Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13815 del 31/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13815 Anno 2013
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 11702-2008 proposto da:
MAUGERI ORAZIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
F. SATOLLI 45, presso lo studio dell’avvocato CANTONE
FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato
PARMALIANA BIAGIO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
931

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE

80078750587,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Data pubblicazione: 31/05/2013

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
avvocati TADRIS PATRIZIA, FABIANI GIUSEPPE, giusta
delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 302/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/03/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

di MESSINA, depositata il 16/04/2007 R.G.N. 1301/2004;

R.G. n. 11702/08
Ud. 14.3.13
Maugeri c. INPS

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 16.4.07 la Corte d’appello di Messina rigettava il
gravame interposto da Orazio Maugeri contro la sentenza con cui il Tribunale della

stessa sede ne aveva respinto, per intervenuta prescrizione, la domanda intesa ad
ottenere dall’INPS il pagamento delle ultime tre mensilità ai sensi dell’art. 2 d.lgs.
n. 80/92.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Maugeri affidandosi a sei motivi, poi
ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.
L’INPS resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs.
n. 80/92 nella parte in cui l’impugnata sentenza ha ritenuto applicabile il termine
annuale di prescrizione del diritto al pagamento delle ultime tre mensilità previsto
da tale disposizione nazionale, da disapplicarsi perché in contrasto con la normativa
comunitaria, atteso che con sentenza del luglio 1997 la CGCE ha sostanzialmente
fatto rientrare nel novero degli aventi diritto alle ultime tre mensilità anche i
lavoratori che originariamente ne erano esclusi in quanto percettori di indennità di
mobilità; a questo punto — prosegue il ricorrente – contrariamente a quanto statuito
dalla Corte territoriale il termine di prescrizione doveva decorrere solo dal momento
in cui il giudice nazionale, disapplicando la normativa interna per contrasto con
quella comunitaria come interpretata dalla Corte di Lussemburgo, avesse reso
possibile l’esercizio del diritto, sicché nel caso di specie o non era configurabile
termine alcuno di prescrizione, oppure — al limite — l’unico termine applicabile
doveva considerarsi quello decennale.
La stessa censura viene, in sostanza, fatta valere con il secondo motivo, sotto
forma di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2935 c.c. e 2 d.lgs. n. 80/92,
nonché con il terzo motivo, sotto forma di vizio di motivazione.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e
189 del Trattato istitutivo della CE per avere l’impugnata sentenza rigettato la
domanda — avanzata in subordine dal Maugeri — di risarcimento del danno per
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distorta ricezione della direttiva comunitaria n. 80/87 da parte del legislatore
italiano a cagione del divieto di cumulo fra indennità di mobilità ed ultime tre
mensilità previsto dall’art. 2 co. 4 0 lett. c) d.lgs. n. 80/92, divieto dichiarato dalla

CGCE non conforme alla normativa comunitaria.
Con il quinto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 4
d.lgs. n. 80/92 per aver l’impugnata sentenza rigettato la suddetta domanda
risarcitoria anche per difetto di legittimazione passiva dell’INPS, in tal modo
trascurando i giudici del merito che, secondo la giurisprudenza della CGCE, tale
risarcimento può essere chiesto anche nei confronti di un organismo (come l’INPS)
che, indipendentemente dalla forma giuridica rivestita, sia stato incaricato con atto
della pubblica autorità di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio di
interesse pubblico e che a questo scopo dispone di poteri eccedenti i limiti di quelli
risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra i singoli.
Con il sesto motivo si prospetta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.
perché il rigetto dell’appello ha comportato anche il rigetto della domanda di
condanna dell’INPS al pagamento delle spese del doppio grado di merito.

2- I primi due motivi di ricorso — da esaminarsi congiuntamente perché connessi —
sono infondati perché muovono dall’erroneo presupposto che la disapplicazione, ad
opera del giudice nazionale, di una norma interna perché contrastante con la
normativa comunitaria costituisca il necessario presupposto giuridico per far valere
un diritto altrimenti precluso dalla norma disapplicata.
In realtà, come stabilito da costante giurisprudenza, persino l’illegittimità
costituzionale di una data norma costituisce non già ostacolo legale all’esercizio del
diritto che — in ipotesi — essa disconosca, bensì mera difficoltà di fatto, come tale
ininfluente.
Basti rammentare che, per antico e costante insegnamento di questa S.C. (cfr., da
ultimo, Cass. 7.3.12 n. 3584), l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art.
2935 c.c. cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditiva della decorrenza della
prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio
del diritto stesso e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di
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mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 prevede solo specifiche e tassative
ipotesi di sospensione; fra di esse – salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato
articolo – non rientra neppure l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore

del diritto, né il dubbio soggettivo sulla sua esistenza o il ritardo indotto dalla
necessità del relativo accertamento.
In altre parole, in applicazione del noto e consolidato principio secondo cui la
vigenza di una norma preclusiva dell’esercizio di un diritto e viziata da
incostituzionalità è qualificabile come mero ostacolo di fatto all’esercizio del diritto
medesimo ovviabile mediante azione in giudizio che porti alla dichiarazione
dell’incostituzionalità stessa, è da escludersi che il termine di prescrizione possa
decorrere solo dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale
(cfr., da ultimo, Cass. S.U. 28.5.12 n. 8452). Essa decorre — invece — sin dal
momento in cui il diritto poteva essere fatto valere.
A maggior ragione tale principio vale in caso di disapplicazione, ad opera del
giudice nazionale, di una norma interna perché contrastante con normativa
comunitaria (disapplicazione avente un valore meramente dichiarativo), sicché nulla
impediva all’odierno ricorrente di chiederla ed ottenerla — ai fini del riconoscimento
del diritto al pagamento delle ultime tre mensilità — entro il termine di prescrizione
annuale di cui all’art. 2 co. 5 0 d.lgs. n. 80/92.

3- Il vizio dedotto nel terzo motivo di ricorso si colloca all’esterno dell’area
dell’art. 360 co. 10 n. 5 c.p.c., in quanto il vizio di motivazione spendibile mediante
ricorso per cassazione concerne solo là motivazione in fatto, giacché quella in
diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in
cassazione (v. art. 384 ult. co . c.p.c.), senza che la sentenza impugnata ne debba in
alcun modo soffrire.
Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata
sia corretta ancorché malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta
erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben
costruita) la può trasformare in esatta ed il vizio da cui risulterà affetta la
pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di violazione o falsa applicazione di
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norma di diritto (cfr., e pluribus, Cass. 11.5.12 n. 7267; Cass. 20.2.99 n. 1430;
Cass. 9.4.90 n. 2940).

4- Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento dell’obbligo, da parte di uno
Stato membro, di recepire correttamente una data direttiva comunitaria presuppone
a monte la giuridica impossibilità, per il privato, di far valere innanzi al giudice
nazionale il diritto derivante dalla direttiva medesima, impossibilità che — alla
stregua delle osservazioni sopra esposte — si è invece esclusa, atteso che l’odierno
ricorrente ben avrebbe potuto tempestivamente agire in giudizio chiedendo il
pagamento delle ultime tre mensilità previa disapplicazione della norma interna —
l’art. 2 co. 4 lett. c) d.lgs. n. 80/92 – che ne negava il cumulo con l’indennità di
mobilità.

5- L’inesistenza del diritto risarcitorio invocato dal Maugeri assorbe la disamina
del quinto motivo di ricorso.

6- Il sesto motivo di doglianza è manifestamente infondato, atteso che il rigetto
della domanda di condanna dell’INPS alle spese del doppio grado di merito altro
non è stato che l’inevitabile conseguenza, dovuta proprio ai sensi dell’art. 91 c.p.c.,
della reiezione del gravame del Maugeri, come correttamente statuito dalla Corte
territoriale.

7- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Non va emessa pronuncia sulle spese relative al presente giudizio di legittimità, ai
sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo anteriore alla novella di cui all’art. 42 co.
11 0 d.l. 30.9.03 n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24.11.03 n. 326
(novella inapplicabile ratione temporis nel caso di specie, atteso che il ricorso
introduttivo di lite è stato depositato il 1 0 .12.99).
P.Q.M.
La Corte
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rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, in data 14.3.13.

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