Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1385 del 19/01/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 1385 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: LORITO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso 17451-2012 proposto da:
COMMERCIAL PESCA (COM. PESCA) S.R.L., in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36-A,
presso lo studio dell’avvocato FABIO PISANI,
rappresentata

e

difesa

dall’avvocato

AGOSTINO

EQUIZZI, giusta delega in atti;
– ricorrente 2017
3669

contro

SANGUEDOLCE ATTILIO, GANCITANO MATTEO, ASARO GASPARE;
– intimati –

avverso la sentenza n. 2161/2011 della CORTE
D’APPELLO di PALERMO, depositata il 29/12/2011 R.G.N.

Data pubblicazione: 19/01/2018

1734/2007.

n. r.g. 17451/2012

RILEVATO CHE

la Corte distrettuale perveniva a tale convincimento sulla scorta dei
seguenti rilievi: l’espletata istruttoria aveva evidenziato la responsabilità
dell’evento infortunistico in capo alla società per effetto della condotta
assunta dal preposto capitano della nave, al quale era risultata addebitabile
l’omessa vigilanza sulle modalità di esecuzione dell’operazione di
riavvolgimento dei cavi di acciaio nel corso della quale il Sanguedolce aveva
riportato gravi lesioni al braccio destro; nessuna responsabilità diretta
dell’evento era peraltro riconducibile al comandante ed al macchinista
atteso che “la condotta ascrivibile in capo ai due agenti si trova pur sempre
in rapporto di occasionalità necessaria con le mansioni espletate… ed è per
ciò solo riconducibile alla sfera del datore di lavoro”; non era configurabile
alcun concorso di colpa del lavoratore, giacché in caso di violazione di
norme poste a tutela della integrità fisica del lavoratore, il datore è
interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito poiché ha il
dovere di proteggere l’incolumità di quest’ultimo nonostante la sua
imprudenza e negligenza;
avverso tale decisione interpone ricorso per Cassazione la società affidato a
tre motivi;
gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
CONSIDERATO CHE
1.con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt.1228,
2043, 2049 c.c. in relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.;
deduce l’erroneità degli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale la
quale, dopo aver dichiarato la responsabilità della società in relazione
all’evento infortunistico occorso al lavoratore ex art.2049 c.c. per fatti
commessi dai loro dipendenti, ha escluso una responsabilità degli stessi,
ritenendo che la condotta posta in essere fosse causalmente connessa alle
mansioni espletate;

la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza resa pubblica in data
29/12/2011, in riforma della pronuncia del giudice di prima istanza,
condannava la s.r.l. Commercia! Pesca al risarcimento del danno biologico e
morale risentito da Attilio Sanguedolce a seguito dell’infortunio occorsogli in
data 10/6/2002, liquidandolo in complessivi euro 478.671,00, detratto
quanto eventualmente liquidato a titolo di danno biologico da parte del
competente ente assicurativo;

n. r.g. 17451/2012

tale accertamento si traduce in diniego di riconoscimento del diritto di

rivalsa che le disposizioni codicistiche riconoscono in favore dei padroni e
committenti condannati per responsabilità contrattuale conseguente ad un
illecito del dipendente, nei confronti di quest’ultimo;

occorre infatti rimarcare il principio risalente nella giurisprudenza di questa
Corte secondo cui l’interesse ad impugnare deve essere interno al processo,
il concreto interesse essendo dipendente da un pregiudizio connesso alla
statuizione del giudice e non derivante da ragioni estranee (cfr. Cass.
11/7/2014 n.16016, Cass. 8/2/2003 n.1915);
in conformità al citato orientamento deve ritenersi che nello specifico, il
ricorso, in parte qua, non sia sorretto da un interesse concreto ed attuale
coerente coi dettami di cui all’art.100 c.p.c., non avendo la società
formulato alcuna domanda di garanzia cd. impropria nei confronti del
proprio dipendente;
3. con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 1218, 1227,
2087, 2697 c.c. in relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.;
ci si duole che la Corte distrettuale abbia escluso il concorso di colpa del
Sanguedolce nella causazione dell’evento dannoso in contrasto con il
consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’obbligo imposto al
datore di lavoro dall’art.2087c.c. di adottare tutte le cautele per
salvaguardare l’integrità psicofisica dei dipendenti, non esime costoro dal
comportarsi secondo la normale prudenza con la conseguenza che, ove si
sia verificato un evento dannoso che risulti determinato da comportamenti
addebitabili sia al datore di lavoro che al lavoratore, deve essere
riconosciuto anche il loro concorso di colpa; in tal senso si palesa l’omessa
valutazione delle dichiarazioni testimoniali raccolte secondo le quali il
lavoratore era intervenuto a sistemare il cavo di propria iniziativa e senza
chiedere, come doveroso, il fermo della macchina;
4. il motivo va disatteso;
invero, la pronuncia impugnata si colloca nel solco dell’orientamento
espresso da questa Corte, secondo cui (vedi ex allis, Cass. 13/1/2017 n.
798) in tema di infortuni sul lavoro e di cd. rischio elettivo, premesso che la
“ratio” di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni
di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza,
imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la
responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia
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2. il motivo è privo di pregio;

n. r.g. 17451/2012

posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al

ciò in quanto il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a
tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile
dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa
del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggerne l’incolumità
nonostante la sua imprudenza o negligenza (in questi sensi, vedi Cass.
5/12/2016 n.24798);
5. con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art.1 comma terzo nn. 10
e 11 d.p.r. 1124/65 ex art.360 comma primo n.3 c.p.c. per avere i giudici
del gravame liquidato il danno senza tener conto, in concreto,
dell’abbattimento dovuto per il pagamento della indennità assicurativa da
parte dell’ente previdenziale, omettendo di accertare se un danno
differenziale fosse ancora dovuto dopo il pagamento dell’infortunio da parte
dell’Ipsema;
6. il motivo è fondato;
come affermato da questa Corte in numerosi e condivisi approdi, in tema di
danno cd. differenziale, il giudice di merito deve procedere d’ufficio allo
scomputo, dall’ammontare liquidato a detto titolo, dell’importo della rendita
INAIL, anche se l’istituto assicuratore non abbia, in concreto, provveduto
all’indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi
della domanda, in quanto l’art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ai commi 6,
7 e 8, fa riferimento a rendita “liquidata a norma”, implicando, quindi, la
sola liquidazione, un’operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete
può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Diversamente opinando, il
lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non
sarebbe tenuto a pagare, né a lui, perché, anche in caso di responsabilità
penale, il risarcimento gli sarebbe dovuto solo per l’eccedenza, né all’INAIL,
che può agire in regresso solo per le somme versate; inoltre, la mancata
liquidazione dell’indennizzo potrebbe essere dovuta all’inerzia del
lavoratore, che non abbia denunciato l’infortunio, o la malattia, o abbia
lasciato prescrivere l’azione (vedi Cass. 31/5/2017 n.13819);
si è al riguardo precisato (cfr. Cass. 10/4/2017 n.9166) che le somme
eventualmente versate dall’Inail a titolo di indennizzo ex art. 13 del d.lgs.
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procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa
esclusiva dell’evento e da creare condizioni di rischio estranee alle normali
modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l’eventuale
coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l’evento è irrilevante sia
sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto;

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n.38 del 2000 non possono considerarsi integralmente satisfattive del
ammalato, sicché, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al
datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all’espletamento
dell’attività lavorativa il giudice adito, una volta accertato l’inadempimento,
dovrà verificare se, in relazione all’evento lesivo, ricorrano le condizioni
soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali stabilite dal d.P.R. n. 1124 del 1965, ed in
tal caso, potrà procedere, anche di ufficio, alla verifica dell’applicabilità
dell’art. 10 del decreto citato, ossia all’individuazione dei danni richiesti che
non siano riconducibili alla copertura assicurativa (cd.”danni
complementari”), da risarcire secondo le comuni regole della responsabilità
civile; ove siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti
gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, potrà pervenire alla
determinazione dell’eventuale danno differenziale, valutando il complessivo
valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le
indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile
dall’Istituto assicurativo, in base ai parametri legali, in relazione alle
medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno
patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento
procederà pure dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico
in confronto all’indennizzo, ed anche se l’Istituto non abbia in concreto
provveduto all’indennizzo stesso;
con la precisazione, in continuità con Cass. 14/10/2016 n. 20807 ed in
motivazione, con Cass.26/6/2015 n. 13222, che il computo del danno
differenziale va operato per poste omogenee, sicché, dall’ammontare
complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale
dell’intera rendita assicurativa, ma solo il valore capitale della quota di essa
destinata a ristorare, in forza dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, il danno
biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla
retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta
all’indennizzo del danno patrimoniale;
7. al lume delle superiori argomentazioni, ed in accoglimento della
formulata censura, la pronuncia impugnata deve essere cassata in parte
qua, con rinvio alla Corte distrettuale designata in dispositivo che
provvederà attenendosi ai summenzionati principi e disponendo anche in
ordine alle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta i primi due; cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le
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diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o

n. r.g. 17451/2012

spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Palermo in diversa

composizione.
Così deciso in Roma nella Adunanza camerale del 27 settembre 2017.

Il Funzionario
Dott.ssa

Il Presidente

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