Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13827 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/07/2016, (ud. 13/06/2016, dep. 07/07/2016), n.13827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

H.S., elettivamente domiciliato in Roma, al Viale G. Mazzini

n. 145, presso l’avv. ROBERTO LOMBARDI, unitamente all’avv. BRUNO

GARLATTI del foro di Gorizia, dal quale e rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO e PREFETTURA DI UDINE;

– intimati –

avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Udine n. 91/15, depositata

il 5 giugno 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 giugno 2016 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

FATTO E DIRITTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380-bis c.p.c.:

“1. – Con l’ordinanza di cui in epigrafe, il Giudice di pace di Udine ha rigettato l’opposizione proposta da S.H. avverso il decreto di espulsione emesso il 30 marzo 2015 dal Prefetto di Udine.

2. – Avverso la predetta ordinanza S.H. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

3. – A sostegno dell’impugnazione, il ricorrente ha dedotto:

a) l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, affermando che, nell’escludere la necessità della traduzione del decreto di espulsione in lingua cinese, l’ordinanza impugnata si è limitata a presumere la conoscenza della lingua italiana da parte di esso ricorrente sulla base della mera permanenza in Italia da molti anni, senza tener conto della mancanza di un’esplicita attestazione della predetta conoscenza:

b) l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, censurando l’ordinanza impugnata per aver trascurato il motivo d’impugnazione riflettente l’insussistenza dei requisiti di pericolosità sociale posti a fondamento del decreto di espulsione, in ordine ai quali il Giudice di pace si è limitato a richiamare i precedenti penali e di polizia di esso ricorrente, senza considerare che all’epoca della consumazione nessuno dei reati ascrittigli risultava ostativo alla permanenza sul territorio nazionale:

c) la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, commi 6 e 7 e art. 13, comma 7 e dell’art. 24 Cost., osservando che, nell’escludere la nullità del decreto di espulsione, nonostante la mancata traduzione in lingua cinese, l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto dell’assenza di qualsiasi accertamento in ordine all’effettiva comprensione della lingua italiana da parte di esso ricorrente, e dell’irrilevanza della mera attestazione dell’indisponibilità di un interprete di lingua madre o comunque di lingua conosciuta dallo straniero.

4. Il primo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono in parte infondati, in parte inammissibili.

E’ pur vero, infatti, che, come costantemente ribadito da questa Corte, il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare è nullo, anche quando sia stata addotta l’irreperibilità immediata di un traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’Amministrazione non affermi ed il giudice ritenga plausibile l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero per l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta (cfr.

Cass., Sez. 6, 23 settembre 2015, n. 18749; 14 luglio 2015, n. 14733;

8 marzo 2012, n. 3676). E’ stato tuttavia precisato che l’obbligo della predetta attestazione viene meno quando il giudice di merito abbia accertato, con motivazione immune dà vizi logici e giuridici, la comprovata conoscenza della lingua italiana da parte dell’interessato (cfr. Cass., Sez. 6, 29 novembre 2010, n. 24170;

Cass., Sez. 1, 4 luglio 2006, n. 15236; 11 gennaio 2006, n. 275).

Nella specie, la prova di tale conoscenza è stata ragionevolmente ritenuta acquisita, in via presuntiva, sulla base della permanenza in Italia del ricorrente, protrattasi per ben diciotto anni in virtù di un permesso di soggiorno rilasciato nel 1997 e più volte rinnovato, fino al 2 marzo 2008, nonchè dell’avvenuta prestazione di attività lavorativa subordinata, al cui svolgimento era preordinato il soggiorno autorizzato. Nel contestare tale valutazione, il ricorrente non è in grado d’indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dall’ordinanza impugnata, ma si limita a ribadire il proprio personale convincimento, contrastarne con quello cui è pervenuto il Giudice di merito, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una rivisitazione dell’apprezzamento compiuto dall’ordinanza impugnata, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni poste a fondamento della decisione, nei limiti in cui le relative anomalie possono ancora essere denunciate con il ricorso per cassazione, alla stregua delle modifichi apportate all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134; per effetto di tali modifiche, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità risulta infatti circoscritto all’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, da intendersi come totale omissione, e non già come semplice insufficienza o contraddittorietà, della motivazione in ordine ad un fatto storico, principale o secondario, idoneo a determinare direttamente l’esito del giudizio, la cui esistenza risulti dalla stessa sentenza o dagli atti processuali, con la conseguente esclusione della possibilità di far valere, quale motivo di ricorso, l’omessa o errata valutazione di elementi istruttori (cfr. Cass., Sez. lav., 9 luglio 2015, n. 14324;

3 luglio 2014, n. 15205; Cass., Sez. 6, 16 luglio 2014, n. 16300).

5. – Il secondo motivo è anch’esso in parte infondato, in parte inammissibile.

Premesso infatti che a fondamento dell’espulsione il Prefetto aveva addotto due distinte ragioni, ciascuna delle quali di per sè sufficiente a giustificare il provvedimento, e precisamente il diniego di ulteriore rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato (del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b) e la pericolosità sociale dell’espulso (art. 13, comma 2, lett. c), il Giudice di pace ha ritenuto inammissibili, in quanto devolute alla giurisdizione amministrativa, le censure sollevate in ordine alla prima ragione, dichiarando invece infondate quelle riguardanti la seconda. La mancata impugnazione dell’ordinanza, nella parte in cui ha rilevato il difetto di giurisdizione, comportando la stabilità della prima ragione, autonomamente idonea a sorreggere il decreto prefettizio, rende superfluo l’esame delle censure rivolte alla decisione adottata in ordine alla seconda ragione, il cui accoglimento non potrebbe condurre in alcun caso all’annullamento del provvedimento di espulsione (cfr. Cass., Sez. 6, 5 agosto 2015, n. 16503)”.

Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione da essa proposta.

Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte degl’intimati.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 13 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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