Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13844 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19634/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

contro

– ricorrente –

IMMOBILIARE DEL LAGO SRL, rappresentata e difesa dall’avv. Ivan

Filippelli, elettivamente domiciliata presso in Roma, via Gian

Giacomo Porro, n. 8, presso lo studio dell’avv. Simona Pelliccioni.

– controricorrente –

EQUITALIA NORD SPA

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, sezione n. 14, n. 01/14/13, pronunciata in data

17/09/2013, depositata in data 23/01/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio

2020 dal Consigliere Riccardo Guida.

Dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore generale Rita Sanlorenzo ha depositato una memoria nella

quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

Immobiliare del Lago Srl, con distinti ricorsi, impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino gli avvisi di accertamento IRES, IRAP, IVA, per gli anni d’imposta 2005, 2006, 2007 – nonchè gli atti di iscrizione d’ipoteca legale e di pignoramento presso terzi e le prodromiche cartelle di pagamento, per le stesse annualità – che recuperavano a tassazione costi indeducibili e indetraibili, emessi sulla base del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza di Torino che contestava alla contribuente la fittizia interposizione nella compravendita di prodotti di telefonia mobile, tra la cedente TIM Italia Spa e la cessionaria (effettiva) Thesound Srl, attuata mediante la ricezione e l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;

la CTP di Torino (con sentenza n. 105/12/2011), riuniti i ricorsi, li rigettò, o, meglio, rigettò quelli riguardanti le opposizioni agli atti impositivi e avverso l’iscrizione d’ipoteca legale, e dichiarò la carenza di giurisdizione del giudice tributario sulla domanda di annullamento dell’atto di pignoramento presso terzi;

sull’appello della società, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la sentenza indicata in epigrafe, nel contraddittorio dell’Agenzia, ha così testualmente deciso: “In riforma della sentenza impugnata dichiara inesistente la notifica della cartella esattoriale e dichiara assorbita ogni altra questione e revoca il rinvio all’udienza del 12 novembre 2012 ed annulla gli atti esecutivi in corso (…)”, sulla base di queste considerazioni: (a) è condivisibile il riferimento dell’appellante all’applicabilità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, che tratta la materia delle c.d. fatture soggettivamente inesistenti e ne prevede la deducibilità ai fini IRES e IRAP; (b) è altresì condivisibile, in tema di IVA, l’orientamento giurisprudenziale che riconosce la “deducibilità (…) delle fatture” in caso di correttezza formale, bona fides e mancanza di fraudolenza del contribuente, dovendosi nel caso in esame valorizzare il decreto d’archiviazione emesso (in data 12/06/2001) dal GIP nei confronti dell’amministratore della società contribuente, per l’assenza del dolo, quale elemento soggettivo del delitto d’evasione fiscale; (c) posto che, per la giurisprudenza di legittimità, è onere dell’ufficio (attore sostanziale nel processo tributario) dimostrare la falsità dell’operazione e che, nella specie, gli elementi addotti dall’ufficio a sostegno delle pretese fiscali erano quegli stessi elementi inutilmente forniti nel corso dell’indagine penale, la società, a dimostrazione del proprio comportamento esente da dolo o frode, aveva sostenuto che l’interposizione le era stata imposta dal proprio partner commerciale (TIM Italia Spa) e che essa contribuente si era avvalsa di una società immobiliare ampiamente capiente, anzichè di una, più logica (ove l’operazione fosse stata fraudolenta), “scatola vuota”; (d) ai fini della verifica della validità della notifica della cartella esattoriale, contestata dalla società, risultava che la contribuente non avesse cessato la propria attività nè mutato la sede sociale, tanto è vero che, nello stesso periodo in cui sarebbe avvenuta la presunta notifica della cartella, essa aveva ricevuto, al medesimo indirizzo, altra corrispondenza riguardante questa controversia;

l’Agenzia propone ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione regionale, con cinque motivi; la società resiste con controricorso, illustrato anche con una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a. preliminarmente, è priva di fondamento l’eccezione della società, di inammissibilità del ricorso per cassazione, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, a giudizio di questa Corte, come si evince anche dalla trama dei seguenti motivi d’impugnazione, il ricorso dell’Agenzia reca l’esposizione sommaria dei fatti di causa;

1. con il primo motivo del ricorso (“1) art. 360 c.p.c., comma 1,n. 4) – Nullità della sentenza per il contrasto tra la motivazione e il dispositivo, con violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, nn. 4 e 5.”), l’Agenzia censura il vizio strutturale della sentenza impugnata, che impedisce di cogliere la ratio decidendi della pronuncia e il comando giudiziale che da essa deriva, in quanto la motivazione della sentenza riguarda sia gli avvisi di accertamento che l’inesistenza della notifica della cartella esattoriale, mentre il dispositivo riguarda esclusivamente l’inesistenza della notifica della cartella, con assorbimento di ogni altra questione;

1.1. il motivo è infondato;

va data continuità al fermo indirizzo della Corte (Cass. 17/10/2018, n. 26704; conf.: nn. 16488/2006, 26077/2015, 22433/2017, 5939/2018) per il quale il contrasto tra motivazione e dispositivo che determina la nullità della sentenza ricorre solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, nel suo complesso, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, ricorrendo nelle altre ipotesi un mero errore materiale;

nella specie, non vi è alcuna incertezza sul contenuto essenziale del decisum che si sostanzia nell’integrale accoglimento dell’appello della contribuente, e cioè non soltanto (come espressamente statuito) nell’annullamento della cartella, ma anche nella conferma della sentenza di primo grado che ha annullato gli atti impositivi, in assenza (ed è questo il convincimento della CTR) dei presupposti per l’emissione degli avvisi;

2. con il secondo motivo (“2) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – Errata interpretazione ed applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8 e violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109.”), l’Agenzia rileva che, sebbene i costi rappresentati da fatture soggettivamente inesistenti non siano, per ciò stesso, riconducibili a quelli direttamente utilizzati per il compimento di delitti, in ogni caso la loro deducibilità è subordinata all’esistenza dei requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (art. 109, t.u.i.r.), sicchè ascrive alla sentenza impugnata di non essersi pronunciata sull’inerenza degli acquisti dei beni di telefonia mobile da parte della contribuente, che era una società immobiliare che non aveva tale attività nel proprio oggetto sociale;

2.1. il motivo è fondato;

per quanto concerne la materia della deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi apparentemente sostenuti dalla contribuente per l’acquisto della merce, si ribadisce il costante orientamento di questa Corte, per il quale: “In tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. in L. 26 aprile 2012, n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale “ius superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.” (Cass. 17/12/2014, n. 26461; 07/06/2018, n. 17788; n. 13803/2014);

nella fattispecie, la CTR, discostandosi da tali principi di diritto, ha omesso di verificare la certezza e l’inerenza dei costi rappresentati dalle contestate fatture, quali imprescindibili elementi del componente negativo di reddito, in base al t.u.i.r. e al decreto IRAP; sicchè, in applicazione di tali disposizioni normative, con riferimento alla deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette (e non, quindi, con riferimento al diverso tema della detraibilità dell’IVA), si rende necessario accertare, con verifica impossibile in sede di legittimità e devoluta al giudice del rinvio, se detti costi siano concretamente rispettosi dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determina bilità;

3. con il terzo motivo (“3) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – Omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, e comunque omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti.”), l’Agenzia censura il vizio di motivazione della sentenza impugnata che ha ravvisato la correttezza formale dell’operazione e la buona fede della contribuente, senza considerare tutti gli elementi allegati dall’Amministrazione finanziaria a dimostrazione del fatto che la stessa società aveva agito come una “cartiera”, sintetizzabili nelle seguenti circostanze: sia Immobiliare del Lago Srl, priva di qualsiasi struttura aziendale (essendo, in sostanza, un ente di mera intestazione immobiliare), che Thesound Srl (effettiva cessionaria degli apparecchi di telefonia mobile) erano interamente partecipate e amministrate da un unico soggetto, P.M.M.; la merce veniva consegnata direttamente a Thesound Srl, senza alcun intervento di Immobiliare del Lago Srl; per di più, la rivendita avveniva al medesimo prezzo al quale quest’ultima aveva acquistato il materiale da TIM Italia Spa;

4. con il quarto motivo (“4) art. 360 c.p.c., n. 3, Violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19. Art. 360, n. 5 – Contraddittoria motivazione basata sul solo e unico elemento di prova valorizzato a favore del contribuente (Archiviazione del procedimento penale).”), l’Agenzia critica l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata, che si regge esclusivamente sull’archiviazione penale ed omette di indicare perchè erano stati ritenuti irrilevanti gli argomenti di prova di segno opposto offerti dall’ufficio, e, ancora, non considera che, nel menzionato decreto di archiviazione, pur escludendosi il dolo di evasione in capo al sig. Pascale, si affermava che era indiscutibile che Immobiliare del Lago Sri non fosse la reale destinataria della merce;

sotto altro profilo, l’Agenzia fa valere la circostanza che, al fine di negare il diritto alla detrazione IVA, è sufficiente anche un comportamento meramente colposo dell’impresa nel non rilevare l’incongruenza tra la realtà effettiva e quanto esposto nelle fatture;

5. con il quinto motivo (“5) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.”), l’Agenzia premette che la sentenza impugnata ha affermato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, spettava all’ufficio, quale attore sostanziale, dare prova della falsità dell’operazione rappresentata nelle fatture prodotte dalla contribuente; addebita, quindi, alla CTR di non conoscere la differenza tra operazioni soggettivamente inesistenti – in relazione alle quali, ai fini della detraibilità dell’IVA, il contribuente deve dimostrare di non essere stato a conoscenza che il fornitore effettivo non era il fatturante, ma un altro – e “frode carosello” – nella quale, invece, incombe sul fisco l’onere di provare, anche per presunzioni, la frode e la partecipazione consapevole del contribuente al reato;

da un diverso punto di vista, l’Agenzia mette in risalto che aveva offerto al giudice d’appello prove presuntive, che non erano state valutate dalla CTR, la quale aveva fondato il proprio convincimento esclusivamente sulla circostanza dell’archiviazione del procedimento penale a carico dell’amministratore della società;

6. il terzo, il quarto e il quinto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati;

6.1. vale la premessa, di carattere generale, per la quale la falsità della fattura è potenzialmente idonea a escludere la riconoscibilità del diritto di detrazione; in particolare, ove si tratti di operazioni che sono state rese al destinatario, che le ha effettivamente ricevute, da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione rappresentata nella fattura (operazioni soggettivamente inesistenti), l’IVA non è, in linea di principio, detraibile perchè versata a un soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta;

in un simile contesto, ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA che tale diritto costituisce: incombe, dunque, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione;

una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di avere svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente;

la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti s’incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, quali: a) l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni (il soggetto formale non è quello reale); b) il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione IVA: non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole;

con specifico riferimento all’elemento sub b, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, la circostanza che l’operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell’IVA non comporta ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione;

è, infatti, configurabile un’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se “non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA” (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagèben e David, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14);

sicchè l’Amministrazione tributaria è tenuta a provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero, con espressione efficace, “a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C-277/14, par. 50);

l’orientamento unitario e consolidato della Corte di Giustizia pone al centro del sistema il principio della neutralità dell’IVA, che esige, qualora siano rispettati i requisiti sostanziali, che la detrazione dell’imposta pagata “a monte” sia riconosciuta, e da cui deriva, sul piano logico e giuridico, l’impossibilità di fissare in via astratta e preventiva circostanze che ostino al riconoscimento del diritto di detrazione, esclusa, dunque, ogni predeterminata ed astratta inversione dell’onere della prova (v. oltre alle decisioni già citate Corte di Giustizia 15 novembre 2017, Rochus e Finanzamt, C-374/16 e C-375/16; v. anche Corte di Giustizia 7 settembre 2017, Equiom, C-6/16, che, seppure con riferimento ad una diversa questione, precisa che “le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo dell’operazione interessata”);

raggiunta tale prova, è onere del contribuente dimostrare – oltre all’effettività del suo interlocutore – la propria buona fede, ossia, mutuando i principi affermati dalle sezioni unite (n. 21105/2017) e propri della giurisprudenza della Corte di Giustizia, “di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto”, non permettendo una diversa conclusione neppure gli accertamenti eventualmente effettuati ed attesa l’inesigibilità di ulteriori e più approfondite verifiche;

in sintesi: in tema d’IVA, ove l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una “frode carosello”, essa ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo l’inesistenza del fornitore, ma anche, sulla base di elementi oggettivi e specifici, che il cessionario sapeva (o avrebbe potuto sapere), con l’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta; incombe, quindi, sul contribuente la prova contraria di avere agito in assenza di detta consapevolezza e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. 13/03/2013, n. 6229; 18/06/2014, n. 13803; 9/09/2016, n. 17818; 14/09/2016, n. 18118; 15/05/2018, n. 11873; 19/04/2018, n. 9721; 20/04/2018, n. 9851; 21/06/2018, n. 16469; 24/08/2018, n. 21104; 30/10/2018, n. 27555; 30/10/2018, n. 27566);

6.2. ciò premesso sul piano dei principi, nella specie la sentenza impugnata è incorsa in un errore di diritto – perchè non ha fatto corretta applicazione del descritto criterio di riparto dell’onere della prova, tra Amministrazione finanziaria e contribuente – e sconta, altresì, un intrinseco deficit dell’apparato argomentativo, in quanto, con un superficiale apprezzamento delle circostanze di fatto e con una motivazione altrettanto lacunosa e carente, trascurando i numerosi elementi oggettivi che l’AF aveva offerto al fine di dimostrare che le dette cessioni integravano operazioni soggettivamente inesistenti, nelle quali, appunto, Immobiliare del Lago Srl svolgeva il ruolo di “cartiera”, ossia di ente fittiziamente interposto tra l’effettiva cedente (TIM Telecom Spa) e l’effettiva cessionaria (Thesound Srl), ha reputato illegittimo il recupero dell’IVA a carico della contribuente in forza di una ratio decidendi sorretta dall’unico, debole elemento oggettivo rappresentato dall’archiviazione del procedimento penale per evasione fiscale a carico dell’amministratore della società destinataria della verifica fiscale;

7. ne consegue che, rigettato il primo motivo del ricorso, accolti il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;

P.Q.M.

la Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo, il terzo, il quarto e il quinto, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020

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