del CCNL di categoria e che, conseguentemente e condivisibilmente, anche alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali della Corte di legittimità nella materia (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 21253/2012; 13882/2004; 12301/2003), la Corte di merito, ha escluso che allo stesso spettasse una maggiorazione della retribuzione a titolo di lavoro straordinario, sia in quanto non ne aveva fornito la delibazione probatoria, sia perchè il medesimo era inquadrato nella categoria del personale direttivo, sottratto, in quanto tale, alla disciplina dell’orario di lavoro di cui al D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 17; pertanto, in conseguenza della disciplina legale e contrattuale delle limitazioni dell’orario di lavoro applicabile al rapporto e non essendo stato dimostrato che “le prestazioni eccedenti l’ordinario, anche ove sussistenti, sconfinassero oltre i limiti della “ragionevolezza”, dal momento che non è emerso con certezza…. se e quanto tempo prima delle 8 il ricorrente si recasse al lavoro; se e quanto tempo vi si trattenesse dopo il termine dell’orario serale; se abbia realmente lavorato il sabato anche nei periodi di chiusura estiva, natalizia o festiva”, chiusura, peraltro, “confermata con sicurezza da numerosissime testimonianze”, deve escludersi il diritto del lavoratore al compenso per lavoro straordinario;

che il secondo ed il terzo motivo – che possono essere trattati congiuntamente per motivi di connessione e che, nella sostanza, tendono ad una nuova valutazione del fatto, che non può trovare ingresso in questa sede – sono inammissibili; al riguardo, è da osservare, innanzitutto, che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, in data 13.5.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche sintetiche, ma congrue, poste a fondamento della decisione impugnata;

che, inoltre, il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito; per la qual cosa “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); e, nella fattispecie, la Corte distrettuale, come innanzi osservato, è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un percorso motivazionale condivisibile e scevro da vizi logico-giuridici in ordine al mancato riconoscimento dello svolgimento di lavoro straordinario da parte del G.; mentre le censure sollevate, al riguardo, da quest’ultimo, appaiono, all’evidenza, finalizzate ad una nuova valutazione degli elementi di fatto, attraverso la mera contestazione della valutazione degli elementi probatori, senza che vengano neppure trascritte le dichiarazioni testimoniali oggetto di doglianza, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6;

che, infine (e per quanto specificamente attiene al secondo mezzo di impugnazione), ai sensi dell’art. 348-ter, comma 4 e 5 codice di rito, “in caso di doppia conforme, è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicchè il sindacato di legittimità del provvedimento di primo grado è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili” (così testualmente – e tra le molte -, Cass., Sez. VI, n. 26097/2014); che, pertanto, in tali ipotesi, “il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4)”; e tale disposizione, inserita dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, è applicabile al caso di specie, ai sensi del comma 2 cit. articolo (che stabilisce che le norme in esso contenute si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della Legge di conversione del citato decreto), essendo stato introdotto il gravame con atto notificato in data 13.11.2012;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va respinto;

che le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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