Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13812 del 31/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13812 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 3224-2008 proposto da:
LANDONI

IRENE,

ROSSI ALDO CARLO,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO 97, presso lo
studio dell’avvocato LEONE AURELIO, che li rappresenta
e difende unitamente all’avvocato NIGRA AMEDEO;
– ricorrenti 2013
826

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
80078750587, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA
FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

Data pubblicazione: 31/05/2013

rappresentato

e

difeso

dagli

avvocati

CALIULO

LUIGI,CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, giusta
delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 1009/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/03/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAI SANO;
udito l’Avvocato MARITATO LELIO per delega CALIULO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di MILANO, depositata il 06/11/2007 r.g.n. 406/06 + l;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 6 novembre 2007 la Corte d’appello di Milano ha
confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 10 febbraio 2006 che
ha rigettato il ricorso proposto da Rossi Aldo Carlo e Landoni Irene nei
confronti dell’INPS inteso ad ottenere l’accertamento negativo

del 14 maggio 2004 e dell’esistenza dei relativi requisiti previsti dalla
legge; con la medesima sentenza la Corte d’appello di Milano ha pure
rigettato l’appello proposto dai medesimi soggetti avverso l’ordinanza,
ritenuta avente natura di sentenza, emessa il 13 gennaio 2006 dal medesimo
Tribunale di Milano, nel giudizio promosso dagli stessi Rossi e Landoni nei
confronti dell’INPS, e con la quale è stata dichiarata la litispendenza con
quella di cui al giudizio di appello suddetto ed è stata disposta la
cancellazione della causa dal ruolo. La corte territoriale ha motivato tale
pronuncia considerando che l’onere della prova dell’inesistenza
dell’obbligo contributivo e dei presupposti di cui al verbale di accertamento
impugnato incombe sui ricorrenti, e che i mezzi istruttori da loro dedotti
non sono ammissibili in quanto irrilevanti a fronte di un sistema normativo
che prevede l’obbligatorietà dell’assicurazione per l’invalidità, vecchiaia e
superstiti per i soci di società in nome collettivo o in accomandita semplice
esercenti piccole imprese commerciali prevalentemente con il lavoro
proprio e degli eventuali familiari, come nel caso degli attuali ricorrenti.
Il Rossi e la Landoni propongono ricorso per cassazione avverso tale
sentenza articolato su sei motivi.
Resiste con controricorso l’INPS.
I difensori dei ricorrenti hanno segnalato l’avvenuto decesso della Landoni.
MOTIVI DELLA CDECISIONE

dell’esistenza dell’obbligo contributivo di cui al verbale di accertamento

Con il primo motivo si lamenta violazione degli artt. 34 e 112 cod. proc.
civ. e 2967 cod. civ., e difetto di motivazione ; ex art. 360, nn. 3 e 5 cod.
proc. civ. In particolare si deduce che i due provvedimenti impugnati si
riferivano a due diversi provvedimenti dell’INPS opposti con distinti
procedimenti, uno riferito ad un verbale di accertamento, ed un altro alla

litispendenza in presenza di due procedimenti aventi diverso oggetto.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e
difetto di motivazione ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla
mancata esplicitazione nel dispositivo della sentenza, della natura di
sentenza, indicata in motivazione, del provvedimento impugnato con cui è
stata dichiarata la litispendenza.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697
cod. civ. e difetto di motivazione ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In
particolare si deduce che l’intimazione di pagamento di contributi
previdenziali avrebbe natura di ingiunzione per cui nel giudizio di
opposizione la veste di attore sostanziale sarebbe assunta dall’INPS che
avrebbe quindi l’onere di provare il proprio credito.
Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 2697 e 1367 cod. civ.
e difetto di motivazione ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si
assume che non sarebbe provata l’esistenza di un’attività commerciale di
vendita al dettaglio, non essendo a ciò sufficiente la sola dichiarazione di
vendere essendo questa propria anche di attività industriali o di
rappresentanza.
Con il quinto motivo si lamenta violazione dell’art. 2697 cod. civ. e difetto
di motivazione con riferimento al valore probatorio del verbale ispettivo
dell’INPS che non farebbe fede in relazione al suo contenuto ma solo alla
dichiarazione estrinseca.

successiva iscrizione a ruolo, per cui sarebbe illegittima la dichiarata

Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 2697 cod. civ. e difetto di
motivazione con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità dei
documenti prodotti in appello costituiti dall’atto costitutivo di società e
della relativa visura che costituiscono estratti dal registro delle imprese il

I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente riguardando entrambi la
dichiarazione di litispendenza, vanno dichiarati inammissibili atteso che,
come ha statuito la Cassazione, il motivo di ricorso per cassazione deve
essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., che non può essere generico
(esaurendosi nella enunciazione della regola della corrispondenza tra il
chiesto e il pronunciato), nè può omettere di precisare su quale questione il
giudice aveva omesso di pronunciare o aveva pronunciato oltre i limiti
della domanda (cfr. Cass 21 febbraio 2012 n.
ed ha precisato anche, per quanto riguarda il vizio di motivazione,
che è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il motivo per
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato
formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di
apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo
controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la
“ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze
deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in
condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore
commesso dal giudice di merito (ex plurimis Cass. 18 novembre 2011 n.
24255).
I restanti motivi con i quali si denunzia la violazione da parte del giudice
d’appello sotto vari profili, dell’art. 2697 c.c. per non avere tenuto in
considerazione che nella fattispecie in esame si era in presenza di un

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aL

cui contenuto si presume vero.

giudizio di opposizione, per non avere tenuto presente la natura dell’attività
spiegata da essi ricorrenti, e pergf’ere valutato in maniera corretta il verbale
dello ispettore del lavoro, e per avere considerato ammissibili i documenti
prodotti in appello, si presentano anche essi inammissibili per avere violato
i principi sopra indicati per quanto attiene ai quesiti di cui all’ari 366 bis

trovare applicazione perché, come ha ricordato il giudice d’appello, nelle
azioni di accertamento l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697
cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi
eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce
deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la
negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo
onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il
fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo anche se, non essendo
possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa
prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo
contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il
fatto negativo (cfr. Cass. 13 dicembre 2004 n. 23229 cui adde Cass. 11
gennaio 2007 n. 384).
Ed ancora la sentenza impugnata non merita nessuna censura anche per
quanto attiene all’obbligo di pagamento da parte degli attuali ricorrenti dei
contributi in contestazione dal momento che ancora una volta è stata dal
giudice d’appello fatta puntuale applicazione dei principi giurisprudenziali
in materia secondo cui, in tema di contribuzione previdenziale, l’art. 1,
comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 ha previsto l’obbligo
dell’iscrizione alla gestione commercianti anche per il socio amministratore
di società a responsabilità limitata operante nel settore commerciale,
rispondendo tale scelta all’esigenza di evitare che, grazie allo schermo della
struttura societaria, la prestazione di lavoro del socio, resa nella compagine,

Il

c.p.c. Per di più anche nel merito le domande dei ricorrenti non possono

venga sottratta alla contribuzione previdenziale (cfr. Cass. 19 novembre
2012 n. 20268; Cass. 27 ottobre 2010 n. 21970).
Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio liquidate in €
50,00 per esborsi ed € 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori
di legge.
Così deciso il 6 marzo 2013.

La Corte rigetta il ricorso;

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