Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1381 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/01/2021, (ud. 09/09/2020, dep. 22/01/2021), n.1381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28588-2018 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GUGLIELMO GIULIANO;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO PROVINCIALE MODENESE DI VIGILANZA NOTTURNA DIURNA E

CAMPESTRE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo

studio dell’avvocato GABRIELE GATTI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ROBERTO DE ROBERTIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 736/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 23/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Bologna ha respinto il gravame proposto avverso la decisione del Tribunale di Modena che aveva rigettato la domanda di C.C. di accertamento dell’inadempimento della parte datoriale per inosservanza della L. n. 4 del 1953, artt. 1 e 3 (id est: inadempimento dell’obbligo di consegna della busta paga contestualmente alla consegna della retribuzione), con grave pregiudizio del diritto alla verifica della corrispondenza tra quanto corrisposto a titolo di retribuzione e quanto indicato nel documento contabile;

la Corte territoriale ha confermato il percorso argomentativo del primo giudice e ritenuto non ravvisabile alcuna violazione di legge, posto che, dal dicembre del 2010, l’Istituto controricorrente aveva unicamente modificato il “luogo” di consegna delle buste paga, non più a disposizione presso la centrale operativa, bensì presso l’ufficio amministrativo;

avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione C.C., articolato in due motivi;

ha resistito l’Istituto Provinciale Modenese di vigilanza Notturna Diurna e campestre s.r.l.;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 345 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla carenza di allegazioni e alla novità delle argomentazioni svolte dal ricorrente (id est: dal lavoratore) a confutazione della violazione degli obblighi del datore di lavoro di consegna delle buste paga contestualmente al versamento della retribuzione;

il motivo è inammissibile per difetto di specificità;

con riferimento ai profili in esame, la Corte di appello ha richiamato la pronuncia di primo grado che aveva giudicato il ricorso introduttivo carente di allegazioni in punto di modalità di pagamento della retribuzione e delle ragioni per cui la consegna delle buste paga nello stesso giorno (id est: nello stesso giorno di pagamento della retribuzione sia pure in un “posto diverso”: v. pag. 4 sentenza impugnata) determinasse il venir meno della contestualità imposta dalla legge; il giudice di appello, nel condividere l’iter argomentativo del Tribunale, ha poi osservato come le ulteriori argomentazioni in ordine al ritardo della consegna delle buste paga rispetto alla corresponsione della retribuzione rappresentassero circostanze nuove, dedotte per la prima volta in appello e dunque inammissibili;

a fronte di tale statuizione, parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere, almeno nelle parti salienti, gli atti processuali (ricorso introduttivo ex art. 414 c.p.c. e atto di appello) idonei a sostenere le censure (ovvero a dimostrare che la questione era stata tempestivamente prospettata in giudizio), così da rispettare gli obblighi di specificazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., n. 4. I passaggi riportati in ricorso non sono sufficienti ad incrinare il fondamento giustificativo delle argomentazioni svolte dai giudici di merito e si arrestano al rilievo di inammissibilità;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 4 del 1953 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di primo grado e della sentenza impugnata in ordine alla (ritenuta) contestualità tra pagamento della retribuzione e consegna dei relativi prospetti paga;

anche il secondo motivo è inammissibile;

in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente” di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”; al di fuori di tali ipotesi, il vizio di motivazione è circoscritto all’omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (per tutte, in motivazione, Cass. n. 23940 del 2017 con i richiami ivi indicati);

nessuna di tali evenienze è illustrata nel caso di specie; il percorso argomentativo della Corte di appello, sia pure sinteticamente riportato nello storico di lite, rende comprensibile le ragioni della decisione, sicchè potrà discutersi di condivisibilità o meno dello stesso ma non di una anomalia motivazionale, nei termini indicati;

per il resto, la deduzione di violazione della norma di legge sostanziale (id est: della L. n.. 4 del 1953, art. 1, nella parte in cui prescrive che i datori di lavoro debbono consegnare ai lavoratori dipendenti, “all’atto della corresponsione della retribuzione”, un prospetto paga con le indicazioni del periodo cui la retribuzione si riferisce e degli elementi che la compongono. L’art. 3 ribadisce che il prospetto paga deve essere consegnato al lavoratore “nel momento stesso in cui gli viene consegnata la retribuzione”) è prospettata in relazione ad un fatto storico, diverso da quello accertato in sentenza;

è utile ricordare che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (sia esso di violazione che di falsa applicazione di norme di diritto) presuppone che non vi sia questione in ordine alla vicenda concreta come ricostruita nella pronuncia oggetto di ricorso e che la discussione cada esclusivamente in ordine alla norma applicabile e/o alla qualificazione giuridica data al fatto storico;

nella specie, parte ricorrente, sub specie di violazione di legge, censura la ricostruzione della vicenda storica operata dai giudici del merito (ovvero che la consegna della busta paga sia avvenuta nello stesso giorno di pagamento della retribuzione), allegando fatti che assume non adeguatamente considerati nei gradi di merito;

in tal modo, le censure schermano vizio di motivazione, nella fattispecie, in radice, escluso ex art. 348 ter c.p.c., a tenore del quale il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. “doppia conforme”. La disposizione è applicabile ratione temporis ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dall’11 settembre 2012 (D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2); nel presente giudizio l’impugnazione risulta iscritta nel 2017;

sulla base delle argomentazioni svolte, il ricorso va dichiarato inammissibile con le spese liquidate come da dispositivo;

la parte ricorrente è tenuta, altresì, al versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.600,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

 

 

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