Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1385 del 21/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 21/01/2011), n.1385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21860/2006 proposto da:

C.L., S.S., elettivamente domiciliati in

ROMA VIA NOMENTANA 263, presso lo studio dell’avvocato MICHELANGELO

MATTIA, rappresentati e difesi dall’avvocato TADDEO Luigi, giusta

delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 137/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 03/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/11/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato TADDEO LUIGI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.S. e C.L. impugnavano l’avviso di accertamento, relativo all’IRPEF anno d’imposta 1993, che aveva tratto origine da una segnalazione della G.d.F. di Napoli che, a seguito di verifica a carico della società Dasbo Carni s.r.l. aveva rilevato l’utilizzo di fatture false da parte dei ricorrenti.

Eccepivano l’illegittimità dell’accertamento in quanto motivato per relationem ad altri atti ad essi ignoti e l’esistenza di una regolare contabilità relativa a rapporti economici reali.

La Commissione Tributaria Provinciale, riconoscendo che le affermazioni della Guardia di Finanza erano state acquisite acriticamente, accoglieva il ricorso.

Contro tale sentenza l’Ufficio proponeva appello; i contribuenti resistevano eccependo preliminarmente la mancata allegazione dell’autorizzazione della D.R.E..

La Commissione Tributaria Regionale di Napoli, indicata in epigrafe, accoglieva l’appello.

Contro tale sentenza i contribuenti propongono ricorso per cassazione articolato su di un triplice motivo; l’agenzia non controdeduce.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Con il primo motivo del ricorso in esame i contribuenti denunciano la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, nonchè vizio della motivazione, per non avere il giudice dell’appello risposto sull’eccezione come formulata – relativa alla omessa allegazione dell’autorizzazione, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, della competente Direzione Regionale -, ma su un’eccezione mai formulata relativa all’esistenza dell’autorizzazione stessa.

Il motivo, come proposto, è infondato.

Deve preliminarmente rilevarsi che il citato art. 52, comma 2, che prevedeva l’autorizzazione de qua, è stato abrogato dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 1, lett. c; tuttavia dovendo configurarsi l’autorizzazione di cui a tale norma come un presupposto processuale (Cass. 1914 del 2008), l’abrogazione di cui sopra non potrà avere alcun effetto, essendo intervenuta in epoca successiva alla impugnata sentenza.

Nel caso di specie, pertanto, l’autorizzazione richiesta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, doveva esistere ed essere anteriore alla proposizione del gravame. Il giudice dell’appello sul punto ha ritenuto che tanto sia stato provato essendo stata indicata sia il numero di protocollo che la data di rilascio della stessa. Pur non essendo stata detta autorizzazione prodotta, tale decisione è, ad avviso di questo collegio, corretta in quanto gli elementi forniti dall’appellante, ovvero il numero di protocollo e la data di rilascio, sono tali da consentire la verifica dell’avvenuto rilascio dell’autorizzazione e della circostanza che tale rilascio sia antecedente alla proposizione dell’appello.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti eccepivano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere dato il giudice dell’appello valore di prova al processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza presso un terzo in assenza di esso contribuente e con riferimento a fatti accaduti nel 1993, cioè sei anni prima dell’accertamento notificato nel 1999.

Il motivo, come proposto, è inammissibile (Cass. 16459/2004) alla luce del pacifico e condiviso principio, (Cass. SS.UU. n. 5802 dell’11.6.1998) secondo cui il vizio di motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale desumibile dalla sentenza, sia ravvisabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, posto che la citata norma conferisce alla Corte di Cassazione solo il potere di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui spetta individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Si è coerentemente ritenuto (Cass. 14.4.2000 n. 4891; 4.3.2000 n 2446; 5.5.98 n. 4525) che la motivazione può dirsi carente solo quando il giudice ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza una adeguata disamina logico-giuridica.

Nel caso di specie il ricorrente lamenta, con riferimento alla motivazione, che la stessa sia basata su presupposti errati, fuorvianti e non omogenei, consistenti nella valenza probatoria data al processo verbale della Guardia di Finanza. In effetti la motivazione dell’impugnata sentenza esamina a tutto tondo la pluralità di elementi indiziari sottoposti al suo vaglio: sul punto è pertanto precisa, congrua e conforme ai principi costantemente affermati da questa Corte la quale ha affermato (Cass. n. 2847 del 2008; n. 1023 del 2008) “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale”.

3. Con il terzo motivo i contribuenti eccepiscono la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, per avere il giudice dell’appello ritenuto legittima l’esibizione di documenti prodromica all’accertamento (il processo verbale della G.d.F.) solo in sede di appello.

Il motivo è infondato secondo i principi già enucleati da questa Corte (Cass 2008 n. 28019 e, a contraris, Cass. n. 23580 del 2009) che ha affermato: “In tema di appello avverso le decisioni delle commissioni Tributarie di primo grado, il D.Lgs. n. 54 del 1992, art. 58, comma 2, consente alle parti di produrre nuovi documenti, indipendentemente dalla circostanza dell’impossibilità incolpevole dell’interessato di produrli in primo grado; requisito, quest’ultimo, richiesto dall’art. 345 c.p.c., u.c., ma non dal citato art. 58. Da ciò consegue che costituisce erronea applicazione della norma in parola l’affermazione secondo cui la produzione documentale nel giudizio d’appello risulta illegittima ove non sia stata provata l’impossibilità incolpevole di versarla agli atti del giudizio di primo grado”.

Correttamente pertanto il giudice dell’appello ha preso in considerazione il processo verbale della Guardia di Finanza prodotto solo in appello dall’ufficio.

In ragione di tutto quanto sopra esposto il ricorso va rigettato.

Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese del giudizio di legittimità atteso che l’intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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