Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13829 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/07/2016, (ud. 13/06/2016, dep. 07/07/2016), n.13829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.Z., elettivamente domiciliato in Roma, alla via Sardegna n.

29, presso l’avv. ALESSANDRO FERRARA, unitamente all’avv. SILVIO

FERRARA, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE DI ROMA PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4214/15,

pubblicata il 14 luglio 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 giugno 2016 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

FATTO E DIRITTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380-bis c.p.c.:

“1. – Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da A.Z. avverso l’ordinanza emessa il 14 ottobre 2014, con cui il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e quella subordinata di riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria proposta dall’appellante.

2. – Avverso la predetta sentenza A.Z. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

3. – A sostegno dell’impugnazione, il ricorrente ha dedotto:

a) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, affermando che, nel ritenere insuperabile l’incertezza sulla sua reale identità, anche in virtù della genericità delle argomentazioni svolte per giustificare l’avvenuta dichiarazione di una nazionalità diversa da quella effettiva, la Corte di merito ha fatto riferimento ad elementi secondari, come la parziale difformità del nome indicato nel certificato di nascita da quello riportato nella carta d’identità, trascurando il materiale probatorio acquisito, in base al quale avrebbe dovuto essere valutata la credibilità delle sue dichiarazioni, ed in particolare una dichiarazione attestante la nazionalità maliana di esso ricorrente, rilasciata dall’Ambasciata del Mali, un certificato di nascita maliano rilasciato dall’ufficiale di stato civile del Comune di Koutiala e la deposizione resa in primo grado dal teste O.I.:

b) la violazione e la falsa applicazione della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 33 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, osservando che, nell’omettere la valutazione del certificato di nascita rilasciato dall’ufficiale di stato civile di Koutiala, la sentenza impugnata ha implicitamente disconosciuto il valore di prova legale spettante agli atti amministrativi stranieri in materia di stato civile, avente come unico limite la conformità all’ordine pubblico.

4. – Il primo motivo è infondato.

Ai fini dell’accertamento del diritto del ricorrente alla protezione internazionale, la sentenza impugnata si è infatti attenuta al principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui, pur incombendo al richiedente la prova dei fatti costitutivi della domanda, le regole che disciplinano il relativo onere devono essere interpretate in conformità delle norme comunitarie contenute nella direttiva 2004/83/CE, recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007, in virtù delle quali l’autorità amministrativa esaminante ed il giudice devono svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, cooperando nell’accertamento dei fatti rilevanti mediante l’esercizio di poteri istruttori ufficiosi, peraltro connaturati al rito camerale prescritto dalla legge (cfr. Cass., Sez. Un. 17 novembre 2008, n. 27310; Cass., Sez. 6, 10 maggio 2011, n. 10202), con la conseguenza che eventuali carenze o lacune della documentazione prodotta a sostegno della domanda non ne comportano necessariamente il rigetto, potendo il giudice sopperirvi attraverso l’assunzione d’informazioni e l’acquisizione della documentazione necessaria, anche in base ad una valutazione della credibilità soggettiva del richiedente, da condursi alla stregua dei criteri stabiliti del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (cfr. Cass. Sez. 6, 10 luglio 2014, n. 15782: 18 febbraio 2011, n. 4138).

Nel compimento di tale valutazione, la Corte di merito ha preso l’avvio dalla constatazione dell’incertezza esistente in ordine alla stessa identità personale del ricorrente, in conseguenza dell’avvenuta proposizione di una precedente domanda sotto altro nome e con l’indicazione di una diversa nazionalità, e della parziale discordanza tra i dati anagrafici risultanti dal certificato di nascita prodotto in primo grado e quelli riportati nella carta d’identità prodotta in appello, nonchè, più in generale, dalla genericità delle spiegazioni fornite al riguardo e dalla diversità delle ragioni indicate a sostegno della scelta di allontanarsi dal proprio Paese di origine. Il rilievo conferito alle predette circostanze, ritenute evidentemente sintomatiche di scarsa affidabilità soggettiva dell’istante, oltre che tali da rendere oggettivamente impossibile qualsiasi ulteriore accertamento in ordine alla rispondenza al vero delle dichiarazioni rese, si pone perfettamente in linea con lo schema di valutazione prefigurato del D.Lgs. n. 251 cit., art. 3, comma 5, il quale, esigendo dal richiedente il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la propria domanda (lett. a) e l’offerta di un’idonea motivazione dell’eventuale mancanza di elementi significativi (lett. b), ed imponendo al giudice un apprezzamento della coerenza e plausibilità delle informazioni disponibili (lett. c), nonchè dell’eventuale ritardo con cui è stata presentata la domanda (lett. d), consente di ritenere ampiamente giustificato il giudizio negativo espresso dalla Corte di merito in ordine ad una domanda come quella proposta dal ricorrente, caratterizzata da una sostanziale incertezza nell’attribuzione soggettiva e da una oggettiva ambiguità contenutistica.

Nel contestare il predetto apprezzamento, il ricorrente non è d’altronde in grado d’individuare le lacune o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ma si limita ad insistere sull’efficacia probatoria dei documenti prodotti, in tal modo sollecitando, attraverso l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, una rivisitazione dell’accertamento dei fatti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte a fondamento della decisione, nei limiti in cui le relative incongruenze possono ancora essere denunciate con il ricorso per cassazione, alla stregua delle modifiche apportate all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 4 novembre 2013, n. 24679; Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27197: Cass., Sez. lav., 19 marzo 2009, n. 6694).

5. E’ parimenti infondato il secondo motivo.

La sottolineatura delle differenze riscontabili tra i dati riportati nelle certificazioni anagrafiche prodotte nei due gradi di giudizio, compiuta dalla Corte di merito a sostegno del giudizio d’inattendibilità formulato in ordine agli elementi forniti dal ricorrente, non si pone affatto in contrasto con il valore di atto pubblico da riconoscersi alle predette risultanze, il quale, ai sensi dell’art. 2700 c.c., è limitato alla corrispondenza dei dati attestati con quelli annotati nei registri anagrafici del Paese che ha emesso tu certificazione, e non si estende alla corrispondenza dei medesimi dati alla reale situazione di fatto, nè alla loro riferibilità alla persona in favore della quale la certificazione è stata rilasciata, che deve essere invece dimostrata mediante la produzione di un valido documento d’identità (cfr. Cass., Sez. 3, 27 gennaio 1986, n. 524: Cass., Sez. lav., 28 maggio 1981, n. 3512;

Cass., Sez. 1, 18 gennaio 1973. n 180)”.

Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione da essa proposta.

Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-

quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 13 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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