Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1383 del 21/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 21/01/2011), n.1383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21694/2006 proposto da:

NONCELLO SRL IN LIQUIDAZIONE già ORTIS SPA GRANDI MACCHINE IN

LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SALARIA 162, presso lo

studio dell’avvocato MEINERI Giovanni, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PATRONE ALBERTO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI UDINE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE GENERALE REGIONALE DEL

FRIULI VENEZIA GIULIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 135/2005 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 06/03/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/11/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato MEINERI GIOVANNI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Ortis S.p.a. Grandi Macchine ricorreva avverso l’avviso di accertamento relativo alla mancata presentazione della dichiarazione mod. 770 bis per il 1982, relativa alle ritenute operate sugli interessi pagati dalla società e derivanti da prestito obbligazionario convertibile. Eccepiva l’illegittimità dell’avviso per l’inapplicabilità al caso di specie della sanzione irrogata (prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 47, comma 7), in quanto tra le dichiarazioni dei sostituti d’imposta non era ricompresa quella da presentare con il mod. 70 bis ma solo quella con mod. 770;

rilevava che in ogni caso la sanzione non è dovuta quando, come nel caso di specie, siano state versate le ritenute d’acconto dovute.

L’ufficio resisteva. Nelle more la contribuente si avvaleva della sanatoria prevista dalla L. n. 154 del 1989, ma l’ufficio rilevava l’inapplicabilità della stessa non potendo l’omessa presentazione della dichiarazione considerarsi infrazione formale.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva la richiesta di sanatoria.

La Commissione Tributaria Regionale, sollecitata dall’appello proposto dall’ufficio che richiamava il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 7, comma 5, come fonte dell’obbligazione tributaria, accoglieva l’appello, in virtù della considerazione che la dichiarazione non era mai stata presentata.

Contro la relativa sentenza, di cui in epigrafe, la società contribuente propone ricorso per cassazione articolato su di un duplice motivo; l’agenzia non controdeduce.

Diritto

MOTIVAZIONE

La contribuente con il primo motivo del ricorso denuncia la violazione di legge, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per errata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 47; per mancata applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 2, comma 3 e art. 6, commi 2 e 5 bis; del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis;

della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, e pone i seguenti quesiti:

1) se la disposizione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 e L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, siano abrogativi dell’illecito amministrativo originariamente previsto e sanzionato dal D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 7 e 47 e contestato al contribuente per la sola omissione dell’invio del mod. 770 bis, avendo peraltro assolto tempestivamente ai suoi obblighi tributari;

2) se il principio del favor rei sia applicabile anche alle norme tributarie successive abrogative dell’ipotesi di illecito contestato originariamente;

3) se la norma prevista dalla L. n. 4 del 1929, art. 20, sia in contrasto con il principio della riserva di legge vigente anche per i fatti costituenti illecito amministrativo;

4) se il richiamo della L. n. 689 del 1981, art. 39, comma 3, delle disposizioni della L. n. 4 del 1929, riguardi esclusivamente i reati tributari depenalizzati richiamati dal comma 1 dello stesso art. 39, restando al di fuori della previsione della norma citata ogni altra ipotesi di illecito amministrativo, ab origine previsto come tale.

La censura è inammissibile secondo i principi già enucleati da questa Corte che, con riferimento al disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., ha costantemente affermato (ex pluris, Cass., sez. un., n. 28054 del 2008, cit; 26020 del 2008; n. 18759 del 2008; n. 3519 del 2008 n. 84 63 del 2009)”. La funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare”. Ed ancora (Cass. n. 7197 del 2009): “Il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia”.

Nel caso di specie, ad onta della pluralità dei quesiti (quattro) posti per il primo motivo, non viene prospettata una tesi (più esattamente la tesi del ricorrente che, in antitesi a quella affermata nell’impugnata sentenza, dimostri l’errore di diritto nel quale è caduto il giudicante), ma viene avanzata la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità che, peraltro, si tradurrebbe in un’affermazione in sè priva di dignità di principio di diritto e soprattutto non risolutiva del punto della controversia e comunque staccata dalla motivazione addotta da medesimo ricorrente.

Quest’ultimo infatti da una parte assume che la violazione di legge consiste nel fatto che il giudice di merito non ha applicato le disposizioni di legge che avrebbero abrogato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 47 – che indica nel D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 2, nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 e nella L. n. 212 del 2000, art. 10, e dall’altra, attraverso i quesiti posti, chiede di sapere se è esatto ciò che egli ha affermato (quesito n. 1) o se trova applicazione nella materia tributaria l’astratto principio del favor rei (quesito n. 2), o infine chiede (quesito n. 3 e 4) affermazioni di principio relativi alla L. n. 4 del 1929 (con riferimento all’art. 20 ed al richiamo a tale normativa della L. n. 689 del 1981, art. 39) assolutamente estranee alle motivazioni svolte nel ricorso.

Le carenze evidenziate, rendendo del tutto impossibile l’identificazione della concreta fattispecie e, correlativamente, l’enunciazione della corrispondente regula iuris, non consentono in alcun modo di apprezzare la sussistenza del vizio denunciato con il motivo in esame.

Con il secondo motivo viene denunciato un vizio di motivazione per carenza ed illogicità della stessa.

Anche tale censura è inammissibile per mancanza di autosufficienza.

Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, atteso che l’Ufficio intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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