Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13816 del 31/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13816 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA
sul ricorso 16053-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
960

contro

FILAGNA FABRIZIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO
ROBERTO, che lo rappresenta e difende giusta delega in

Data pubblicazione: 31/05/2013

atti;
– controricorrente
avverso la sentenza n.

1816/2007 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 04/06/2007 r.g.n. 7052/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

NOBILE;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto.

udienza del 14/03/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO

R.G. 16053/2008
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 15-10-2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma

Mit2

respingeva la domanda proposta da Fabrizio Filagna nei confronti della s.p.a.

ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti (dal 13-10-1997 al 31-1-1998 per
“esigenze eccezionali” ex art. 8 ceni 1994 come integrato dall’acc. az. 25-91997 e succ., dall’8-6-1998 al 30-9-1998 per “necessità di espletamento del
servizio in concomitanza di assenze per ferie” e dal 9-11-1998 al 30-1-1999 per
“esigenze eccezionali”) con le pronunce consequenziali.
Il Filagna proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con l’accoglimento della domanda.
La società si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 4-6-2007, in
riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava la sussistenza tra le parti di
un rapporto a tempo indeterminato a decorrere dall’8-6-1998 e condannava la
società al pagamento delle retribuzioni dovute dal 28-1-2003, oltre
rivalutazioni e interessi.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con sette
motivi.
Il Filagna ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art.
378 c.p.c..
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, va rilevato che con il primo motivo la ricorrente censura
l’impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione
1

Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto

del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza di una
qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto di un contratto a
termine (in ipotesi) illegittimamente apposto, per un apprezzabile lasso di
tempo anteriore alla proposizione della domanda e la conseguente presunzione

circostanze atte a contrastare tale presunzione.
Con il secondo motivo la società lamenta altresì vizio di motivazione sul
punto, anche in ordine al mancato accoglimento delle richieste istruttorie
avanzate al riguardo.
Entrambi i motivi non meritano accoglimento.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
2

di estinzione del rapporto, con onere, in capo alla lavoratrice, di provare le

tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la

101%

volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.
1-2-2010 n. 2279).

c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente
ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei
comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del
rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.
Orbene nella fattispecie la Corte di merito ha rilevato che “nel caso di
specie la relativa tempestività della reazione giudiziaria e la mancanza di ogni
diversa allegazione di altre condotte concludenti nel senso di una implicita
volontà risolutoria del rapporto, devono far escludere la praticabilità di una
presunzione fondante un’ipotesi di scioglimento di quello per mutuo
consenso”.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
Inoltre neppure può accogliersi la censura, peraltro del tutto generica,
concernente il mancato accoglimento delle richieste istruttorie avanzate davanti
ai giudici di merito, considerato che comunque “l’esibizione di documenti non
può essere chiesta a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte
istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo
contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio” (v. fra le altre Cass. 20-123

Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321

2007 n. 26943) ed atteso che “la richiesta di informazioni alla P.A. costituisce
una facoltà rimessa alla non sindacabile discrezionalità del giudice di merito, il

G0

cui mancato esercizio (pur in presenza di una specifica istanza in tal senso
formulata dalla parte) non è in alcun modo censurabile in sede di legittimità”

12789).
Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte
in cui ha ritenuto la illegittimità del termine apposto al secondo contratto in
quanto concluso dopo la scadenza del ceni che ne prevedeva l’ipotesi
legittimante ex art. 23 1. 56/87 e lamenta al riguardo la erronea interpretazione
dell’art. 87 del detto ccnl.
Con il quarto motivo la società lamenta contraddittorietà della
motivazione in ordine alla esistenza di un limite temporale alla facoltà di
stipula dei contratti a termine effettuata ex art. 8 del ceni del 1994 per
“necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”,
stante la autonoma e diversa previsione collettiva rispetto a quella delle
“esigenze eccezionali”.
Con il quinto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella
parte in cui ha affermato la illegittimità del termine apposto al terzo contratto
in quanto stipulato oltre la data ultima fissata negli accordi attuativi
dell’accordo 25-9-97, deducendo la insussistenza di tale limite temporale e la
natura meramente ricognitiva dei detti accordi.
Con il sesto motivo la società lamenta vizio di motivazione, sul punto, in
ordine alla interpretazione dei citati accordi.

4

(cfr.. Cass. 11-6-1998 n. 5794, Cass. 12-4-1999 n. 3573, Cass. 2-9-2003 n.

Sui motivi dal terzo al sesto osserva il Collegio che le censure, come è
stato eccepito dal Filagna nella memoria, risultano inammissibili.

A

Come è stato affermato da questa Corte (v. Cass. S.U. 3-11-2011 n.
22726), “in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art.

d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso,
“gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il
ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle
forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di
parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti
e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il
deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla
cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al
richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ.,
ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di
inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei
dati necessari al reperimento degli stessi.”
Orbene nel caso di specie la ricorrente si è limitata a richiamare in calce al
ricorso al n. 4) i “fascicoli dei pregressi gradi del giudizio”, senza specificare in
alcun modo se il ceni e gli accordi invocati fossero contenuti negli stessi. Tanto
meno, poi, la ricorrente ne ha indicato la (eventuale) collocazione.
Tale rilievo comporta la inammissibilità dei motivi dal terzo al sesto.
Con il settimo motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1217 e
1233 c.c., lamenta che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in
ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto
5

369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del

”conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività
lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la
società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di
esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.
“Per il

principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito
dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato
– ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di
riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di
lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della
disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ. “.
Tale quesito non riguarda il tema dell’aliunde perceptum e comunque,
anche in ordine all’argomento della mora credendi risulta del tutto generico e
non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione
in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di
conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di
merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80). Il quesito di diritto,
richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla
giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in
maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in
giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere
come inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto è stato anche
precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui
formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del
quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato
6

La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto:

alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U.
30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla
sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata
con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).

del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si
incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica effettiva della messa
in mora, senza che la ricorrente riporti il contenuto della lettera di diffida
ricevuta dalla società il 28-1-2003 che, secondo la ricorrente, contrariamente a
quanto affermato dalla Corte di merito, non avrebbe integrato un atto di messa
in mora.
Del pari, per quanto concerne l’aliunde perceptum (in relazione al quale
manca del tutto il quesito) alcunché di specifico è stato indicato dalla
ricorrente, laddove al riguardo era pur sempre necessaria una rituale
acquisizione della allegazione e della prova (pur non necessariamente
proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato,
cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n.
17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099).
Così risultato inammissibile il settimo motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche
modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
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Peraltro neppure può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione

una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad
essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v.
fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento
delle spese in favore del Filagna.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al Filagna le
spese, liquidate in euro 50,00 per esborsi e euro 3.500,00 per compensi, oltre
accessori di legge.
Roma 14 marzo 2013

2-2004 n. 4070).

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