Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13828 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 20/05/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 20/05/2021), n.13828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 24231 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

I.G. s.r.l., in persona del legale rappresentante “pro

tempore”, rappresentata e difesa, in virtù di procura a margine del

ricorso, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Comunale Giuseppe e

Cantillo Guglielmo ed elettivamente domiciliata nello studio del

primo in Roma, Via delle Carrozze, 3;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– resistente-

Avverso la sentenza regionale n. 1739/04/2014 della Commissione

tributaria regionale del Lazio depositata il 20.03.2014;

udita nella camera di consiglio del 09.02.2021 la relazione svolta

dal consigliere Galati Vincenzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento relativo ad IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno 2004 emesso nei confronti della società contribuente con il quale è stato accertato un maggior reddito imponibile con metodo analitico induttivo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d).

La Commissione tributaria provinciale di Roma ha accolto il ricorso proposto avverso il predetto avviso.

La CTR ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate evidenziando, preliminarmente, che l’accertamento non si è fondato su studi di settore ma sulla scorta del confronto tra costi di acquisto e prezzi di vendita di prodotti in rimanenza in base alle fatture ricevute ed emesse.

Si è così proceduto al ricalcolo della percentuale di ricarico (prendendo a parametro quello medio nel settore) e rideterminati i ricavi diminuendoli del 10% a titolo di correzione forfettaria.

Avverso la sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi.

L’Agenzia è rimasta intimata costituendosi ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione e depositando memoria in data 26.1.2021.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nel caso di specie, a fronte di una contabilità regolare, non sono stati individuati elementi idonei ad infirmarne l’attendibilità, non potendo ritenersi tale l’asserita difformità della percentuale media dei ricavi del settore di appartenenza del quale è stata omessa l’indicazione.

Si lamenta la mancata esplicitazione della specifica metodologia dell’accertamento.

2. Il secondo motivo riguarda la violazione dell’art. 115 c.p.c. ed, ancora del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con esso si lamenta una serie di carenze motivazionali in ordine a specifici elementi di fatto esposti nelle fasi di merito il cui esame è stato omesso dalla CTR (fra cui il numero ridotto di prodotti considerati, la limitatezza delle mensilità esaminate, l’esclusione di una parte dei prodotti in giacenza, il riferimento a prezzi medi inferiori a quelli reali).

Peraltro si trattava di elementi non contestati e, dunque, da ritenersi provati.

3. Con il terzo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame dei predetti elementi di fatto da ritenersi decisivi per il giudizio.

4. Il primo motivo sostiene, in pratica, la tesi secondo cui, a fronte di una contabilità regolare, gli elementi valorizzati dall’avviso di accertamento e, poi, dalla CTR, non sarebbero idonei ad infirmarne l’attendibilità.

E’ arresto assolutamente consolidato quello secondo cui “in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo” (fra le molte conformi, Cass. sez. 5, 31 ottobre 2018, n. 27804).

Rileva anche l’ulteriore principio secondo cui “in tema di accertamento del reddito di impresa, anche in presenza di scritture formalmente corrette, ove la contabilità possa considerarsi complessivamente inattendibile, è legittimo il ricorso al metodo analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), sulla base di elementi che consentano di accertare, in via presuntiva, maggiori ricavi, che possono essere determinati calcolando la media aritmetica o quella ponderata dei ricarichi sulle vendite.(Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata che, pur avendo ritenuto correttamente applicato il criterio della media ponderata per quantificare i maggiori ricavi, aveva poi ridotto, senza un’adeguata motivazione, la percentuale di ricarico sulle vendite stimata dall’ufficio)” (Cass. sez. 5, 11 aprile 2018, n. 8923).

Premessa, dunque, la correttezza astratta e concreta della metodologia utilizzata dall’Ufficio per procedere all’accertamento secondo i criteri ai quali la CTR ha ampiamente fatto riferimento nella motivazione della sentenza impugnata, la critica della ricorrente riguarda il percorso motivazionale lamentando, con il primo motivo, una motivazione carente in ordine alla metodologia dell’accertamento. Si tratta di un vizio non proponibile atteso che con esso viene criticato un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità.

In realtà, col motivo in questione, a fronte della statuizione della sentenza impugnata, retta sulla valutazione di un campionamento statistico che ha evidenziato uno scarto rispetto al ricarico medio del settore con l’applicazione di una percentuale di riduzione pari al 10% ampiamente idonea ad assorbire eventuali scostamenti, si lamenta, dietro la deduzione della violazione di parametri di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1), una insufficiente motivazione in ordine agli elementi riportati in ricorso; deduzione, che è inibita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al regime del quale è sottoposta, “ratione temporis”, l’impugnazione della sentenza in esame, depositata il 20 marzo 2014.

5. Quanto esposto conduce a ritenere inammissibile anche i motivi secondo e terzo che possono essere esaminati congiuntamente.

Con essi si lamenta una sostanziale carenza motivazionale in merito a circostanze fattuali espressamente indicate a pag. 8 del ricorso che non sarebbero state prese in considerazione dalla CTR.

Si tratta di motivi che, oltre che inammissibili per quanto già precisato, si palesano affatto infondati se solo si confronta graficamente la pagina citata del ricorso con quanto riportato al par. 6.3. della sentenza (pag. 5 della pronuncia) ove vengono indicate letteralmente le stesse circostanze di fatto effettivamente sollevate nella fase di merito e motivatamente disattese dalla CTR con motivazione di merito incensurabile (par. 6.4, pag. 5).

Inammissibile il motivo relativo alla non contestazione formulato ex art. 115 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto il ricorso, sul punto, è carente del requisito di autosufficienza essendo pacifico che “ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica” (Cass. sez. 6-1, 12 ottobre 2017, n. 24062).

Peraltro, “in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prestrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.” (Cass. sez. un. 30 settembre 2020, n. 20867).

Alla luce di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

6. In base al principio della soccombenza le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente, dovendosi tenere conto della predisposizione della memoria da parte della Agenzia delle entrate, e sì liquidano come da dispositivo.

Va rilevato, infatti, che il Protocollo d’intesa del 15-12-2016 tra Corte di Cassazione, CNF e Avvocatura Generale dello Stato prevede che “si conviene che, per i ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 per i quali venga successivamente fissata l’adunanza camerale, l’intimato che non abbia proceduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora avuto la possibilità di partecipare alla discussione orale, possa, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà, presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente”.

In tal senso Cass. sez. 5, 28 febbraio 2020, n. 5508 in base alla quale “in tema di rito camerale di legittimità ex art. 380-bis.1 c.p.c., relativamente ai ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 e per l’quali venga successivamente fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c. ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà può presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente, trovando in tali casi applicazione l’art. 1 del Protocollo di intesa sulla trattazione dei ricorsi presso le Sezioni civili della Corte di cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016 tra il Consiglio Nazionale Forense, l’Avvocatura generale dello Stato e la Corte di cassazione” (conformi Cass. sez. 2, 14 maggio 2019, n. 12803, nonchè Cass. sez. 5, 16 gennaio 2019, n. 955 in motivazione, par. 5).

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sopportate dall’Agenzia delle Entrate che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Da atto dei presupposti processuali per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto, del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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