Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13844 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 20/05/2021, (ud. 12/03/2021, dep. 20/05/2021), n.13844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24823-2013 proposto da:

CAT FRANCE SA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI

PAISIELLO 15, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANO BRUGNOLI, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona. del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 959/2012 della COMM. TRIB. REG. ABRUZZO SEZ.

DIST. di PESCARA, depositata il 30/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/03/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La C.A.T. France S.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 959/09/2012, depositata il 30.08.2012 dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, Sez. staccata di Pescara, con la quale era stato confermato il diniego di rimborso dell’ulteriore 50% del credito d’imposta, richiesto per i tributi dovuti sui dividendi percepiti nell’anno d’imposta 2003 dalla società partecipata C.A.T. Italia s.r.l., ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni, firmata a Venezia tra l’Italia e la Francia il 5 ottobre 1989, art. 10 comma 4, lett. b), e ratificata dalla Repubblica Italiana con L. 7 gennaio 1992, n. 20, entrata in vigore il 1 maggio 1992, nonchè delle ritenute applicate ai dividendi distribuiti.

Dal ricorso si evince che la società, con sede in Francia, deteneva una partecipazione azionaria qualificata nel capitale della società C.A.T. Italia s.r.l., con sede in Italia. Relativamente all’anno d’imposta 2003 la società italiana aveva conferito alla ricorrente dividendi, operando la ritenuta alla fonte prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27. Per quei dividendi la ricorrente aveva già richiesto ed ottenuto il rimborso del 50% del credito d’imposta, ai sensi della Convenzione Italia – Francia, art. 10, paragrafo 4, lett. b). Successivamente la società francese, assoggettata ad imposta nel proprio Stato, aveva richiesto all’Amministrazione finanziaria italiana il rimborso di Euro 383.850,00, di cui Euro 328.270,00 corrispondenti all’ulteriore 50% del credito d’imposta, Euro 55.580,00 per la ritenuta subita sul dividendo lordo distribuito, ed Euro 15.632,00 per la ritenuta subita sul 50% del credito d’imposta già rimborsato. A supporto della domanda aveva invocato l’applicazione della Dir. n. 90/435/CEE, cd. “madre-figlia”, in base alla quale alle società non residenti doveva essere garantito il medesimo trattamento applicato alle società residenti, nonchè la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27 bis. Sull’istanza di rimborso si era formato il silenzio – rifiuto dell’Ufficio.

Era seguito il contenzioso. La Commissione tributaria provinciale di Pescara, con sentenza n. 376/01/2009, aveva rigettato la domanda. L’appello proposto dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, era stato parimenti rigettato con la pronuncia oggetto del presente ricorso. Il giudice regionale, dopo aver rilevato la costituzione di giudicato esterno sul diniego di rimborso della ritenuta del 5% applicata sulla quota di credito d’imposta già rimborsato (con la sentenza n. 110/2007, pronunciata dalla stessa Commissione tributaria regionale), ha ritenuto inapplicabile la direttiva madre-figlia, per avere il contribuente già richiesto il rimborso del credito d’imposta nella misura prevista dalla Convenzione Italia – Francia, incompatibile con l’applicazione della Dir. n. 90/435/CEE, non potendosi cumulare i due benefici e non trovando dunque applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis.

La ricorrente ha censurato la sentenza con tre motivi, chiedendo la cassazione della pronuncia con declaratoria, nel merito, dell’illegittimità del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione e condanna all’esecuzione del rimborso.

Si è costituita l’Agenzia delle entrate, che ha contestato i motivi del ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.

Nell’adunanza camerale del 12 marzo 2021 la causa è stata trattata e decisa. E’ stata depositata memoria ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione della Dir. n. 90/435/CEE, in combinato disposto con l’art. 56, n. 1, CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto che il riconoscimento del solo diritto al rimborso del 50% del credito d’imposta, a fronte del diritto al suo rimborso integrale, previsto per le società aventi sede in Italia, fosse in contrasto con il principio della libera circolazione dei capitali, tutelata invece e prevista dalla normativa Europea;

con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione della Dir. n. 90/435/CEE, art. 5, n. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto della esenzione dalla ritenuta alla fonte degli utili distribuiti da una società figlia alla società madre, disconoscendo pertanto il diritto al rimborso della ritenuta del 5% dell’ammontare del dividendo lordo, applicata dalla società (figlia) sedente in Italia;

con il terzo per la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, comma 1, unitamente al medesimo decreto, art. 27, comma 3, nella formulazione ratione temporis vigente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’illegittimità dell’applicazione della ritenuta del 5%.

I primi due motivi, per la loro intrinseca connessione, relativa alla violazione dei principi Euro-unitari, posti a presidio del trattamento fiscale paritario delle società madri-figlie, quando la prima, percettrice degli utili conseguiti dalla società figlia, non abbia sede nel medesimo Stato della seconda, possono essere trattati unitariamente.

I motivi vanno rigettati nei termini appresso chiariti.

Deve evidenziarsi che nel terzo “considerando” della Dir. n. 435 del 1990, si prende atto “che le attuali disposizioni fiscali che disciplinano le relazioni tra società madri e società figlie di Stati membri diversi variano sensibilmente da uno Stato membro all’altro e sono, in generale, meno favorevoli di quelle applicabili alle relazioni tra società madri e società figlie di uno stesso Stato membro; che la cooperazione tra società di Stati membri diversi viene perciò penalizzata rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro; che occorre eliminare questa penalizzazione instaurando un regime comune e facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello comunitario”. L’art. 3, ai fini della identificazione delle società madri e figlie per l’applicazione della direttiva, specifica che: “a) la qualità di società madre è riconosciuta almeno ad ogni società di uno Stato membro…. che detenga nel capitale di una società di un altro Stato membro una partecipazione minima del 25 %; b) si intende per “società figlia” la società nel cui capitale è detenuta la partecipazione indicata alla lettera a).”. L’art. 4, prescrive che “L Quando una società madre, in veste di socio, riceve dalla società figlia utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione di quest’ultima, lo Stato della società madre: si astiene dal sottoporre tali utili ad imposizione, o li sottopone ad imposizione, autorizzando però detta società madre a dedurre dalla sua imposta la frazione dell’imposta societaria relativa ai suddetti utili e pagata dalla società figlia a fronte dei suddetti utili o, eventualmente, l’importo della ritenuta alla fonte prelevata dallo Stato membro in cui è residente la società figlia in applicazione delle disposizioni derogatorie dell’art. 5, nel limite dell’importo dell’imposta nazionale corrispondente.”. L’art. 5, poi prescrive che “Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre, almeno quando quest’ultima detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della società figlia, sono esenti dalla ritenuta alla fonte”. L’art. 7, paragrafo 2, dispone che: “La presente direttiva lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi”.

Riportanto ora il testo, per quanto qui d’interesse, della Convenzione tra l’Italia e la Francia, l’art. 10, così prescrive: “1. I dividendi pagati da una società’ residente di uno Stato ad un residente dell’altro Stato sono imponibili in detto altro Stato. 2. Tuttavia, tali dividendi sono imponibili anche nello Stato di cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità della legislazione di detto Stato, ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta cosi applicata non può eccedere: a) il 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se l’effettivo beneficiario è una società assoggettabile all’imposta sulle società che ha detenuto direttamente o indirettamente nel corso di un periodo di almeno 12 mesi precedenti la data della delibera di distribuzione dei dividendi, almeno il 10 per cento del capitale della società che paga i dividendi; b) il 15 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi, in tutti gli altri casi. Le disposizioni del presente paragrafo non riguardano l’imposizione della società per gli utili con i quali sono stati pagati i dividendi”. Il paragrafo 4, lett. b) riconosce che “Una società residente della Francia, indicata al paragrafo 2-a) o soggetta alla legislazione francese applicabile alle società madri che riceve da una società residente dell’Italia dividendi che darebbero diritto a un credito d’imposta se fossero ricevuti da un residente dell’Italia, ha diritto ad un pagamento da parte del Tesoro italiano di un ammontare pari alla metà di detto credito d’imposta diminuito della ritenuta alla fonte prevista al paragrafo 2”.

La Commissione regionale ha motivato il rigetto della domanda della società francese, per avere questa già ottenuto il rimborso del credito d’imposta previsto dalla disciplina convenzionale vigente tra l’Italia e la Francia, così che la richiesta del rimborso delle ritenute alla fonte, operate dalla società figlia italiana sui dividendi conferiti alla società madre francese, configurava una inammissibile pretesa di fruizione di due benefici non cumulabili. A tal fine ha anche escluso l’incompatibilità tra la disciplina dettata dalla convenzione bilaterale ed i principi regolatori della Dir. n. 90/435/CEE. L’argomentazione con la quale il giudice regionale ha rigettato la domanda della contribuente è errata, ancorchè il decisum sia corretto, e ciò per quanto appresso chiarito.

Occorre esaminare la fattispecie alla luce dell’interpretazione della normativa comunitaria, ed in concreto occorre valutare se il beneficio già conseguito con il rimborso della metà del credito d’imposta abbia già escluso il rischio di doppia imposizione.

A tal fine è utile soffermarsi sulla più recente giurisprudenza di questa Corte, elaborata tenendo conto dei principi Euro-unitari e degli arresti della Corte di Giustizia Europea. A tal fine deve evidenziarsi che il giudice di legittimità, in riferimento al rapporto tra la direttiva CE e la Convenzione regolante i rapporti tra Italia e Regno Unito contro le doppie imposizioni, ha affermato che “in tema di imposte sui dividendi azionari corrisposti da una società figlia residente in Italia ad una società madre residente in Gran Bretagna, il credito d’imposta previsto dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e la Gran Bretagna, stipulata il 21 ottobre 1988, art. 10, par. 4, lett. b, (ratificata con L. n. 329 del 1990), non è escluso dal riconoscimento dei benefici (nella specie esenzione da ritenuta) della Dir. madre-figlia n. 453 del 1990, (attuata con il D.Lgs. n. 136 del 1993), atteso che detto riconoscimento, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia (causa C-389/18, del 19 dicembre 2019, Brussels Securities), non elimina, necessariamente, il rischio della doppia imposizione economica nè della violazione del principio di neutralità fiscale. Sicchè, deve verificarsi in concreto se il meccanismo di tassazione previsto dallo Stato membro elimini effettivamente detto rischio, dovendosi evitare non soltanto la tassazione diretta dei dividendi in capo alla società madre, ma anche quella indiretta intesa come conseguenza dell’applicazione di meccanismi che, sebbene accompagnati da deduzioni o esenzioni, possono causare alla società madre un trattamento deteriore rispetto a quello che spetterebbe qualora le due società fossero dello stesso Stato, dovendo la percezione dei dividendi essere fiscalmente neutra per la società madre, con riguardo all’assoggettamento ad imposta, senza possibilità di opzione e senza esenzione ai sensi della Dir. 30 novembre 2011, n. 2011/96/UE, art. 2, a.iii),” (Cass., 31/01/2020, n. 2313; 19/11/2020, n. 26307, che hanno entrambe esaminato due fattispecie nelle quali il rifiuto del rimborso del credito d’imposta era stato motivato dalla Amministrazione finanziaria dalla esenzione dalla ritenuta sui dividendi, di cui la società madre estera aveva già beneficiato).

Nello specifico si è ritenuto che la questione dovesse trovare soluzione tenendo conto del principio, di matrice Euro-unitaria, della neutralità nella tassazione in rapporti transnazionali. E’ stata a tal fine valorizzata la sentenza della Corte di Giustizia del 19 dicembre 2019 (causa C-389/18, Brussels Securities c/Belgio), che, al contrario di quanto sostenuto dagli uffici finanziari, ha avvertito come la circostanza che la distribuzione del dividendo da parte della società figlia non fosse stata assoggettata a ritenuta in Italia non eliminava necessariamente il rischio di doppia imposizione economica e di violazione della neutralità fiscale.

I principi sottesi alle ragioni esplicitate in questi due precedenti non mutano qualora, applicata la ritenuta ex art. 27 cit., sul dividendo distribuito, la società straniera abbia per ipotesi già ottenuto il rimborso del 50% del credito d’imposta, come previsto dalla Convenzione. L’eliminazione della doppia imposizione “economica” (ipotesi in cui due Stati sottopongono a imposizione contribuenti diversi per lo stesso reddito) è ritenuta infatti obiettivo tipico dell’UE (Avv. Gen., in causa C-389/18, note 15 e 30).

D’altronde la invocata pronuncia della Corte di Giustizia (Brussels Securities c/Belgio), formulando un principio di valore generale, ha affermato che: “La Dir. del Consiglio 23 luglio 1990, n. 90/435/CEE, art. 4, paragrafo 1, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, come modificata dalla Dir. del Consiglio 22 dicembre 2003, n. 2003/123/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i dividendi che una società madre percepisce dalla sua società figlia debbano essere, in un primo tempo, inclusi nella base imponibile della società madre, prima di poter fare, in un secondo tempo, oggetto di una deduzione, nella misura del 95% del loro importo, la cui eccedenza può essere riportata agli esercizi successivi senza limiti nel tempo, deduzione che è prioritaria rispetto ad un’altra deduzione fiscale il cui rinvio sia limitato nel tempo”. Al punto 35) precisa che: “Inoltre, risulta precisamente dal terzo considerando della Dir. n. 435 del 1990, che essa mira ad eliminare, instaurando un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro e a facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello dell’Unione. Tale Direttiva tende così ad assicurare la neutralità, sotto il profilo fiscale, della distribuzione di utili da parte di una società figlia con sede in uno Stato membro alla sua società madre stabilita in un altro Stato membro (sentenze del 1 ottobre 2009, Gaz de France – Berliner Investissement, C-247/08, EU:C:2009:600, punto 27 e giurisprudenza ivi citata, e dell’8 marzo 2017, Wereldhave Belgium e a., C-448/15, EU:C:2017:180, punto 25)”. Al punto 36) evidenzia che: “Al fine di assicurare l’obiettivo della neutralità, sotto il profilo fiscale, della distribuzione di utili da parte di una società figlia con sede in uno Stato membro alla sua società madre stabilita in un altro Stato membro, la Dir. n. 435 del 1990, mira ad evitare, in particolare, mediante la regola prevista al suo art. 4, paragrafo 1, primo trattino, una doppia imposizione di tali utili, in termini economici, vale a dire ad evitare che gli utili distribuiti siano colpiti, una prima volta, a carico della società figlia, e, una seconda volta, a carico della società madre (v., in tal senso, sentenze del 3 aprile 2008, Banque Federative du Credit Mutue, C-27/07, EU:C:2008:195, punti 24, 25 e 27, nonchè del 12 febbraio 2009, Cobelfret, C-138/07, EU:C:2009:82, punti 29 e 30)”. D’altronde, nel punto 37, avverte che “la Dir. n. 435 del 1990, art. 4, paragrafo 1, primo trattino, vieta agli Stati membri di sottoporre ad imposizione la società madre a titolo di utili distribuiti dalla sua società figlia, senza distinguere a seconda che l’imposizione della società madre abbia come fatto generatore la percezione di tali utili o la loro ridistribuzione (v., in tal senso, sentenza del 17 maggio 2017, X, C-68/15, EU:C:2017:379, punto 79) e che rientra in tale divieto anche una normativa nazionale che, pur non assoggettando ad imposta i dividendi percepiti dalla società madre in quanto tali, può comportare che la società madre subisca indirettamente un’imposizione su tali dividendi (v., in tal senso, sentenza del 12 febbraio 2009, Cobelfret, C-138/07, EU:C:2009:82, punto 40)”, per concludere sull’argomento, al punto 38, che “infatti, una normativa di questo tipo non è compatibile nè con il testo nè con gli obiettivi e il sistema della Dir. n. 435 del 1990, poichè non consente di raggiungere pienamente l’obiettivo della prevenzione della doppia imposizione economica, quale previsto da tale Dir., art. 4, paragrafo 1, primo trattino, (v., in tal senso, sentenza del 12 febbraio 2009, Cobelfret, C-138/07, EU:C:2009:82, punti 41 e 45)”.

In altri termini è necessario l’esame, nel concreto, del meccanismo di tassazione applicato, al fine di accertare non solo se sia stata effettivamente evitata la doppia imposizione, ma ne sia stato scongiurato il rischio, nel rispetto del principio di neutralità fiscale, tutelato dalla Direttiva.

Ebbene, è evidente che la decisione impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati. Tuttavia, nel reclamare, dopo il rimborso del 50% del credito d’imposta, il diritto all’ulteriore rimborso dell’altra metà del credito d’imposta, nonchè la restituzione degli importi corrispondenti alle ritenute subite sul dividendo lordo distribuito e sulla frazione di credito d’imposta già rimborsato, la società ricorrente non ha illustrato quale fosse il concreto fondamento della sua pretesa. In particolare non si è neppure premurata di dichiarare se il suo reddito fosse stato sottoposto a tassazione in Francia. Il che, proprio al fine del rispetto del principio di neutralità fiscale, costituisce il primo requisito che la società doveva dimostrare prima di invocare la normativa Euro-unitaria. Non si tratta di dimostrare il quantum della imposizione in Francia, che ai fini del rispetto del principio di neutralità fiscale è irrilevante, ma l’an stesso della imponibilità degli utili percepiti da una controllata sedente in altro Stato UE. Su tale aspetto preliminare la società è stata del tutto silente. E d’altronde la pretesa di rimborso, così come invocata (integrale credito d’imposta e restituzione delle ritenute), va oltre ogni ricostruzione del diritto medesimo, per come riconosciuto dalla stessa dottrina più favorevole alla concreta applicazione della Dir. n. 90/435/CEE, e più in generale delle regole, anche di matrice convenzionale, preposte alla tutela contro la doppia imposizione fiscale.

I motivi vanno dunque rigettati, sebbene integrando e rettificando la motivazione della sentenza impugnata nei termini illustrati. Le ragioni di rigetto dei primi due motivi spiegano anche il rigetto del terzo.

All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente anche nelle spese processuali, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di causa, che si liquidano in Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

 

 

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