Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13836 del 23/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 23/06/2011), n.13836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Giuseppe Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17870-2009 proposto da:

C.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA NIZZA 53, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO PERNAZZA

(Studio Pernazza), rappresentato e difeso dall’avvocato MALINCONICO

GIOVANNI, giusta procura a margine della seconda pagina del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 295/2008 della Commissione Tributaria

Regionale di ROMA – Sezione Staccata di LATINA del 16.4.08,

depositata il 29/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato Giovanni Malinconico che si

riporta alla memoria.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FEDERICO

SORRENTINO che si riporta alla relazione scritta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nella causa indicata in premessa è stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. comunicata al P.M. e notificata agli avvocati delle parti costituite:

Rilevato che C.A. propone ricorso per cassazione con quattro motivi, avverso la sentenza n. 295/39/08, in data 16-4-2008, pubblicata il 29-5-2009, della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, confermativa della sentenza della CTP di Latina che aveva respinto il ricorso del C. avverso un avviso di accertamento con il quale erano state determinate imposte e sanzioni riferite all’anno 1998 per avere utilizzato lavoratori nella sua azienda agricola per un numero di giornate lavorative maggiori rispetto a quanto dichiarato, con conseguente mancato versamento delle ricevute d’acconto;

che con il primo motivo lamenta violazione dell’art, 42 DPR n. 600 del 1973 in quanto il verbale dell’INPS che aveva eseguito l’accertamento posto alla base del verbale della G. di F. poi recepito dalla Agenzia quale motivazione dell’atto impugnato, era stato annullato dal Giudice ordinario;

con il secondo deduce analoga violazione con riferimento al D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 8 sostenendo che la Agenzia avrebbe dovuto rilevare direttamente la violazione di tale disposizione di legge che rendeva illegittimo l’accertamento dell’INPS, e tale omissione rendeva carente la motivazione dell’accertamento tributano; con il terzo la violazione del menzionato art. 8 in quanto l’atto della Agenzia, fondato esclusivamente sulle risultanze dell’accertamento INPS, nè mutuava la illegittimità; con il quarto difetto di motivazione della sentenza per avere confermato l’atto di accertamento sul rilievo che era stato ritenuto legittimo dai primo giudici e non contestato dall’appellante, fatto ad avviso del ricorrente inesistente in quanto l’appello verteva appunto sulla ritenuta illegittimità dell’avviso di accertamento, ed errata la asserzione della mancata consequenzialità tra la pronuncia del Giudice ordinano ed il procedimento tributario, posto che l’accertamento della Agenzia si fondava su quello previdenziale dichiarato illegittimo: che la Agenzia resiste con controricorso, sostenendo la infondatezza degli assunti di parte; che il primo motivo è inammissibile per genericità del quesito di diritto (“un avviso di accertamento tributario viola l’obbligo di motivazione sancito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, laddove sia motivato per relationem rispetto ad altro atto promanante da pubblici poteri quando l’atto richiamato in motivazione sia stato annullato in quanto illegittimamente emesso”) il quale si risolve in una affermazione astratta senza alcun riferimento al caso concreto, ed inoltre ha come oggetto esclusivo l’atto impugnato, senza richiamare la sentenza che su questo ha giudicato;

che il secondo ed il terzo sono inammissibili per lo stesso motivo essendo il quesito di diritto analogamente strutturato per entrambi ed inoltre rivolgendo la censura non alla sentenza ma all’atto;

che il quarto motivo non è fondato, in quanto la motivazione della sentenza, per quanto sintetica è chiara e comprensibile, nel senso che la Commissione di appello ha negato la validità dell’assunto del ricorrente, peraltro ribadito in tutti i precedenti motivi, della consequenzialità tra procedimento civile e procedimento tributario, affermando quindi il diverso principio della autonomia dei giudizi, secondo cui l’esito di un processo civile non incide sul processo tributario, (tanto più nella specie in cui la pronuncia di detto giudice attiene a motivi di procedura e non al fatto); ed ha ritenuto che, caduto tale presupposto, il ricorrente non aveva sollevato alcuna diversa censura all’atto impugnato; che tale motivazione appare in sè corretta e non contraddittoria, per cui la censura, rivolta alla motivazione e non al principio di diritto applicato, deve essere respinta;

che pertanto il ricorso deve essere rigettato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che, in particolare, nessun elemento nuovo è emerso dalla memoria depositata dal ricorrente, e sostenuta in sede di discussione, in quanto, per i quesiti di diritto, il mero riferimento al fatto che la sentenza aveva deciso diversamente è irrilevante, mancando il riferimento alla “regula iuris” da questa applicata, e, quanto al vizio di motivazione, rimane fermo il fatto che nessun rilievo è stato sollevato dal ricorrente in relazione al fatto storico emergente dal verbale dell’INPS, essendo limitata la censura all’esito di un giudizio ordinano non rilevante in questa sede; e, pertanto, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il contribuente alle spese a favore dell’Ufficio, liquidate in Euro 1.500. oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2011

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