Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13817 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 20/05/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 20/05/2021), n.13817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21675-2017 proposto da:

M.S.G., N.M., M.S.F.,

elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO FRANCIA, 221, presso lo

studio dell’avvocato FATALE ELENA, rappresentati e difesi

dall’avvocato BAVASSO ELISABETTA;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 146/2017 della COMM. TRIB. REG. CALABRIA,

depositata il 09/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. DE MASI ORONZO.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

M.S.G., N.F., M.S.M., in qualità di eredi di M.S.G., proponevano ricorso avverso l’avviso contenente la rettifica dei valori di alcuni appezzamenti di terreno compresi fra i cespiti formanti l’asse ereditario.

La CTP di Cosenza accoglieva il ricorso ed annullava l’avviso impugnato.

Proponeva appello l’Agenzia delle entrate e la CTR della Calabria, riformando la sentenza di primo grado, confermava la legittimità formale e sostanziale dell’operato dell’ente impositore, osservando che nessun vizio di motivazione era ravvisabile nell’atto impugnato, che riporta anche il contenuto degli atti richiamati, e che i valori accertati erano superiori a quelli indicati nella dichiarazione di successione.

Avverso la sentenza della CTR i contribuenti propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati con memoria; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 24 Cost., 7, comma 1, L. n. 212 del 2000, 34, comma 2-bis, D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 35, comma 2-bis, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2-bis, atteso che, ai fini del corretto assolvimento dell’obbligo di motivazione dell’avviso, andava considerata la dedotta mancata allegazione degli atti posti in comparazione, ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34, comma 3, in esso richiamati, nonchè la omessa fedele riproduzione degli elementi essenziali degli stessi, e tanto con specifico riferimento ai cespiti n. 4 e n. 6.

La doglianza è infondata in quanto occorre considerare che il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34, comma 2-bis, prevede l’onere di allegazione di documenti non conosciuti nè ricevuti dal contribuente cui la motivazione fa riferimento e tale onere di allegazione non è previsto dalla norma al comma 3, che prevede che l’Ufficio può determinare il valore dei beni con riferimento ad atti riguardanti cespiti aventi analoghe caratteristiche.

Come questa Corte già ha avuto occasione di osservare, il criterio di interpretazione sistematica della norma induce a ritenere che l’onere della allegazione riguardi solo gli atti che costituiscono il presupposto dell’atto impositivo, e che hanno riguardo al contribuente stesso, e non invece gli atti riguardanti contribuenti diversi che vengono menzionati al solo fine della comparazione dei valori.

L’insussistenza dell’obbligo di allegazione è stato affermato anche con riguardo all’imposta di registro ed all’Invim, avendo ritenuto la Corte che l’avviso di rettifica del valore degli immobili è completo (e quindi legittimo), ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, nel momento in cui contiene l’indicazione degli atti specifici utilizzati e gli estremi della registrazione, per consentire al contribuente che ne ha interesse di richiedere tali atti e di contestarli nel merito nella maniera più opportuna e producente.

E trattandosi di atti pubblici, il privato ne può conseguire la disponibilità in ogni momento, per cui correttamente la legge non prevede per l’ufficio l’onere dell’allegazione nè tale onere può essere introdotto dall’interprete (Cass. n. 28772/2005; n. 16076/2000).

Allorchè la L. n. 212 del 2000, art. 7 prevede che, se nella motivazione dell’atto impositivo si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, la norma non intende imporre un onere di allegazione che aggraverebbe l’Ufficio senza che sussista la correlata esigenza di evitare il pregiudizio del diritto di difesa del contribuente e ciò in quanto all’Amministrazione finanziaria è richiesto di porre il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali in modo che egli possa approntare la difesa senza un inesigibile aggravio.

Ne deriva che la L. n. 212 del 2000, art. 7 deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass. n. 13342/2017; n. 11560/2016; n. 6914/2011).

Nel caso che occupa risulta riprodotto nell’avviso di accertamento il contenuto essenziale degli atti addotti in comparazione posto che, con riguardo agli immobili similari, sussistono indicazioni relativamente alla località, all’area urbanistica in cui ciascuno di essi è ricompreso, degli estremi catastali, del valore per mq. e degli estremi dell’atto di alienazione e della dichiarazione di successione in cui sono rispettivamente compresi.

Dunque, i contribuenti, quand’anche avessero avuto piena conoscenza degli atti di comparazione, non sarebbero venuti in possesso di elementi ulteriori, rispetto a quelli indicati nell’avviso di accertamento, utili per la difesa, che pure essi hanno dimostrato di essere stati in grado di svolgere, come dimostra il contenuto stesso del ricorso introduttivo del giudizio.

Con il secondo motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34, comma 3, artt. 2697 e 2729 c.c., attesa la mancata dimostrazione in giudizio, sia pure in via presuntiva, delle caratteristiche e condizioni dei beni posti in comparazione con quelli oggetto di accertamento e, quindi, della effettiva congruità dei valori rettificati, considerato che la base imponibile, relativamente ai beni immobili compresi nell’attivo ereditario, è determinato assumendo il valore venale in comune commercio alla data di apertura della successione (D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 14 e art. 34, comma 3,).

La doglianza si appalesa inammissibile in quanto sottesa ad una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti di causa, operazione riservata al giudice di merito, al quale spetta anche valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. n. 101/2015), essendo suscettibile di controllo, in questa sede, nei ristretti limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed avendo il giudice di secondo grado verificato il risultato dell’applicazione del metodo comparativo relativamente ai singoli cespiti immobiliari caduti in successione.

Di contro, i contribuenti ripropongono argomentazioni difensive circa le – prospettate diverse caratteristiche dei beni, che si risolvono in una valutazione alternativa del predetto materiale probatorio, sulle quali la sentenza impugnata si è comunque intrattenuta.

E’ appena il caso di ricordare che “La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5” (Cass. n. 17313/2020), strada quest’ultima che i ricorrenti non sembrano aver percorso con l’esaminato motivo di impugnazione.

Con il terzo motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 111 Cost., comma 6, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 4, e quindi la nullità della sentenza per motivazione apparente in ordine all’assolvimento, da parte dell’ente impositore, dell’obbligo di motivazione dell’atto impugnato.

La doglianza va disattesa sia per le ragioni innanzi esposte in punto d’inammissibilità del ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. n. 34476/2019), sia perchè, nella fattispecie in esame, non può ritenersi applicabile il principio secondo cui è affetta da nullità la decisione impugnata per avere la stessa omesso ogni riferimento ai fatti di causa ed alle ragioni poste a fondamento della pretesa tributaria in quanto ciò non pare corrispondere alla realtà.

Con il quarto motivo, infine, deducono violazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 42, comma 1, lett. a), art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa valutazione di un fatto decisivo riguardante il rimborso dell’imposta di successione per i terreni contraddistinti al Foglio (OMISSIS), P.lla (OMISSIS), e Foglio (OMISSIS), P.lla (OMISSIS), erroneamente inseriti nella dichiarazione di successione, in quanto alienati in epoca antecedente l’apertura della successione.

La censura va accolta.

4

I ricorrenti si dolgono del fatto che due terreni oggetto di rettifica erano stati in precedenza alienati (il primo a tale sig. Filice, il secondo al Comune di Dipignano), che, del tutto erroneamente essi erano stati indicati nella dichiarazione di successione, che il giudice di prime cure aveva giustamente riconosciuto il diritto dei contribuenti al rimborso dell’imposta versata, con conseguente condanna dell’Amministrazione finanziaria alla restituzione della somme versate in più, non essendo dovuta, rispetto agli stessi beni, alcuna maggiore imposta, e neppure essendo necessaria la presentazione di una dichiarazione di successione in rettifica.

Si legge, nella sentenza impugnata, che “ferma l’impossibilità dell’ente impositore di procedere a rettifica, compete ai contribuenti la possibilità di presentare nuova dichiarazione a rettifica di quella precedente ed erronea”, per cui non v’è dubbio che la sussistenza del preteso diritto al rimborso sia stata implicitamente esclusa per non avere i contribuenti presentato, appunto, una dichiarazione emendativa.

L’Agenzia delle entrate precisa, nel controricorso, che uno dei predetti terreni (quello contraddistinto al Foglio (OMISSIS), P.lla (OMISSIS)) è rimasto estraneo alla rettifica di valore (l’altro è quello contraddistinto al Foglio (OMISSIS), P.lla (OMISSIS)).

Ad avviso dei contribuenti, la CTR della Calabria avrebbe dovuto considerare le note di trascrizione degli atti di vendita prodotte in giudizio, documenti – in tesi – decisivi, in quanto idonei a dimostrare l’estraneità dei cespiti alla successione, e ciò perchè il diritto al rimborso spetterebbe pure in assenza di una dichiarazione di rettifica, essendo i predetti documenti sufficienti a far emergere l’errore commesso nella (prima) dichiarazione.

Va senz’altro richiamato il principio di diritto secondo cui “In tema d’imposta di successione, gli errori commessi dal contribuente nella dichiarazione sono in ogni caso emendabili, sia in virtù del principio generale secondo cui la dichiarazione non ha valore confessorio e non è fonte dell’obbligazione tributaria, sia in virtù dei principi costituzionali di capacità contributiva e buona amministrazione, nonchè di collaborazione e buona fede che devono improntare i rapporti tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente. Alla correzione non osta nè l’intervenuta scadenza del termine per la presentazione della denunzia di successione, che non ha natura decadenziale, nè il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 31, comma 3, che concerne le modifiche da apportare agli elementi oggettivi e soggettivi della dichiarazione, nè l’eventuale notifica di un avviso di liquidazione, riflettendosi tale circostanza solo sul regime dell’onere della prova in giudizio.” (Cass. n. 13595/2018; n. 32832/2018; n. 2229/2015).

Del resto, secondo gli artt. 3 e 53 Cost., la “capacità contributiva” (quale concretamente individuata, per ciascuna imposta, dal legislatore ordinario, con scelte il giudizio relativo alle quali è rimesso alla corte delle leggi non irrazionali) deve costituire l’unico parametro di riferimento effettivo: il suo senso concreto, quindi, impone di escludere qualsiasi interpretazione da cui possa derivare la soggezione del contribuente ad un prelievo fiscale maggiore o minore di (comunque diverso da) quello effettivamente voluto dal legislatore, dal momento che la Consulta ha affermato che “la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese esige… l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo a un effettivo indice di ricchezza”(Corte Cost., ordinanza 28 novembre 2008 n. 394; Cass. n. 7652/2018; n. 14989/2018).

Orbene, non potendo considerarsi precluso l’esercizio della facoltà di correzione e venendo essa ad operare, nel caso di specie, in sede contenziosa, con onere della prova a carico dei contribuenti dell’errore di fatto commesso nella dichiarazione di successione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla medesima CTR, in diversa composizione, per nuovo esame, sul punto, della controversia, e per la regolamentazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il quarto motivo di ricorso, respinge i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla CTR della Calabria, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese iudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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