Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13835 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 17/01/2019, dep. 22/05/2019), n.13835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6774/2015 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini, n.

134, presso lo studio dell’avvocato Maurizio Branchicella che la

rappresenta e difende, giusta procura sull’atto di costituzione;

– ricorrente –

contro

Intesa San Paolo S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Delle Milizie n.

1, presso lo studio dell’avvocato Enrico Brugnatelli che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Manuela Maria Grassi,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il

22/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/01/2019 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Milano respingeva le domande proposte da P.M. Intesa Sanpaolo s.p.a. volte alla declaratoria di nullità, all’annullamento o alla risoluzione per inadempimento di alcuni contratti di investimento aventi ad oggetto obbligazioni argentine, oltre che alla restituzione dell’importo corrisposto dalla stessa attrice e al risarcimento del danno da questa sofferto: domande cui si era aggiunta quella diretta all’accertamento della nullità del contratto di deposito per la custodia dell’amministrazione dei titoli, siccome svolta nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1. La pronuncia reiettiva era fondata sulla intervenuta prescrizione.

2. – P.M. proponeva appello contro detta sentenza e la Corte di Milano, con ordinanza del 22 ottobre 2014, dichiarava inammissibile l’impugnazione a norma degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.. Il giudice distrettuale, col detto provvedimento, argomentava riguardo al ritenuto fondamento dell’eccezione di prescrizione, rilevando come le azioni restitutorie e risarcitorie risultassero proposte dopo il decorso del termine decennale: osservava, in proposito, che non poteva attribuirsi efficacia interruttiva della prescrizione a una missiva del 23 febbraio 2009 e che non era corretto far decorrere il termine di decorrenza della prescrizione dal default della (OMISSIS) o dall’effettiva conoscenza, da parte di P., della rischiosità e dannosità delle operazioni poste in atto.

3. – La stessa P. impugna per cassazione quest’ultima ultima pronuncia con cinque motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso Intesa Sanpaolo, che ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso denuncia nullità dell’ordinanza ex art. 360 c.p.c., n. 4. L’istante si duole del fatto che la Corte di merito si sia limitata a dare atto della prescrizione dei diritti restitutori e risarcitori, senza prendere in esame le deduzioni in ordine alle prospettate nullità.

Il secondo mezzo oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 23 t.u.f. (D.Lgs. n. 58 del 1998), artt. 1352 e 1418 c.c.. Osserva la ricorrente che, stante il proprio disconoscimento dei documenti prodotti in giudizio dalla banca, la Corte avrebbe dovuto dichiarare la nullità degli acquisti dei titoli per violazione della forma convenzionale prescritta, per l’operazione, nei contratti quadro.

Col terzo motivo l’ordinanza impugnata è censurata per violazione o falsa applicazione degli artt. 33 cod. cons. (D.Lgs. n. 206 del 2005) e art. 1418 c.c.. Rileva la ricorrente che la Corte di appello aveva ignorato la domanda di nullità da lei svolta e vertente sul carattere abusivo di alcune clausole dei contratti quadro.

Il quarto motivo oppone la violazione o falsa applicazione dell’art. 21, comma 1, lett. c) t.u.f. e dell’art. 27 reg. Consob n. 11522/1998, oltre che dell’art. 1418 c.c.. La censura attiene alla domanda di nullità che la ricorrente assume di aver formulato con riguardo al conflitto di interesse in avviso, versava la banca intermediaria.

2. – I richiamati motivi, che possono congiuntamente, censurano, da diverse angolazioni, cui, a suo esaminarsi l’ordinanza impugnata con riferimento ai profili di nullità che l’istante assume di aver dedotto e di cui la pronuncia non si occupa. Infatti, la Corte di appello, dopo aver osservato che le domande dell’appellante erano manifestamente inaccoglibili, ha preso in esame le sole pretese restitutoria e risarcitoria per spiegare come, a proprio avviso, i correlativi diritti si fossero oramai estinti per intervenuta prescrizione.

Ciò premesso, le censure sono inammissibili.

E infatti, non è possibile sfuggire alla seguente alternativa: o un determinato tema, introdotto in giudizio (nella specie: quello della nullità dei contratti), non viene devoluto al giudice di appello, e allora sul punto si forma il giudicato interno e nessuna impugnazione può essere successivamente svolta al riguardo; oppure sullo stesso tema è spiegato gravame e tuttavia il giudice di appello, nel pronunciare ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., omette di decidere sul motivo o sui motivi proposti: e in questa seconda ipotesi va fatta applicazione del principio per cui l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter cit. non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, ove si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio prognostico che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione (Cass. Sez. U. 2 febbraio 2016, n. 1914).

3. – Col quinto motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. e art. 2943 c.c., comma 4. Assume l’istante che la Corte di merito aveva errato nell’individuazione del termine di decorrenza della prescrizione, giacchè era stata resa edotta del possesso, nel proprio portafoglio, delle obbligazioni (OMISSIS) solo con comunicazione del 12 dicembre 2008. Rileva, inoltre, che il giudice del gravame avrebbe dovuto comunque identificare il dies a quo della prescrizione avendo riguardo alla collocazione dei titoli fuori dal mercato, nel gennaio 2005, o al default occorso nel dicembre 2001. Inoltre, ad avviso dell’istante, non era condivisibile l’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, per cui non poteva attribuirsi efficacia interruttiva della prescrizione alla comunicazione nella raccomandata del 23 febbraio 2009, la quale, secondo il giudice distrettuale, aveva il contenuto di una mera richiesta di trasmissione di documenti.

4. – Anche tale motivo è inammissibile.

Parte ricorrente, a fronte di ordinanza pronunciata a norma dell’art. 348 ter cit., ha impugnato non già la sentenza del Tribunale, quanto, piuttosto, l’ordinanza della Corte di appello, che ha dichiarato inammissibile il gravame.

Nella fattispecie, come in precedenza accennato, si dibatte di nuovi rilievi formulati dal giudice di appello con riguardo al tema della prescrizione, già esaminato dal Tribunale.

Ora, l’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’impugnazione per manifesta infondatezza nel merito non è impugnabile con ricorso per cassazione, neanche ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, a meno che il provvedimento non sia censurato, per error in procedendo, nei casi in cui il relativo modello procedimentale sia stato utilizzato al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge (da ultimo, Cass. 26 settembre 2018, n. 23151, ove il richiamo alla cit. Cass. Sez. U. 2 febbraio 2016, n. 1914): ciò che l’istante nemmeno deduce sia avvenuto. Va rammentato, al riguardo, proprio l’insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui “(a)vuto riguardo ai presupposti del ricorso per violazione di legge previsto dall’art. 111 Cost., comma 7, deve (…i escludersi che l’ordinanza in esame sia impugnabile con censure riguardanti il merito della controversia, giusta la previsione di ricorribilità per cassazione della sentenza di primo grado e quindi la non definitività, sotto questo profilo, dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.” e secondo cui, ancora, le stesse problematiche concernenti la motivazione dell’ordinanza impugnata possono essere censurate, in sede di legittimità, non con la denuncia di un error in judicando, ma solo “attraverso la denuncia di violazione della legge processuale che sancisce l’obbligo di motivazione” (Cass. Sez. U. 2 febbraio 2016, n. 1914 cit., in motivazione).

Questa stessa Corte è venuta per la verità affermando che ove l’ordinanza di inammissibilità del gravame, pronunciata ex artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., indichi ulteriori rationes decidendi, del tutto assenti nella sentenza di primo grado, con le quali il giudice di appello abbia corroborato la propria decisione, questa risulterà autonomamente impugnabile nella parte in cui ha aggiunto e integrato la motivazione del giudice di prime cure (Cass. 9 marzo 2018, n. 5655; sulla stessa linea, nel senso dell’impugnabilità per cassazione dell’ordinanza con cui il giudice del gravame rilevi l’inesattezza della motivazione della decisione di primo grado e sostituisca ad essa una diversa argomentazione in punto di fatto o di diritto: Cass. 23 giugno 2017, n. 15644; Cass. 8 febbraio 2018, n. 3023; Cass. 12 ottobre 2018, n. 25366).

E’ tuttavia da escludere che nel caso in esame possa avere ingresso l’impugnazione per cassazione dell’ordinanza ex artt. 348 bis e 348 ter c.p.c..

Tale ordinanza ha l’effetto di stabilizzare la sentenza di primo grado (idonea a passare in giudicato in mancanza di impugnazione) attraverso una prognosi sull’inaccoglibilità del gravame. La prognosi non cessa di essere tale – e il provvedimento che ne dà conto non si colloca per ciò solo al di fuori dal modello normativo suo proprio – ove si basi su argomentazioni estranee alla pronuncia del giudice di prima istanza: una estensione in tale direzione dell’apparato motivazionale dell’ordinanza sarà anzi del tutto naturale ove il gravame si fondi su deduzioni, non specificamente esaminate dal giudice di prima istanza, ma articolate dall’appellante, che il giudice di secondo grado reputi manifestamente infondate (atte cioè ad escludere che l’impugnazione presenti, anche con riguardo ad esse, “una ragionevole probabilità di essere accolta”). Tale esito è coerente col sistema: infatti l’art. 348 ter c.p.c., comma 4 preclude possa farsi valere il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 con riguardo all’ipotesi in cui l’ordinanza di inammissibilità si fondi sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, sicchè è lo stesso legislatore a riconoscere, implicitamente, che l’ordinanza pronunciata dal giudice di appello possa non basarsi, puramente e semplicemente, sugli esiti coincidenti, in primo e in secondo grado, della risoluzione della medesima quaestio facti: in quest’ultima ipotesi è infatti precluso dedurre col ricorso per cassazione l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti; nelle altre – tra cui è da ricomprendere il caso in cui la motivazione del giudice di appello non investa quella questione, ma altri temi – la censura in discorso è ammessa (sempre che si controverta, come è ovvio, dell’omesso esame di cui al cit. n. 5). La possibilità che la pronuncia di secondo grado possa basare il giudizio prognostico su “ragioni” diverse da quelle prese in considerazione dal giudice di prima istanza è in altri termini presupposta dall’art. 348 ter (che regolamenta diversamente i casi in cui, con riferimento al giudizio di fatto, quelle “ragioni” siano o meno identiche).

Pertanto, non è impugnabile per cassazione l’ordinanza ex artt. 348 bis e 348 ter – la quale si attesti sulla formulazione del giudizio meramente prognostico circa il rigetto nel merito dell’appello – per il sol fatto che essa contenga proprie argomentazioni, estranee alla pronuncia di primo grado.

5. – Il ricorso è dunque inammissibile.

6. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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