Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13828 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 06/07/2020), n.13828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8924/2014 R.G. proposto da:

DEL DEBBIO S.P.A., C.F. (OMISSIS), con sede di (OMISSIS), rapp.ta e

difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. Luciano Mario

Lenzi del Foro di Prato, elett. dom.ta presso lo studio dell’avv.

Sergio Leonardi in Roma, Via Eleonora Duse n. 5/G;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, C.F. (OMISSIS), rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Triòutaria Ree ionale della

Toscana n. 64/31/2013, depositata il 30 novembre 2013, non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio

2020 dal Consigliere Dott. Nocella Luigi.

Fatto

RILEVATO

che:

La CTR della Toscana, con la sentenza oggi impugnata, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla s.p.a. Del Debbio avverso la sentenza n. 52/05/2010 della CTP di Lucca che aveva respinto il ricorso dalla medesima proposto avverso l’avviso di accertamento N. (OMISSIS), emesso dall’Agenzia per il recupero di maggiori IRAP ed IVA dovute dalla ricorrente in relazione all’anno d’imposta 2005.

Per quanto di residuo interesse in questa fase, la CTR ha accolto l’eccezione di inammissibilità dell’appello, come sollevata dall’Agenzia delle Entrate, per l’avvenuta proposizione dello stesso nel termine annuale ma non nel rispetto del nuovo termine semestrale introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17 a modificazione dell’art. 327 c.p.c., comma 1, dichiarato applicabile, della medesima legge, ex art. 58, ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore (4 luglio 2009), avendo ritenuto il medesimo Giudice d’appello che nella specie l’instaurazione del giudizio dovesse identificarsi con la notifica del ricorso introduttivo di 1 grado.

Avverso detta pronuncia la s.p.a. Del Debbio ha proposto ricorso, articolando due motivi di censura.

L’Agenzia si è costituita notificando controricorso, nel quale conclude per la reiezione del ricorso.

All’esito della camera di consiglio del 29 gennaio 2020 la Corte ha deciso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la Società ricorrente deduce violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 327 c.p.c., comma 1 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3: poichè l’art. 327 era richiamato espressamente applicabile dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3 al giudizio tributario, avrebbe errato la CTR nel ritenere applicabile a tale ultimo giudizio anche la formulazione del medesimo art. 327 come modificata dalla L. n. 69 del 2009 anche nella disciplina transitoria contenuta nell’art. 58, senza rispettare l’autonomia del processo tributario e, quindi, senza l’emanazione di una disposizione speciale che modificasse il termine c.d. lungo di decadenza per le impugnazioni previste in tale diverso processo.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce vizio di violazione e/o falsa applicazione delle medesime norme per avere applicato il nuovo termine di decadenza assumendo come momento di inizio del giudizio tributario quello della proposizione del ricorso introduttivo e non già quello della notifica dell’avviso impugnato, nella specie antecedente all’entrata in vigore della novella modificativa, stante la rilevanza procedimentale di tali avvisi e la loro natura di titoli esecutivi.

Entrambi i motivi sono infondati.

Quanto alla questione dedotta con il primo motivo, se è vero che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, nel disciplinare la decadenza dell’appello nel caso di mancata notificazione della pronuncia di primo grado, richiama direttamente l’art. 327 c.p.c., comma 1, tale disposizione, ribadita nel medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 1, si inscrive, in virtù dell’art. 1, comma 2, in un sistema di richiamo generale delle norme del c.p.c. in quanto compatibili con quelle speciali che disciplinano il contenzioso tributario. Del resto questa Corte ha già chiarito che “Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 non ha istituito un regime speciale per il processo tributario in ordine all’applicazione del termine lungo di impugnazione, impermeabile alle disposizioni transitorie di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 58” (Cass. sez.VI-V ord. 19.05.2017 n. 12642); e comunque la riproduzione pressochè testuale della norma del codice di procedura civile non è sintomatica dell’introduzione di una norma speciale ad hoc, ma semplicemente di un richiamo rafforzato in parte qua della disciplina codicistica, che ne comporta la permeabilità a tutte le successive modificazioni che non ne modifichino la struttura, sì da renderla incompatibile con le altre norme speciali del processo tributario.

Quanto all’individuazione del momento di “instaurazione” del giudizio, al fine di procedere alla verifica di applicabilità ratione temporis, alla stregua della disciplina transitoria L. n. 69 del 2009, ex art. 58, dell’art. 327 c.p.c. come richiamato dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, non si ravvisano elementi per differenziare, anche sotto tale profilo, la disciplina del contenzioso tributario rispetto a quella del processo civile ordinario. Quanto alla tesi che la natura di provocatio ad opponendum tipica dell’avviso di accertamento e di altri consimili atti dell’Amm.ne tributaria, consentirebbe di attribuire alla notifica di questo atto funzione di atto introduttivo del giudizio tributario (e quindi di instaurazione del medesimo), v’è da osservare in primo luogo che tale effetto resta comunque legato all’iniziativa del destinatario, nell’ipotesi che provveda ad impugnare il provvedimento nei termini di legge, realizzando la vocatio in jus; che non tutti gli atti impugnabili nel processo tributario condividono tale funzione dell’avviso di accertamento (basti pensare alla cartella di pagamento ed agli altri atti con i quali si sollecita l’adempimento dell’obbligazione tributaria già definita o contenuta in altri atti non definitivi, che hanno mera funzione di precetto e/o invito al pagamento, o al provvedimento di rigetto dell’istanza di rimborso, o all’atto di iscrizione di ipoteca e così via); sicchè sembrerebbe irragionevole che l’individuazione dell’ambito di applicabilità di una modifica della disciplina del processo fosse collegata all’individuazione di momenti diversi a seconda degli atti investiti da impugnazione.

Anche il confronto con la disciplina dell’unico procedimento civile speciale assimilabile all’impugnazione dell’avviso di accertamento non consente di pervenire alla conclusione auspicata dalla Società ricorrente: infatti se la pendenza del giudizio monitorio è determinata dal momento della notificazione del decreto ingiuntivo, è pur vero che per stabilire tale deroga alla regola generale è stata necessaria una norma ad hoc (art. 643 c.p.c., comma 3), e che il decreto ingiuntivo contiene pur sempre un accertamento giudiziale di natura sommaria sollecitato al Giudice dalla parte, laddove gli avvisi tributari sono e restano atti di parte emessi prima di ogni ricorso al Giudice ed ai quali questi resta del tutto estraneo.

Del resto questa Corte ha ripetutamente escluso la natura di atto processuale dell’avviso di accertamento, che, così come la sua notifica, è invece atto amministrativo con il quale gli Enti titolari esercitano i rispettivi poteri impositivi (“la notifica degli avvisi di accertamento non è atto processuale in quanto costituente il mero antecedente dell’eventuale instaurazione della lite fiscale (il primo atto processuale dei giudizio tributario va individuato nei ricorso del contribuente) la notifica dell’avviso opera sul piano sostanziale e si inserisce nell’esercizio dell’attività provvedimentale della Amministrazione in quanto atto (di partecipazione) con il quale la PA, nell’esercizio della potestà autoritativa tributaria, porta a conoscenza del contribuente la propria pretesa” – Cass. sez.V 26.09.2012 n. 16354, che richiama principi già enunciati in Cass. SS.UU. 5.10.2004 n. 19854).

In effetti la norma, nel riferirsi all’instaurazione del giudizio al fine di determinare le regole che ne regolano lo svolgimento, fa riferimento non già ad una situazione di lite meramente potenziale (qual è quella che si determina con la manifestazione nei soli confronti del contribuente della pretesa tributaria dell’Ente impositore), bensì al concetto di litispendenza nel senso tecnico del termine, che si determina, anche nel processo tributario, nel momento in cui viene notificato l’atto introduttivo del giudizio (cfr. Cass. sez.VI-V ord. 10.08.2017 n. 19959).

Il ricorso deve pertanto essere respinto con la conseguente conferma della sentenza impugnata.

Alla soccombenza segue la condanna della Società ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle spese di questa fase del giudizio, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto altresì che sussistono le condizioni processuali per determinare, a carico della ricorrente soccombente, l’obbligo di versamento del contributo unificato in misura doppia rispetto a quella già versata con l’iscrizione a ruolo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la Società ricorrente a rimborsare all’Agenzia controricorrente le spese di questa fase di giudizio, che liquida in complessivi Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale dello stesso art. 13, ex comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 6 luglio 2020

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