Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13826 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27716/2013 R.G. proposto da:

R.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Arturo Veri, con

domicilio eletto presso l’Avv. Pamela Bonanni in Roma

Circonvallazione Clodia n. 145/A, giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 31/8/13, depositata in data 11 giugno 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25 febbraio 2020

dal Consigliere Dott. Fuochi Tinarelli Giuseppe.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VisonàStefano, che ha concluso per il rigetto del

ricorso. Udito l’Avv. Pamela Bonanni per il contribuente che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. dello Stato Alfonso Peluso per l’Agenzia delle entrate

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.G. propone ricorso per cassazione con quattro motivi avverso la sentenza della CTR dell’Emilia Romagna che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva respinto il ricorso proposto contro la cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle dogane per la riscossione di un titolo esecutivo, emesso dalla Dogana austriaca per dazi ed Iva per contrabbando di orologi e parti di orologi, in regime di collaborazione intracomunitaria,

Il contribuente nel giudizio di merito deduceva la sua estraneità al contestato contrabbando e l’invalidità della pretesa austriaca, non tradotta e inerente a fatti risalenti ad oltre dieci anni prima.

L’Agenzia delle dogane si è costituita depositando controricorso. All’udienza del 16 aprile 2019, rilevata la mancata notifica all’agente della riscossione, presente nei precedenti gradi di giudizio, veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dello stesso, ritualmente effettuata dal contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “errata valutazione in applicazione della normativa sugli atti impugnabili in materia tributaria”.

Lamenta il ricorrente, in particolare, che la cartella costituiva il primo atto impugnabile, escluso ogni rilievo alla decisione austriaca e all’invito di pagamento, sicchè l’iscrizione a ruolo trovava il suo presupposto nell’atto della Dogana di Innsbruck, titolo esecutivo mai notificato al contribuente.

2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “mancata osservanza e inesatta interpretazione di norme direttive comunitarie”.

Lamenta, in particolare, l’avvenuta notifica della decisione della Dogana di Innsbruck in lingua tedesca e senza traduzione, da cui l’illegittimità della pretesa per “inesistenza” del titolo esecutivo.

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 1 c.p.c., “errata valutazione comunitaria”.

Ribadisce, in particolare, l’omessa notifica del titolo esecutivo emesso dalla Dogana di Innsbruck in data 28/2/2007, da cui la sussistenza della giurisdizione nazionale.

4. I tre motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono infondati.

4.1. Giova premettere che le questioni dedotte, pur investendo il riparto tra la giurisdizione austriaca e nazionale, sono suscettibili di esame da parte della sezione semplice ai sensi dell’art. 374 c.p.c.,, comma 1, ultima parte, trattandosi di profili su cui le Sezioni Unite si sono più volte occupate con riguardo a fattispecie similari.

4.2. Il D.Lgs. n. 69 del 2003, art. 5, comma 1 (“Assistenza per il recupero dei crediti”) prevede che “Su domanda dell’autorità richiedente, il Ministero dell’economia e delle finanze dà corso sulla base dei titoli esecutivi ricevuti, al recupero dei crediti di cui all’art. 1 sorti nello Stato membro in cui essa ha sede, secondo la normativa vigente per il recupero dei crediti analoghi sorti nel territorio nazionale; detti titoli, che hanno diretta ed immediata efficacia esecutiva, sono equiparati ai ruoli di cui al D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602”.

La disposizione regola poi le condizioni (a carico dell’Autorità richiedente) per la presentazione della domanda.

Il successivo art. 6 (“Contestazioni del credito”) regola il riparto di competenza stabilendo che “1. L’interessato che intende contestare il credito o il titolo esecutivo emesso nello Stato membro richiedente deve adire l’organo competente in tale Stato, ai sensi delle leggi ivi vigenti…. 2. L’interessato che intende contestare gli atti della procedura esecutiva deve adire l’organo competente, secondo le disposizioni dell’ordinamento interno.”.

4.3. Chiara è la ripartizione che deriva da tali indicazioni: secondo la consolidata e unanime giurisprudenza della Corte infatti “in tema di riscossione di crediti fiscali di Stati membri dell’UE, in virtù del sistema di reciproca assistenza delineato dal D.Lgs. n. 6 del 2003, sussiste la giurisdizione italiana ove venga contestata la regolarità formale degli atti della sequenza procedimentale svolta in Italia, mentre la giurisdizione appartiene allo Stato nel quale è sorta l’obbligazione tributaria con riferimento alle questioni inerenti all’esistenza o all’ammontare del credito” (Cass. n. 8931 del 11/04/2018; Cass. n. 6925 del 17/03/2017; Cass. n. 19283 del 12/09/2014, che precisa che “ove la richiesta contenga l’indicazione della data di esigibilità del credito, la dichiarazione di non contestazione del credito e del titolo esecutivo nello Stato emittente, nonchè quella del mancato integrale recupero del credito in quello Stato malgrado l’azione esecutiva in esso intrapresa, l’Amministrazione italiana può dare corso all’azione di recupero, fermo restando che le contestazioni concernenti il merito dei suddetti elementi vanno indirizzate all’organo competente dello Stato creditore, poichè riguardano il titolo esecutivo estero e non la procedura di riscossione del credito in Italia”; Sez. U, n. 9671 del 23/04/2009, Sez. U, n. 18189 del 03/07/2008 e Sez. U, n. 760 del 17/01/2006, che pur riferiti al precedente art. 346 bis TULD, sono parimenti rilevanti avendo recepito dal D.Lgs. n. 69 del 2003, artt. 5 e 6, attuativo della direttiva 2001/44/CE, i medesimi criteri di ripartizione delle competenze).

Specificamente significativa con riguardo alla vicenda in giudizio è, in particolare, Sez. U n. 9671/2009, sopra citata, secondo la quale nel caso in cui “l’opponente assume l’illegittimità (derivata) dell’ingiunzione doganale (la cartella nella vicenda in esame) solo in quanto nega l’esecutività del suddetto titolo tedesco per difetto di notifica, ma, derivando tale esecutività dalla dichiarazione di non contestazione rilasciata dalla autorità richiedente, egli, pur contestando formalmente un atto, quale l’ingiunzione doganale (la cartella), adottato dalla autorità italiana, nel dedurre la necessità della previa notifica, in realtà contesta la suddetta dichiarazione e, con essa, l’esecutività del titolo azionato, in tal modo introducendo una questione esplicitamente attribuita dalla legge all’autorità dello Stato richiedente”.

4.4. Tali affermazioni sono, inoltre, del tutto conformi e coerenti ai principi più volte ribaditi dalla Corte di Giustizia. Con la sentenza 14 gennaio 2010, in C-233/08, Milan Kyrian, si afferma, infatti (par. 40) che tale conclusione è il “corollario del fatto che il credito e il titolo esecutivo vengono emessi sulla base del diritto vigente nello Stato membro in cui ha sede l’autorità richiedente, mentre, per i provvedimenti esecutivi adottati nello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita, quest’ultima applica, in forza degli artt. 5 e 6 della direttiva 76/308, le disposizioni previste dal proprio diritto nazionale per atti corrispondenti, poichè tale autorità è quella che si trova nella migliore posizione per giudicare della legittimità di un atto in funzione del suo diritto nazionale”.

Non ha poi rilievo che, successivamente, la Corte (sentenza 26 aprile 2018, in C-34/17, Eamonn Donnellan) abbia pure affermato, temperando il rigore della ripartizione delle competenze, che, in casi eccezionali in cui “un’autorità di uno Stato membro chiede a un’autorità di un altro Stato membro di recuperare un credito relativo a una sanzione pecuniaria della quale l’interessato non era a conoscenza”, possa “legittimamente condurre a un rifiuto di assistenza al recupero da parte di quest’ultima autorità” atteso che, come affermato dalla CTR e riconosciuto nello stesso ricorso, il contribuente aveva opposto l’atto innanzi agli organi dell’autorità richiedente, la quale aveva respinto il ricorso.

4.5. Ne deriva che non sussiste alcuna violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, nè può costituire oggetto di disamina nel giudizio nazionale ogni questione relativa alla (pregressa) notifica del titolo esecutivo, restando limitata la cognizione del giudice nazionale ai soli atti della procedura di riscossione.

Una tale questione, infatti, appartiene alla sfera di cognizione degli organi giurisdizionali dell’autorità richiedente, mentre è escluso che essa possa essere riproposta nell’ambito della procedura di riscossione avviata nello Stato richiesto.

5. Il quarto motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 omessa pronuncia in ordine all’eccepita prescrizione del credito azionato.

5.1. Il motivo è inammissibile.

La doglianza, oltre a tradursi in una contestazione sull’esistenza del credito, da cui l’improponibilità della stessa innanzi al giudice nazionale in relazione ai principi sopra esposti, è infatti inammissibile per novità della questione che non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi in epigrafe, avendo il ricorrente, in tale evenienza, l’onere, a pena di inammissibilità, “non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa” (Cass. n. 8206 del 22/04/2016).

6. Il ricorso va pertanto respinto e le spese liquidate, come in dispositivo, per soccombenza a favore dell’Agenzia delle dogane.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna R.G. al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle dogane, che liquida in complessive Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 6 luglio 2020

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