Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13826 del 07/07/2016

Cassazione civile sez. VI, 07/07/2016, (ud. 13/06/2016, dep. 07/07/2016), n.13826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in Roma, alla piazza Cavour,

presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, unitamente

all’avv. MICHELE MARIA AMICI, dal quale è rappresentato e difeso

in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI PERUGIA;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Perugia n. 40/15,

depositato il 14 aprile 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 giugno 2016 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

FATTO E DIRITTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380-bis c.p.c.:

“1. – Con il decreto di cui in epigrafe, la Corte d’Appello di Perugia ha rigettato il reclamo proposto da B.S. avverso il decreto emesso il 3 febbraio 2015, con cui il Tribunale per i minorenni di Perugia aveva rigettato la domanda di autorizzazione alla permanenza in Italia proposta dal reclamante ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, comma 3.

2. – Avverso il predetto decreto il B. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

3. – A sostegno dell’impugnazione, il ricorrente ha dedotto:

a) la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, affermando che, nel dare atto della sua incapacità a svolgere il ruolo genitoriale e nel ritenere indimostrato il suo legame affettivo con i figli, in virtù della pena detentiva da lui scontata a seguito di una condanna per tentato omicidio, il decreto impugnato non ha tenuto conto della durata limitata della detenzione e del periodo da lui trascorso in semilibertà ed in affidamento in prova al servizio sociale, durante il quale egli ha potuto dedicarsi all’assistenza ai figli in sostituzione della madre, impegnata nel lavoro, nè del grave pregiudizio alla salute psicofisica dei minori, determinato dal suo rientro in Tunisia in conseguenza dell’espulsione, e dell’ulteriore pregiudizio che gli stessi sarebbero costretti a subire nel caso in cui fossero costretti ad allontanarsi dall’Italia per raggiungerlo;

b) la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28, sostenendo che, nel disporre l’espulsione, il Prefetto ha omesso di tener conto dell’interesse dei figli minori, prevalente su ogni altra valutazione, essendosi limitato a dare atto della insussistenza dei motivi ostativi previsti del D.Lgs. n. 286 cit., artt. 13 e 19, ed avendo trascurato la sua situazione familiare, caratterizzata dall’esistenza di tre figli minori in età scolare, nati e residenti in Italia ed assistiti da esso ricorrente nelle ore diurne, l’impegno da lui profuso per mantenere la famiglia, l’attenzione dimostrata verso la stessa anche durante il periodo di detenzione, l’atteggiamento di favore successivamente manifestato dalla moglie verso il suo rientro in famiglia e l’avvenuto superamento delle criticità precedentemente emerse nei rapporti con i familiari.

4. – I due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto riflettenti questioni intimamente connesse, sono infondati.

A fondamento della decisione, la Corte d’Appello ha richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui i gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore, in presenza dei quali può essere concessa ai suoi familiari la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, non postulano necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute del minore, ma possono consistere in qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che il minore è destinato a risentire per effetto dell’allontanamento dei familiari o del suo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto, in considerazione della sua età o delle condizioni di salute ricollegabili al suo complessivo equilibrio psico-fisico, fermo restando che deve trattarsi di situazioni di durata non lunga o indeterminabile e non caratterizzate da tendenziale stabilità e che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate si concretino in eventi traumatici e non prevedibili tali da trascendere il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare (cfr. Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2010, n. 21799: Cass., Sez. 6, 17 dicembre 2015, n. 25419; Cass., Sez. 1, 31 marzo 2011, n. 7516).

Nella valutazione del predetto pregiudizio, il decreto impugnato ha preso l’avvio dalla considerazione, logicamente ineccepibile, che, in quanto strumentale all’esigenza di non privare il minore di una figura parentale fino ad allora presente nella sua vita psichica, la richiesta del familiare di trattenersi in Italia, in deroga alle disposizioni che disciplinano l’ingresso o il soggiorno dello straniero nel territorio nazionale, presuppone innanzitutto l’accertamento di un significativo rapporto affettivo con il minore, e quindi dell’effettivo esercizio da parte del richiedente della funzione genitoriale, la cui interruzione arrecherebbe un nocumento irreversibile allo sviluppo psico-fisico del minore. L’esistenza di tale rapporto è stata esclusa, nella specie, sulla base di una pluralità di elementi, univocamente convergenti verso la dimostrazione dell’incapacità del B. di porsi quale valido punto di riferimento per la crescita e l’educazione dei tre figli e segnatamente alla luce della brevità dei periodi di tempo trascorsi con la famiglia, anche a causa della detenzione in carcere scontata a seguito della condanna per il reato di tentato omicidio commesso ai danni del cognato, dell’avvenuta commissione di tale reato in presenza di uno dei figli, della pendenza a carico del ricorrente di altri procedimenti penali per maltrattamenti in famiglia ai danni della moglie e, più in generale, della condotta violenta da lui tenuta nell’ambito familare. La configurabilità di un grave pregiudizio per l’interesse della prole è stata d’altronde esclusa anch’essa, con motivazione immune da vizi logici, in virtù dell’accertata capacità della moglie del B. di far fronte da sola a tutte le problematiche connesse alla loro crescita, ivi comprese quelle riguardanti i disturbi del linguaggio e dell’apprendimento manifestati da uno dei figli, affrontate con l’aiuto di servizi sociosanitari specialistici.

Nel contestare il predetto apprezzamento, il ricorrente non è in grado di evidenziare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dal decreto impugnato, ma si limita ad insistere sulla rilevanza di elementi già presi in considerazione dalla Corte di merito, ribadendo la prevalenza dell’interesse dei minori, minimizzando la portata degli episodi di violenza accertati e sottolineando per converso l’essenzialità dell’apporto da lui fornito alla soddisfazione delle esigenze dei figli. In tal modo, egli dimostra di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, una nuova valutazione delle risultanze processuali, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nei limiti in cui le relative incongruenze possono ancora essere denunciate con il ricorso per cassazione, alla stregua delle modifiche apportate all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del D.L. 22 giugno 2012, n 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 4 novembre 2013, n. 24679; Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. Sez. lav., 19 marzo 2009, n. 6694)”.

Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione da essa proposta.

Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 13 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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