Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13829 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 06/07/2020), n.13829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 207-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 134/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 03/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. FRACANZANI MARCELLO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il contribuente conduceva un pubblico esercizio di bar caffetteria in agro sabino ed era attinto da avviso di accertamento per l’anno di imposta 2004, in ragione dello scostamento dalle medie di settore e dall’andamento reiteratamente antieconomico degli ultimi anni. L’Ufficio rilevava un ricarico anormalmente basso sul prezzo del venduto, nonchè ingenti giacenze di magazzino a fronte di consistenti acquisti a testimonianza di un veloce smercio dei beni.

2. Proponeva ricorso il contribuente lamentando di non esser estato previamente convocato e rappresentando che la crisi del settore e la sviata località dell’esercizio non consentisse la prosecuzione dell’attività che proprio nell’anno dell’accertamento era cessata, anche per le ragioni di salute del contribuente stesso. L’esito favorevole del ricorso era confermato in appello, argomentando sulle particolari condizioni oggettive e soggettive, talchè incoerente risultava la rappresentazione dell’Ufficio, dedotta su percentuali di ricarico desunte da medie del settore poco indicative nel caso specifico.

Ricorre per cassazione l’Ufficio, affidandosi a due motivi di ricorso, mentre resta intimato il contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti due motivi di ricorso.

1. Con il primo motivo si prospetta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), lamentando non aver rilevato il collegio di secondo grado come l’atto impositivo fosse costruito sia sull’andamento antieconomico reiterato e non circoscritto a fronte di quello specifico anno, sia sulla percentuale di ricarico non realistica del 1,2%, sia sulla veloce rotazione di magazzino che indica fecondo smercio, mentre le consistenti rimanenze appaiono artate per ridurre l’utile d’impresa.

In sintesi, l’atto impositivo si basa su tre elementi significativi, slegati da meccanismi di studi di settore o medie del comparto, medie applicate solo per ricostruire il reddito in assenza di altri criteri affidabili. Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, (cfr. da ultimo Cass. V, n. 1347/2019, “l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte ‘sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata” (cfr. Cass. nn. 20060/2014; 20857/2007; cfr., altresì, Cass. nn. 9084/2017; 14428/2005; con riferimento specifico all’IVA, si veda, altresì, Cass. n. 7184/2009; 6800/2009; 21165/2005); è stato, infine, affermato che “in tema di prova civile conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benchè l’art. 2729 c.c., comma 1, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 si esprimano al plurale – potendosi il convincimento del Giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria” (cfr. Cass. nn. 656/2014; 17574/2009; 8484/2009).

A questi principi si è attenuto il giudice di merito, ritenendo prevalenti le circostanze di luogo (sviato), di tempo (di crisi con successiva chiusura) e di salute del titolare per superare le presunzioni ricavate dall’Ufficio. Il motivo è quindi infondato e dev’essere disatteso.

2. Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo, laddove la gravata sentenza non avrebbe considerato l’andamento reiteratamente antieconomico dell’esercizio in questione. Per il vero, questa Corte ha ritenuto anche di recente come in tema di imposte sui redditi, la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non sia di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva; sicchè il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (Cass. V, n. 9084/2017).

Tali appaiono i tre ultimi capoversi della seconda pagine della gravata sentenza, ove il giudice di merito ritiene prevalenti gli argomenti offerti dalla parte contribuente, rispetto alle presunzioni dell’Ufficio. La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensìla mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011). Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Non vi è luogo a pronunciare sulle spese, attesa l’assenza di attività difensiva del contribuente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 6 luglio 2020

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