Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13814 del 31/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 31/05/2017, (ud. 22/02/2017, dep.31/05/2017),  n. 13814

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26622-2011 proposto da:

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati TERESA OTTOLINI,

LUCIANA ROMEO, che lo rappresentano e difendono, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GIOVANNI ANTONELLI 50, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE

TRIVELLINI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1392/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 08/06/2011 R.G.N. 592/2009.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata l’8.6.2011, la Corte d’appello di Lecce, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato l’INAIL a corrispondere ad P.A. la rendita ai superstiti quale erede di B.A., sul presupposto che questi fosse deceduto per malattia professionale neoplastica contratta nell’ambiente di lavoro;

che avverso tale pronuncia ha interposto ricorso per cassazione l’INAIL, deducendo un unico motivo di censura con cui ha lamentato violazione del T.U. n. 1124 del 1965, art. 3, per avere la Corte territoriale riconosciuto il diritto alla prestazione nonostante che il CTU avesse accertato che le sostanze con cui il de cuius era entrato in contatto fossero soltanto “potenzialmente in grado di favorire (…) i processi di trasformazione neoplastica del comparto linfoproliferativo mieloide” (così la relazione peritale, per come riportata a pag. 10-11 del ricorso), e dunque senza valutarne l’incidenza in termini di “probabilità qualificata”;

che P.A. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie, essendo impossibile nella maggior parte dei casi ottenere la certezza dell’eziologia, è pur sempre necessario che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici) idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale (cfr. Cass. n. 9057 del 2004 e, più recentemente, Cass. n. 10097 del 2015);

che siffatti accertamenti appaiono del tutto assenti nella motivazione della sentenza impugnata, che anzi dà conto di come “attribuire agli IPA e all’amianto la cogenesi della malattia costituisc(a) espediente logico non pienamente assistito da scientifico positivo riscontro, collegato com’è alla mera possibilità dell’incidenza di dette sostanze nel complesso, ed ancora non dimostrato appieno con le attuali conoscenza mediche, iter formativo della patologia tumorale”, salvo ritenere che bene abbia fatto il CTU, “con corretto ragionamento pro-malato in considerazione della particolare tutela che in un dato momento storico l’ordinamento appresta in favore del lavoratore leso nella sua integrità psico-fisica e della sostanziale iniquità che deriverebbe dall’addossargli le lacune del progresso scientifico”, ad assegnare “a quei fattori ambientali potenziale effetto (non determinante ma) agevolante la formazione tumorale nel concreto sviluppatasi, specie ove non sia allegato alcun fattore esterno in sè responsabile della patologia neoplastica” (così la sentenza impugnata, pag. 3); che l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (così, tra le più recenti, Cass. n. 4036 del 2014), per modo che, nella specie, va escluso che il ricorso dell’INAIL, pur deducendo la violazione del T.U. n. 1124 del 1965, art. 3, e non invece – come pure si evince dallo sviluppo dell’argomentazione svolta a supporto della censura – un vizio di motivazione, sia passibile di declaratoria d’inammissibilità;

che, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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