Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1384 del 19/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/01/2017, (ud. 06/12/2016, dep.19/01/2017),  n. 1384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11434/2013 proposto da:

A.U., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, V.

GREGORIO VII 474, presso lo studio dell’avvocato VITTORIA MEZZINA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO FALCIOLA, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 72/05/2012 della Commissione Tributaria

Regionale della PUGLIA, depositata il 22/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nella controversia concernente l’impugnazione da parte di A.U. dell’avviso di accertamento, emesso ai fini Irpef, Iva ed Irap per l’anno di imposta 2004, con il quale erano stati accertati, a mezzo studio di settore, maggiori redditi di impresa, il contribuente ricorre, con unico motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in accoglimento dell’appello proposto dalla parte pubblica, aveva integralmente riformato la decisione di primo grado di accoglimento del ricorso.

In particolare, il Giudice di appello, dando atto che le presunzioni scaturenti dall’applicazione degli studi di settore sono presunzioni semplici, rilevava che, nel caso in specie, l’Ufficio non aveva fatto un’ astratta applicazione matematica dei valori emersi dall’applicazione dello studio di settore, avendo tenuto in debito conto la particolare situazione in cui il ricorrente aveva affermato di avere operato nell’anno 2004…di contro il contribuente non ha fornito alcuna prova concreta (“giustificazione dello scostamento dai risultati degli studi di settore.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituali comunicazioni.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo si deduce la violazione e/o falsa interpretazione dell’art. 2967 c.c., laddove è noto il principio per il quale l’accertamento, basato solo sulle risultanze dello studio di settore, è nullo, in quanto costituente mero elemento indiziario mentre la C.T.R. aveva invertito l’onere probatorio.

2. La censura è infondata. Premesso che è pacifico l’avvenuto esperimento del contraddittorio, nella specifica materia, questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012). E’ stato, poi, ulteriormente specificato che a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993 – “gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis, del presente Decreto (id est, D.L. n. 331 del 1993)”.

In tale quadro complessivo è stato, così chiarito che “il tema della “grave incongruenza” appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l’Ufficio procede dalla rilevazione dello “scostamento” ed incrementa il significato presuntivo ad esso attribuibile se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori ed avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analitico-presuntivo” ed ancora che “la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse sicuramente al disotto od oltre tale accento di rilievo, vivendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività” (così Cass. n. 26843/2014).

3. La sentenza impugnata è conforme agli illustrati principi laddove ha (con accertamento in fatto rimasto incensurato) ritenuto che l’Ufficio avesse “modellato” le risultanze degli standards alla concreta attività di impresa svolta dal contribuente mentre quest’ultimo non aveva fornito alcuna concreta e documentata giustificazione sull’accertato scostamento.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, soccombente, alle spese processuali liquidate come in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 2.700, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2017

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