Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13816 del 23/06/2011

Cassazione civile sez. I, 23/06/2011, (ud. 18/04/2011, dep. 23/06/2011), n.13816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.N. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

13/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/04/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.N., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio instaurato dinanzi al T.A.R. Campania per il riconoscimento del suo diritto all’inclusione di maggiorazioni retributive per lavoro notturno nella base di calcolo delle indennità previste dal contratto. Giudizio iniziato nel luglio 1990 ed ancora pendente al momento della proposizione della domanda.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 13 gennaio 2009, ritenuta la durata ragionevole di tre anni, liquidava il danno non patrimoniale per la residua durata irragionevole di quindici anni e cinque mesi circa la somma di Euro 12.333,00 (pari ad Euro 800 per anno di ritardo) oltre a interessi legali ed alle spese del procedimento. Avverso tale decreto S.N. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero Economia e Finanze il 7 ottobre 2009, formulando tre motivi. Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- I tre motivi di ricorso denunciano erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6 p. 1 CEDU) in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ed omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c.,. 3 e 5). Secondo l’istante, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la liquidazione dell’equo indennizzo dovrebbe effettuarsi, applicando la normativa CEDU secondo la giurisprudenza della Corte europea e disapplicando la L. n. 89 del 2001, art. 2, che con essa contrasti, in relazione non già al tempo eccedente la ragionevole durata bensì all’intera durata del processo, ed in misura non inferiore a Euro 1000,00/1.500,00 per anno (motivi 1 e 2); nella specie peraltro il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detti parametri (motivo 3).

2.- Tali doglianze, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connesse, sono infondate.

2.1- Quanto al rapporto tra le norme nazionali (in particolare, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3) e la CEDU, deve in primo luogo escludersi che l’eventuale contrasto tra tali normative possa essere risolto semplicemente con la “non applicazione” della norma interna.

Fermo il principio enunciato dalle S.U. (n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla legge n. 89/2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, va precisato come tale dovere operi entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della citata L. n. 89 del 2001:

qualora ciò non fosse possibile, ovvero il giudice dubitasse della compatibilita della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, dovrebbe investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, (cfr. Corte Cost. sentenze nn. 348 e n. 349 del 2007). D’altra parte, la compatibilità della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana con la ratifica della CEDU va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo: come la stessa Corte europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo, di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009 ; n. 3716/2008).

Rettamente dunque la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dall’art. 2 citato, facendo peraltro espresso richiamo ai principii qui esposti.

2.2- Quanto alla liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale, va osservato che la Corte di merito, riconoscendo al ricorrente a tale titolo la somma di Euro 12.333,30 per quindici anni e cinque mesi circa di durata irragionevole, non si è irragionevolmente discostata dai parametri che parte ricorrente indica come normalmente adottati dalla Corte Europea in casi analoghi, ai quali ha fatto espresso riferimento, precisando che l’omessa presentazione di istanza di prelievo faceva presumere uno scarso interesse del ricorrente per la sollecita: definizione del procedimento presupposto. Tanto più che la Corte CEDU, in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative, in cui gli interessati non hanno sollecitato in alcun modo la trattazione e/o definizione del processo mostrando sostanzialmente di non avervi interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra importi di Euro 350,00 e di Euro 550,00 pur se in qualche caso non è mancata una liquidazione superiore (cfr.procedimenti 675/03; 688/03 e 691/03; 11965/03). Tenendo quindi presente che, alla luce di tali orientamenti della Corte di Strasburgo, dettati in casi analoghi a quello in esame, l’indennizzo complessivo per un giudizio durato circa 18 anni e cinque mesi non possa essere inferiore a Euro 9.208,00, deve ritenersi che la liquidazione di Euro 12.333,00 effettuata nel provvedimento impugnato sia ben al di sopra di tale soglia minima.

3.- Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la condanna della parte ricorrente al rimborso in favore del resistente delle spese di questo giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in Euro 900,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2011

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