Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13832 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 17/01/2019, dep. 22/05/2019), n.13832

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 551/2015 proposto da:

Banca delle Marche Spa in Amministrazione Straordinaria, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, piazza Santiago del Cile 8, presso lo studio dell’avvocato

Marco Battaglia, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Giuseppe Gaeta;

– ricorrente –

contro

C.F.;

– intimata –

e contro

C.O., e C.T., elettivamente domiciliati in

Roma, via Ovidio 26, presso lo studio dell’avvocato Gianluca

Mancini, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

Alessandro Luciani e Carlo Torresi;

– controricorrenti incidentali –

contro

Banca delle Marche Spa, in Amministrazione Straordinaria, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, piazza Santiago del Cile 8, presso lo studio dell’avvocato

Marco Battaglia, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Giuseppe Gaeta;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 704/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 10/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/01/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O., T. e C.F. hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Camerino la Banca delle Marche s.p.a. chiedendo la dichiarazione di nullità, o la pronuncia di annullamento o risoluzione di un ordine di acquisto emesso in data 30/8/2001, avente ad oggetto obbligazioni emesse dalla (OMISSIS) per un controvalore di Euro 192.483,21 e la conseguente condanna della Banca convenuta alla restituzione del capitale versato, oltre accessori, e al risarcimento del danno.

La Banca delle Marche si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande degli attori.

Il Tribunale di Camerino con sentenza del 28/10/2008 ha respinto le domande degli attori, a spese compensate.

2. I tre attori, O., T. e C.F., hanno proposto appello contro la sentenza di primo grado, a cui ha resistito la Banca appellata.

La Corte di appello di Ancona con sentenza del 10/10/2014, notificata in data 27/10/2014, ha accolto il gravame e con esso la domanda di risoluzione proposta dagli attori, condannando la Banca delle Marche a restituire agli appellanti la somma di Euro 192.483,21, con la rivalutazione monetaria in base agli indici Istat dal 21/12/2001 alla sentenza e con gli interessi legali dalla sentenza al saldo, e ha dichiarato compensate le spese del doppio grado di merito.

La Corte territoriale ha escluso che agli attori si potesse attribuire la veste di investitori qualificati e professionali, in ragione degli investimenti in precedenza effettuati e della composizione del loro portafoglio titoli; ha ritenuto che la Banca non fosse pertanto esonerata dal rendere ai clienti le debite informazioni e che l’obbligazione non potesse dirsi adempiuta in virtù del colloquio informativo avvenuto fra C.O. e la dipendente della Banca, C.S., riferito da costei e avvalorato dalla deposizione di altra dipendente, V.S., e nemmeno in virtù dell’avvenuta apposizione sull’ordine della dicitura “titolo a rischio” operazione eseguita fuori dai mercati regolamentati” rischio paese”; ha osservato che, a partire dal marzo del 2001, il rischio di default dei titoli argentini era molto alto e proprio questo avrebbe dovuto essere l’oggetto dell’informativa dovuta, mentre l’intermediario finanziario non aveva prospettato al cliente la sussistenza di un pericolo concreto di una perdita del capitale, alla luce del più recente declassamento; ha ritenuto che l’investimento effettuato fosse inadeguato per dimensione, pur tenuto conto della propensione al rischio manifestata dagli attori, tanto che la stessa funzionaria C. aveva proposto una diversificazione, non accettata da C.O.; ha aggiunto che all’operazione inadeguata poteva esser dato corso solo a fronte di disposizione scritta del risparmiatore, recante esplicito riferimento all’informazione ricevuta circa l’inadeguatezza dell’operazione, che nel caso era mancata; ha considerato l’inadempimento non di scarsa importanza; ha affermato che la prova del nesso causale con il danno era stata fornita per presunzioni; ha ritenuto irrilevante la mancata adesione degli attori all’offerta pubblica della (OMISSIS), che non garantiva con certezza neppure il recupero parziale del capitale.

3. Con atto notificato il 23/12/2014 ha proposto ricorso per cassazione la Banca delle Marche, svolgendo tre motivi.

Con atto notificato (lunedì) 2/2/2015 hanno proposto controricorso e ricorso incidentale O. e C.T., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a loro volta, con il supporto di due motivi, per la cassazione della sentenza di secondo grado, quanto all’omessa pronuncia sulla richiesta condanna della Banca al risarcimento del danno da lucro cessante e alla compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi.

Con controricorso notificato il 12/3/2015 la Banca delle Marche ha resistito al ricorso incidentale avversario.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la Banca delle Marche lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a), (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria: T.U.F.), dell’art. 29, comma 3 Regolamento CONSOB 11522/1998 e dell’art. 1455 c.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

1.1. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale aveva errato ritenendo apoditticamente inadeguata l’operazione posta in essere dai signori C., sia sotto il profilo soggettivo (pur essendo essi esperti e abituali pluri-investitori), sia sotto il profilo oggettivo, disattendendo quanto rilevato dal Tribunale.

La sentenza impugnata aveva fatto riferimento all’informativa resa ai signori C., forzando in modo inaccettabile le risultanze istruttorie e così pervenendo all’accoglimento della domanda di risoluzione.

Il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, consegnato ai clienti, aveva un rilievo fondamentale in ordine alle informazioni fornite alla clientela investitrice, esprimendo il nesso assolutamente inscindibile tra rendimento nominale di un titolo e relativo grado di rischio; non poteva essere trascurata neppure l’apposizione sull’ordine della dicitura “titolo a rischio – operazione eseguita fuori dai mercati regolamentati – rischio paese”, specificamente sottoscritta per approvazione dal cliente.

L’obbligo informativo era stato soddisfatto alla luce della deposizione dei testimoni circa l’esposizione al cliente del rischio connesso ai titoli dei paesi emergenti e alla possibile insolvenza dell’emittente e del tenore della nota apposta sull’ordine sottoscritto dal cliente.

1.2. Inoltre, secondo la ricorrente, anche una volta accertato l’inadempimento, sarebbe stato necessario valutarne l’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto e sull’equilibrio sinallagmatico, dovendosi considerare, anche alla stregua di indici probabilistici, se le supposte informazioni negate al cliente lo avrebbero concretamente indotto a non concludere il contratto.

In tale prospettiva doveva ritenersi che C.O., autore dell’ordine, abituato a investire in titoli azionari e obbligazionari ad altro rischio, già resosi acquirente di un titolo (OMISSIS) similare in data 2/9/1999, rimborsatogli il 4/9/2001, che era stato di suo assoluto gradimento, non avesse provato che non avrebbe egualmente effettuato l’ordine in questione.

1.3. I contro-ricorrenti C. hanno eccepito l’inammissibilità del motivo sotto molteplici profili, in primo luogo perchè volto promiscuamente a censurare con lo stesso mezzo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sia la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, sia “l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Al presente procedimento, in cui la sentenza di appello è stata pubblicata il 10/10/2014, si applica il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risultante dalle modifiche apportate sul previgente testo introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134, che consente l’impugnazione solo “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; tale disposizione infatti, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3 si applica “alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (e quindi dal 25/9/2012).

Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La ricorrente mescola effettivamente all’interno dello stesso motivo sia la doglianza di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, sia quella di “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, non rispettando inoltre le necessarie modalità di deduzione del vizio motivazionale, sopra illustrate.

La giurisprudenza di questa Corte, in tema di motivi promiscui, non ritiene consentito proporre cumulativamente due mezzi di impugnazione eterogenei (violazione di legge e vizio motivazionale), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez.3, 23/6/2017 n. 15651; Sez.6, 4/12/2014 n. 25722; Sez. 2, 31/1/2013 n. 2299; Sez.3, 29/5/2012 n. 8551; Sez.1, 23/9/2011 n. 19443; Sez.5, 29/2/2008 n. 5471). Appare infatti inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Sez. 1, Sent. n. 19443 del 23/09/2011, Rv. 619790 – 01).

E’ pur vero che nella giurisprudenza di questa Corte si è talora ritenuto che l’inammissibilità in linea di principio della mescolanza e della sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Sez.6, 09/08/2017 n. 19893; Sez.un. 6/5/2015, n. 9100).

In particolare, le Sezioni Unite con la sentenza n. 17931 del 24/7/2013 hanno ritenuto che, ove tale scindibilità sia possibile, debba ritenersi ammissibile la formulazione di unico articolato motivo, nell’ambito del quale le censure siano tenute distinte, alla luce dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale, segnatamente a quello, tradizionale e millenario, iura novit curia, ed a quello, di derivazione sovranazionale, della c.d. “effettività” della tutela giurisdizionale, da ritenersi insito nel diritto al “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost., elaborato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile e segnatamente nell’attività di interpretazione delle norme processuali, corrispondere una effettiva ed esauriente risposta da parte degli organi statuali preposti all’esercizio della funzione giurisdizionale, senza eccessivi formalismi.

1.4. Tale operazione non è possibile quanto al presente motivo di ricorso, perchè l’esposizione promiscua delle censure della ricorrente, per giunta svincolate da precisi e puntuali riferimenti ai passaggi motivazionali della sentenza impugnata, non consente alla Corte di cogliere se le doglianze della Banca ricorrente sono rivolte alla ricostruzione dei fatti storici rilevanti per il giudizio o all’erronea applicazione della legge alla fattispecie concreta ricostruita.

1.5. Il motivo inoltre non rispetta nè il principio di autosufficienza, poichè richiama del tutto genericamente le risultanze istruttorie, asseritamente “forzate”, e le prove documentali trascurate, nè quello di pertinenza e specificità, che esige una stretta e puntuale correlazione fra le argomentazioni critiche e i passaggi motivazionali della sentenza impugnata.

Quanto al primo profilo, infatti in virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante un sintetico, ma completo, resoconto del loro contenuto (Sez. 1, 07/03/2018, n. 5478).

Quanto al secondo profilo, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo ex art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, perchè diversamente si impedisce alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. E’ quindi inidonea la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme asseritamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Sez. 1, 23/03/2018, n. 7380).

Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali la decisione è erronea; poichè per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto se si traduce in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione dei motivi della sua erroneità, che debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono (Sez. 3, 14/03/2017, n. 6496).

1.6. La ricorrente introduce, fra le sue note critiche, la difformità di soluzione fra la decisione di primo e quella di secondo grado, del tutto irrilevante ai fini della logica impugnatoria, e non si confronta in modo specifico, puntuale e pertinente con le argomentazioni portanti della decisione oggetto di ricorso, basata sui seguenti caposaldi:

a) insufficienza per l’attribuzione della veste di investitore qualificato e professionale, degli investimenti in precedenza effettuati dal cliente e della composizione del suo portafoglio titoli;

b) insufficienza per l’adempimento dell’obbligo informativo del colloquio informativo avvenuto fra C.O. e C.S. e dell’avvenuta apposizione sull’ordine della dicitura “titolo a rischio – operazione eseguita fuori dai mercati regolamentati – rischio paese”;

c) individuazione specifica del contenuto dell’obbligo informativo a partire dal marzo del 2001 nel rischio di default dei titoli argentini con pericolo di perdita del capitale;

d) inadeguatezza “dimensionale” dell’investimento effettuato alla luce anche della proposta di diversificazione formulata dalla funzionaria C.;

e) mancanza di segnalazione scritta ed espressa di inadeguatezza dell’operazione da parte dell’intermediario, superabile solo a fronte di ordine scritto del risparmiatore, recante esplicito riferimento all’informazione ricevuta di inadeguatezza.

Nella sostanza, la ricorrente non affronta, in modo adeguatamente specifico, la ratio decidendi espressa nella sentenza impugnata, secondo la quale la Banca avrebbe dovuto informare nel dettaglio, espressamente e specificamente, il cliente C. di un rischio concreto e rilevante di perdita del capitale investito (obbligazione questa non soddisfatta da una menzione generica di rischio connesso al Paese emittente) e formulare espressamente un giudizio di inadeguatezza dimensionale dell’operazione, salvo dar corso all’operazione solo a fronte dell’ordine scritto comunque impartito dal risparmiatore, congruamente avvertito.

1.7. Con specifico riguardo alla segnalazione di inadeguatezza di cui all’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, questa Corte (Sez. 1, 26/10/2015, n. 21711) ha già avuto modo di segnalare che anche questo scrutinio si colloca entro l’ambito della pluralità degli obblighi informativi facenti capo agli intermediari finanziari (obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, obbligo di informazione, obbligo di evidenziare l’inadeguatezza dell’operazione), tutti convergenti verso un fine unitario, consistente, per l’appunto, nel segnalare all’investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere.

Per il perseguimento di tale finalità, la segnalazione di inadeguatezza dell’operazione, che l’intermediario deve effettuare nei confronti dell’investitore, in forza del combinato disposto degli artt. 28 e 29 dei Regolamento CONSOB n. 11522, deve, contenere specifiche indicazioni concernenti: 1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto; 2) la precisa individuazione del suo emittente (precisandosi, in particolare, se si tratta di uno Stato, di un ente locale, o di una società privata), non essendo sufficiente la mera indicazione che si tratta di un “Paese emergente”; 3) il rating nel periodo di esecuzione dell’operazione ed il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali situazioni di grey market, ovverosia di carenza di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo; 5) l’avvertimento circa il pericolo di un imminente default dell’emittente (Sez. 1, Sent. n. 1376 del 26/01/2016, Rv. 638414 01).

La regola di adeguatezza espressa dal predetto art. 29, che impedisce agli intermediari di porre in essere operazioni inadeguate al profilo di rischio dell’investitore, è strettamente collegata all’obbligazione di acquisizione di informazioni dirette a profilare il cliente, dal momento che l’intermediario in tanto può verificare l’adeguatezza dell’operazione, in quanto abbia precedentemente acquisito le informazioni concernenti il cliente. Ciascuna operazione di negoziazione, secondo la disposizione menzionata, può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, ed ognuno di tali eventuali profili di inadeguatezza, ove sussistente, deve essere indicato e spiegato all’investitore al menzionato fine di consentirgli in proposito una scelta consapevole.

In particolare, l’inadeguatezza per tipologia ed oggetto va verificata in relazione alle caratteristiche proprie dello strumento finanziario, che si riflettono sul coefficiente di rischio dell’operazione; il profilo dell’adeguatezza per dimensione o frequenza riguarda invece il rapporto tra l’entità dell’investimento ed il portafoglio del cliente (in questi termini Sez.1, 26/8/2016, n. 17353), o meglio/coni il suo complessivo patrimonio mobiliare.

1.8. Con la seconda parte del motivo la Banca ricorrente sostiene che non vi sarebbe stata prova dell’incidenza causale dell’inadempimento dell’obbligo informativo e assume che il C., che già aveva investito proprio in titoli di stato argentini avrebbe presumibilmente confermato la sua decisione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6, in armonia con la regola generale stabilita dall’art. 1218 c.c., impone all’investitore, che lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante una sintetica, ma circostanziata, individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonchè di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole. Incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute (Sez. 1, Ord. n. 10111 del 24/04/2018, Rv. 648553 – 02).

Inoltre la prova dell’avvenuto puntuale adempimento degli obblighi informativi non può essere ritenuta ininfluente in considerazione dell’elevata propensione al rischio dell’investitore dalla quale desumere che quest’ultimo avrebbe comunque accettato il rischio ad esso connesso dal momento che l’accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del prodotto, in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità (Sez. 1, Ord. n. 4727 del 28/02/2018, Rv. 647617 – 01).

L’intermediario finanziario deve comunicare all’investitore tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e indicare, in modo puntuale, tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un’operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, ivi comprese quelle attinenti al rischio di default dell’emittente con conseguente mancato rimborso del capitale investito, proprio perchè tali informazioni costituiscono elementi significativi per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno (Sez. 1, Sent. n. 12544 del 18/05/2017, Rv. 644206 – 01). La segnalazione di inadeguatezza è inoltre dovuta anche se il cliente ha in precedenza acquistato altri titoli a rischio, perchè ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob (Sez. 1, Sent. n. 17340 del 25/06/2008, Rv. 604058 – 01).

Spetta dunque in primo luogo all’investitore dedurre l’inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi ai quali l’intermediario finanziario è tenuto, con conseguente collocazione a carico dello stesso intermediario finanziario dell’onere probatorio di avere esattamente adempiuto, nei termini previsti dalla normativa applicabile ed in relazione all’inadempimento così come dedotto. Dopo di che grava sul cliente investitore l’onere della prova del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno: onere della prova la cui osservanza, versandosi in ipotesi di causalità omissiva, va scrutinata, in ossequio alla regola del “più probabile che non”, attraverso l’impiego del giudizio controfattuale, e, cioè, collocando ipoteticamente in luogo della condotta omessa quella legalmente dovuta, sì da accertare, secondo un giudizio necessariamente probabilistico condotto sul modello della prognosi postuma, giudizio che ben può muovere dalla stessa consistenza dell’informazione omessa, riguardata attraverso la lente dell’id quod plerumque accidit, se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole.

Tale giudizio per sua natura non si presta alla prova diretta, ma solo a quella presuntiva, occorrendo desumere (nel rispetto del paradigma di gravità, precisione e concordanza previsto dall’art. 2729 c.c.) dai fatti certi emersi in sede istruttoria se l’investitore avrebbe tenuto una condotta, quella consistente nel recedere all’investimento, ormai divenuta nei fatti non più realizzabile (Sez. 1, Sent. n. 3773 del 17/02/2009, Rv. 606918 01; Sez.1, Sent. 19/8/2016, n. 17194).

1.9. La Corte territoriale non ha violato gli esposti principi e ha ritenuto per l’appunto che l’onere della prova del nesso causale fra inadempimento dell’obbligo informativo e danno competesse all’investitore e che questi potesse provvedervi in via presuntiva, accertando, in concreto e nel merito (pag.14, capoverso), la sussistenza del nesso di causalità sulla base del rilievo che i C. (al pari di ogni altro investitore di pur minima avvedutezza) avrebbero evitato di impartire l’ordine per cui è causa, ove la Banca avesse adempiuto al proprio obbligo informativo che esigeva l’avvertimento al cliente di un rischio concreto – e non meramente teorico – di perdita del capitale investito, alla luce del più recente declassamento dei (OMISSIS).

2. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la Banca delle Marche lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 29 e dell’art. 1455 c.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento al giudizio di inadeguatezza per dimensione dell’operazione contestata.

2.1. La scelta di concentrare nei (OMISSIS) una parte significativa, ma non sproporzionata, dell’effettivo patrimonio mobiliare dei signori C. (circa il 20% di quanto detenuto presso la sola Banca della Marche) era in linea con le caratteristiche degli investitori, dotati di consistente patrimonio liquido e di un portafoglio titoli ampio e diversificato, e orientati in modo comprovato per una significativa propensione al rischio risultante dalle operazioni in precedenza compiute.

2.2. Con la censura, tra l’altro anch’essa proposta in modo promiscuo, la ricorrente non critica l’interpretazione dell’art. 29 del Regolamento Consob quanto al concetto di inadeguatezza dimensionale dell’operazione di investimento, ma piuttosto la sua applicazione al caso concreto, e va quindi a sindacare il giudizio della Corte territoriale di inadeguatezza dimensionale dell’acquisto in quel momento storico di quella quantità di titoli di stato argentini ormai a elevato rischio di default in rapporto all’entità complessiva del patrimonio mobiliare dei clienti.

Così argomentando, la ricorrente non deduce l’omesso esame di un fatto non considerato dalla sentenza impugnata e sollecita la Corte di legittimità a una riconsiderazione diretta dei fatti e delle prove, che esula dai limiti del suo sindacato, per giunta senza affrontare e confutare la specifica argomentazione utilizzata dalla Corte territoriale per corroborare la sua valutazione di inadeguatezza dell’operazione di investimento; e cioè lo specifico comportamento della funzionaria C.S., che, senza trarne le debite conseguenze con l’espressione di una formale valutazione di inadeguatezza e la richiesta di ordine scritto rivolto a superarla, aveva ritenuto opportuno sollecitare il C. a una diversificazione dell’investimento (ossia a collocare su (OMISSIS) una somma inferiore).

3. Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la Banca delle Marche lamenta omessa motivazione in merito alla decurtazione dei titoli o della loro restituzione.

3.1. La Banca infatti aveva chiesto, in via subordinata, di tener conto nella quantificazione del danno anche del valore dei titoli, delle cedole incassate, degli eventuali dividendi percepiti, nonchè dell’ammontare dei contanti in caso di adesione all’OPS 2010.

La Corte di appello aveva preso in esame solo l’eccezione proposta ex art. 1227 c.c., comma 1, in ordine alla OPS 2010, ma aveva trascurato completamente la richiesta di decurtazione del residuo valore dei titoli (circa 75.000 Euro) o di loro restituzione.

3.2. I controricorrenti considerano la censura inammissibile e invocano a proprio sostegno la decisione delle Sezioni Unite 24/07/2013, n. 17931, secondo la quale il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che invochi espressamente la fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.

3.3. Le censure mosse dalla ricorrente in ordine alla decurtazione del valore residuo dei titoli e delle somme percepite medio tempore dagli investitori (cedole ecc…) appaiono comunque inammissibili, anche a prescindere dalla loro dibattuta qualificazione in termini di denuncia di “omessa pronuncia” ovvero di “omesso esame di fatto decisivo”.

3.4. Circa la specifica richiesta detrazione del valore residuo dei titoli, la Corte territoriale ha motivatamente risposto, ritenendo accertato in punto di fatto che i titoli non avessero alcun valore.

La ricorrente al proposito non ha articolato una idonea censura di omesso esame di fatto decisivo per censurare efficacemente il predetto accertamento di fatto: essa, infatti, ha osservato in proposito che aveva prodotto in giudizio la “quotazione di mercato del titolo oggetto di causa: Rep.Arg. Esb. 7,5 02”, secondo al quale il valore dei titoli “ammontava all’epoca della decisione a circa il 39 % della somma di Euro 192.483,21 investita dai signori C. e cioè più o meno Euro 75,000,00”, ma ha omesso di produrre copia del relativo documento, come pure di precisare di che documento si trattasse esattamente, quando lo avesse prodotto e se eventualmente esso fosse contenuto nel suo fascicolo di parte di primo o secondo grado (Sez. U, Ord. n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109 – 01).

3.5. Anche relativamente alla richiesta detrazione delle “eventuali cifre percepite a titolo di cedole, contanti, dividendi, ed altro”, la doglianza appare generica, e dunque inammissibile, poichè la Banca ricorrente non ha precisato quali somme siano state riscosse dagli investitori, nè – soprattutto – se e come tale precisazione fosse stata introdotta nel giudizio di merito.

3.6. Il motivo merita invece accoglimento con riferimento alla richiesta, ulteriormente subordinata, di restituzione dei titoli di stato argentini oggetto di causa (secondo i controricorrenti privi ormai di alcun valore) che trova del resto fondamento nell’avvenuta risoluzione del contratto relativo all’ordine e nei conseguenti obblighi restitutori gravanti sulle parti del contratto risolto.

La Banca delle Marche aveva introdotto la relativa domanda (in via ulteriormente gradata) già in primo grado con la comparsa di risposta 22/3/2006, notificata il 31/3/2006 (pag.36) e l’aveva ribadita con la nota D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 10 del 23 – 27/11/2006 (pag.2).

Nè può opinarsi, come sostengono i C., che la Banca non avesse proposto tale domanda solo per averla riferita alla sola ipotesi di dichiarazione di “invalidità” del contratto; tale espressione generica e riassuntiva è ampiamente idonea a includere nel suo ambito ogni ipotesi di patologia negoziale comportante obblighi restitutori consequenziali alla caducazione del rapporto giuridico oggetto delle richieste degli attori, e quindi anche l’eventualità della pronuncia di risoluzione per inadempimento.

La Corte territoriale ha completamente omesso la pronuncia sul punto e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al predetto profilo del motivo in esame.

4. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti incidentali denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia e in subordine lamentano violazione dell’art. 132 c.c., comma 2, n. 4, per omessa motivazione.

4.1. Nelle loro richieste, in primo grado e in appello, i C. avevano chiesto che fosse loro risarcito anche il danno da lucro cessante derivante dall’impossibilità di disporre per consistente periodo di tempo della somma investita, determinato previa consulenza tecnica o liquidato equitativamente.

La Corte di appello aveva totalmente omesso di considerare tale richiesta, in violazione dell’art. 112 c.p.c. o, in subordine e a tutto concedere, ne aveva disposto un implicito rigetto, peraltro del tutto immotivato.

4.2. La Banca delle Marche nega che sussista un’omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. e richiama il principio secondo il quale il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Sez. 5, Sent. n. 7653 del 16/05/2012, Rv. 622441 – 01).

E’ proprio quel che si è verificato nella presente fattispecie laddove la Corte marchigiana ha completamente omesso di considerare la specifica richiesta degli attori di vedersi risarcire non solo il danno emergente ma anche il lucro cessante, ossia il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento contrattuale ex art. 1223 c.c.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, sta nel fatto che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda o un’eccezione introdotta in causa, nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia (Sez. 2, Sent. n. 1539 del 22/01/2018, Rv. 647081 – 01).

E’ pur vero che per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez.3, 21/06/2018, n. 16326; Sez.2, 18/04/2018, n. 9535).

Tale situazione non ricorre peraltro nella sentenza impugnata, laddove il tema dell’impiego alternativo della somma da parte degli attori è rimasto del tutto inesplorato, quanto alla sequenza controfattuale ragionevolmente concepibile e agli investimenti alternativamente ipotizzabili da parte degli investitori (nell’an e nel quomodo); nè, d’altro canto, la Corte territoriale ha esaminato la domanda dei ricorrenti incidentali alla luce dell’attribuzione a loro favore, effettuata in sentenza, della rivalutazione monetaria secondo indici Istat del valore iniziale dell’investimento.

A fronte dell’omessa pronuncia così ravvisata, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice del merito per la necessaria valutazione infatti della sussistenza o meno di un danno da lucro cessante patito dagli attori.

5. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti incidentali denunciano violazione o falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., art. 132, n. 4, art. 118, disp. att. c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost.

Secondo i ricorrenti, la Corte di appello avrebbe dovuto condannare la Banca delle Marche all’integrale rifusione delle spese di lite, a fronte dell’integrale accoglimento della domanda attorea, mentre nessuna grave ed eccezionale ragione era stata esplicitata in sentenza a giustificazione della decisione di compensazione delle spese processuali.

Il richiamo, operato in sentenza, “alle questioni giuridiche sottese alla presente pronuncia”, secondo i ricorrenti incidentali, era una mera formula di stile, che non assolveva all’obbligo di legge e non permetteva il debito controllo di congruità sulle ragioni, necessariamente esplicite, poste a fondamento della decisione.

Il motivo, inerente il capo accessorio relativo alle spese di lite, resta assorbito, in ragione della cassazione con rinvio della sentenza relativamente ai capi principali della decisione.

6. In accoglimento del terzo motivo di ricorso principale, nei termini sopra espressi in motivazione, respinti i primi due, e del primo motivo di ricorso incidentale, assorbito il secondo, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE

accoglie il terzo motivo di ricorso principale nei termini di cui in motivazione, respinti il primo e il secondo e i residui profili del terzo;

accoglie il primo motivo di ricorso incidentale, assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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