Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13839 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONADI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Mar – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26194-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FUTURA 2003 SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO

TACCHINI 32, presso lo studio dell’avvocato FIAMMETTA GUALTIERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SANDRA SALVIGNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 103/2013 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 05/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/02/2020 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 103/17/2013, depositata in data 5.4.2013 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della società Futura 2003 snc di D.C.S. & c. e dei soci D.C.S. e F.E. avverso la sentenza n. 44/2/2012 della Commissione tributaria provinciale di Benevento che aveva parzialmente accolto i ricorsi riuniti proposti dai contribuenti avverso tre avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, sulla base di un pvc, aveva accertato maggiori ricavi non dichiarati per cessioni di immobili, aveva rettificato il reddito di impresa ai fini IRAP e IVA e i redditi di partecipazione dei soci ai fini IRPEF con relative sanzioni ed interessi.

La CTR, per quanto di interesse, osservava che nessuna preclusione al ricorso poteva discendere dall’affermato accertamento con adesione, atteso che il procedimento non si era perfezionato per mancato pagamento, riteneva regolarmente contabilizzate le fatture e insussistente l’antieconomicità delle operazioni di vendita effettuate su un immobile allo stato grezzo.

Avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Futura 2003 snc resiste con controricorso.

I soci D.C.S. e F.E. non hanno spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo l’ufficio deduce “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 19 giugno 1997, artt. 8 e 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Lamenta che la CTR aveva errato nel ritenere che nessuna preclusione al ricorso poteva farsi discendere dall’accertamento con adesione non perfezionatosi con il pagamento.

La censura non è fondata.

Questa Corte ha stabilito il principio che, in tema di perfezionamento della procedura di accertamento con adesione del contribuente, ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, artt. 8 e 9, il pagamento della prima rata e la prestazione della garanzia non costituiscono una semplice modalità di esecuzione della procedura, ma un presupposto imprescindibile di efficacia della stessa. Ne consegue che, quando sia omessa la prestazione della garanzia, la procedura non può dirsi perfezionata e permane, nella sua integrità, l’originaria pretesa tributaria (Sez. 5, Sentenza n. 22510 del 02/10/2013). Il chiaro tenore della L. n. 218 del 1997, art. 9, vigente ratione temporis (il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 23, comma 18, ha eliminato la necessità di prestazione della garanzia ai fini del perfezionamento dell’accertamento con adesione) escludeva che, in assenza del deposito della garanzia, si potesse considerare perfezionato il procedimento di accertamento con adesione. Da ciò deriva che l’ente impositore, pur potendo far valere la maggiore pretesa impositiva originariamente contestata, non poteva attribuire all’atto di adesione, sottoscritto ma non seguito dagli adempimenti prescritti, il valore di riconoscimento del debito tributario “definito e consolidato”, come preteso dalla Agenzia delle Entrate ricorrente.

2.Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3); censura la sentenza impugnata per non avere adeguatamente valutato i presupposti con i quali si era proceduto all’accertamento analitico-induttivo ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ed aver ritenuto inidonea la documentazione extracontabile posta a fondamento dell’accertamento.

La censura non è fondata

Con l’accertamento analitico-induttivo l’Ufficio finanziario procede alla rettifica di componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) (come in materia di IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54) pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata; sicchè essa possa essere considerata, nel suo complesso, inattendibile (Cass. n. 28728 del 2017; Cass. n. 10581 del 2015; Cass. n. 20060 del 2014; Cass. n. 5731 del 2012; Cass. n 26341 del 2009), con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. n. 28713 del 2017; Cass. n. 16119 del 2017; Cass. n. 26036 del 2015; n. 7871 del 2012).

Nella specie la CTR non ha contestato la legittimità dell’accertamento effettuato dall’ufficio, ma ne ha verificato l’infondatezza, alla luce delle risultanze istruttorie.

Quanto alle fatture ha accertato che le stesse erano state regolarmente contabilizzate, a prescindere dalla dizione “acconto” o “a saldo”.

La CTR ha inoltre escluso l’antieconomicità della operazione rilevando che gli immobili erano stati venduti allo stato grezzo e questo ne giustificava la diversità del prezzo.

Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nella specie non dedotto.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1- quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.800,00 oltre rimborso forfettario spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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