Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13841 del 09/06/2010

Cassazione civile sez. III, 09/06/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 09/06/2010), n.13841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26776-2006 proposto da:

RAS SPA, (OMISSIS), in persona dei dirigenti e legali

rappresentanti fintatati, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato ROMA MICHELE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GALANTINI CARLO

FRANCESCO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.J.G., (OMISSIS); elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio dell’avvocato

CICCOTTI ENRICO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BIAGI ENRICO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza, n. 3364/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Terza Civile, emessa il 06/10/2004, depositata il 01/07/2005;

R.G.N. 593/03;

dita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO;

udito l’Avvocato Antonio DONATONE per delega avv. Michele ROMA;

udito l’Avvocato Enrico CICCOTTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.r.l Perricone & C. e la s.p.a. Ras proponevano opposizione avverso il d.i. per L. 17 milioni emesso dal Pretore di Milano il 3.12.97, su istanza di M.J.G., a titolo di canoni scaduti e non pagati per il periodo (OMISSIS) relativamente ad una unità immobiliare locata dalla ricorrente ad uso ufficio ad essa soc. Perricone, deducendo che nel corso dei lavori di ristrutturazione dei locali concessi in locazione, svolti nel (OMISSIS), era crollato il pavimento e chiedendo, quindi, che venisse accertata la risoluzione del contratto per inadempimento della locatrice, con la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni.

L’opposta contestava le domande ed eccezioni di controparte, chiedendo il rigetto dell’opposizione, nonchè la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento delle opponenti, con la loro condanna al pagamento dei canoni e delle spese maturati sino al giugno del 1998 ed al risarcimento dei danni.

Il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione confermando il d.i., dichiarava risolto il contratto per inadempimento dei conduttori e li condannava al pagamento della somma di Euro 15.478,44 per canoni non pagati, oltre agli interessi legali ed al risarcimento dei danni quantificati in Euro 16.715,02 oltre Iva ed interessi.

Proposto appello dalle opponenti, l’appellata resisteva ai gravame e, quindi, con sentenza depositata il 1,7.05 la Corte d’appello di Milano rigettava l’impugnazione.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Ras, con due motivi, mentre l’intimata M.J. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato in atti una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.M. 5 febbraio 1996 e degli artt. 1578, 1579 e 1580 c.c., nonchè omessa e contraddittoria motivazione circa punti decisivi, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto che le disposizioni del D.M. suddetto, con le quali erano stati stabiliti i coefficienti di sicurezza nelle costruzioni, non potessero essere richiamate quale parametro tecnico necessario a valutare l’idoneità dei locali alla destinazione di locali aperti al pubblico.

Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1578, 1579 e 1580 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 non avendo la Corte territoriale tenuto conto del fatto che, pur nel silenzio del contratto circa i parametri di sicurezza dettati dal citato D.M., è la stessa formulazione delle norme di cui agli artt. 1578, 1579 e 1530 c.c. che presuppone la loro integrazione con le regole poste nell’ambito della scienza delle costruzioni, nè del fatto che, essendo previsto in contratto che l’immobile locato fosse da adibire ad ufficio di un’agenzia di assicurazione, tale destinazione implicasse necessariamente una frequenza del pubblico con possibilità d’affollamento nel senso inteso dalla citata norma edilizia.

1. Il primo motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha giustamente rilevato, con logica e congrua motivazione, che il D.M. in questione, che reca l’epigrafe “Norme tecniche relative ai ‘criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi”, non può trovare applicazione nel caso di specie per il principio d’irretroattività della legge di cui all’art. 11 preleggi, comma 1 essendo pacifico che il decreto entrò in vigore in epoca certamente successiva alla costruzione dell’edificio in cui era posta l’unità immobiliare concessa in locazione e che, quindi, tali criteri non potevano che riguardare le future costruzioni, vale a dire quelle realizzate in data successiva all’entrata in vigore del provvedimento.

Nè vale sostenere che le disposizioni del D.M. 5 febbraio 1996 siano state utilizzate nel caso di specie come parametro tecnico necessario a valutare l’idoneità dei locali alla destinazione di uffici aperti al pubblico, così integrando i criteri posti dalle citate norme del codice civile (artt. 1578, 1579 e 1580 c.c.) al fine di valutare l’idoneità dei locali in locazione all’uso cui risultano destinati, non risultando dal contratto stipulato dalle parti – come rilevato dai giudici di appello – alcuna clausola specificamente diretta a rendere operante tra le parti stesse la normativa tecnica in questione o comunque richiedente la sussistenza di determinate caratteristiche tecniche dei locali in relazione all’attività da svolgere nei medesimi.

Tale silenzio del contratto è particolarmente significativo, in quanto sarebbe stato onere del conduttore, consapevole del tipo di attività da svolgere nei locali presi in locazione e quindi dei relativi sovraccarichi, cui sarebbero state verosimilmente sottoposte le solette, per il peso dei mobili e delle persone destinate a lavorarvi o a frequentare i locali stessi, accertarsi preventivamente che quell’attività (nella specie, agenzia d’assicurazioni) fosse compatibile con la struttura dell’edificio (costruito negli anni trenta del secolo scorso e quindi inevitabilmente privo di quelle caratteristiche tecniche per i sovraccarichi imposte dalle norme emanate in epoca successiva) ovvero pretendere in contratto specifiche garanzie in proposito dal locatore.

2. Anche il secondo motivo non è fondato.

Ed invero, nella prima parte della sentenza impugnata la Corre di merito ha sottolineato come sia dalla c.t.u. che dall’a.t.p. sia emerso che “il crollo delle tavelle del solaio dei locali sottostanti quelli oggetto del contratto di locazione tra le parti, ove si stavano svolgendo lavori di ristrutturazione, fu dovuto proprio alle operazioni poste in essere per la rimozione del pavimento …

escludendo che il crollo possa essere stato causato o favorito da vizi o inidoneità della struttura, in primo luogo in quanto durante lo svolgimento dei lavori la struttura era praticamente scarica e in secondo luogo in quanto essa era in grado di sopportare carichi fino al valore di 200 Kg/mq” (v. pagg. 7-8 della sentenza).

Atteso che la Corte di merito ha correttamente escluso che la normativa di cui al D.M. sopra citato sia applicabile al caso in esame per la sua irretroattività, ne consegue che il profilo da valutare dei vizi della cosa locata ex artt. 1578, 1579 e 1580 c.c. debba necessariamente prescindere dalle caratteristiche tecniche richieste dalla normativa suddetta, così come hanno esattamente fatto i c.t.u. nominati sia nel procedimento di a.t.p. che in quello di cognizione ordinaria, che hanno escluso la sussistenza di vizi dell’immobile locato che ne possano aver pregiudicato l’uso pattuito.

Nè presenta alcun fondamento la denunciata violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., in quanto la prevista destinazione contrattuale dell’immobile locato ad ufficio d’agenzia d’assicurazione non comporta di per sè un’interpretazione che veda come fisiologico un “affollamento” di persone paragonabile a quello di banche, ristoranti o caffè et similia, tipici locali “aperti al pubblico”.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2010

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