Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13809 del 31/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13809 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 14494-2008 proposto da:
F, 1-A 3gRos”-POSTE ITALIANE S.P.P‹ in persona del legale

9

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato
PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
2013
469

– ricorrente contro
efWJA.!_V1522255
PISTOI ANTONELLA, BARBAGALLOV ALESSANDRO, DI VINCENZO

ANGELO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE
DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 31/05/2013

LUBERTO ENRICO, che li rappresenta e difende giusta
delega in atti;

controricorrenti

avverso la sentenza n. 639/2007 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 25/05/2007 r.g.n. 763/05;

udienza del 07/02/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato ANDREA CONTE per delega LUBERTO
ENRICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l’inammissibilità per BARBAGALLO, rigetto per gli
altri.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

14494.08

Udienza 7 febbraio 2013

Pres. A. Lamorgese
Rel. V. Di Cerbo

SENTENZA

Rilevato che
1. La Corte d’appello di Firenze, per quanto ancora rileva in questo giudizio di legittimità,
ha confermato la sentenza di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del termine
apposto ai contratti di lavoro stipulati da Poste Italiane s.p.a. con Angelo Di Vincenzo
(con decorrenza 29 marzo 2000), Antonella Pistoi (con decorrenza 27 novembre 1999)
e Alessandro Barbagallo (con decorrenza 7 dicembre 1999).
2. Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da
memoria; i lavoratori hanno resistito con controricorso pure illustrato da memoria.
3. Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.
4. In corso di causa è stato depositato un verbale di conciliazione in sede sindacale
concernente la controversia fra Poste Italiane s.p.a. e il controricorrente Alessandro
Barbagallo.
5. Dal suddetto verbale di conciliazione, debitamente sottoscritto dal lavoratore
interessato, oltre che dal rappresentante delle Poste Italiane s.p.a., risulta che le parti
hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi
atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e
dichiarando che — in caso di fasi giudiziali ancora aperte — le stesse saranno definite in
coerenza con il presente verbale.
6. Ad avviso del Collegio il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare
la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente
sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il processo; alla cessazione della materia
del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso nei
confronti del Barbagallo in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare,
deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma
anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della
domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29
novembre 2006 n. 25278).
7. in definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile
sopravvenuta carenza di interesse.

in parte qua per

La Corte

8. Tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, che ha
anche regolato le spese processuali dei giudizi di merito, si ritiene conforme a giustizia
compensare integralmente tra le stesse le spese del giudizio di cassazione.

10. La società ricorrente censura tale statuizione col primo e secondo motivo di ricorso che,
in quanto logicamente connessi, devono essere esaminati congiuntamente. Tali motivi,
con i quali si denuncia, in particolare, violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della
legge n. 56 del 1987 e degli artt. 1362 e segg. cod. civ., nonché vizio di motivazione,
sono infondati e devono essere pertanto rigettati.
11 Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge
n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori
ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione
della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a
tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti
temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245,
Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta
di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le
altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove
però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive
(anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n.
18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare,
quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in
materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione
giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli
assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30
aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore

9. Quanto alla statuizione concernente l’illegittimità del termine apposto ai contratti
stipulati con Angelo Di Vincenzo e Antonella Pistoi, deve osservarsi che la Corte di
merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimità del termine,
tra l’altro, alla considerazione che tali contratti sono stati stipulati, per esigenze
eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato
dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass.
1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n.
21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). La sentenza impugnata ha
fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
12. Con il quarto motivo, che ragioni di ordine logico impongono di esaminare prima del
terzo, la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art. 1372 cod. civ.
nonché vizio di motivazione) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato
l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso. La censura è infondata;
secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 17
dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto
dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per
la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che
sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine, nonché alla stregua delle modalità di tale conclusione, del
comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e
certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali
elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in
sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la
Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del
contratto non fosse sufficiente, in mancanza di ulteriori significativi elementi di
valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto
per mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto
resiste alle censure mosse in ricorso.
13. Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione di
nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso
di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge
4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.
14. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio
2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; ne consegue che,
con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad
essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano
specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che
essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il ricorso sia stato
proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in
vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima del 4 luglio 2009 (data di entrata in

1,

vigore della legge n. 69 del 2009), tali motivi devono essere altresì corredati, a pena di
inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di diritto, ai
sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di
assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche
dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale
produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze.
15. Nella fattispecie in esame la sentenza impugnata, con riferimento alle conseguenze
economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, ha
confermato la decisione di primo grado che aveva tenuto conto, ai fini risarcitori, della
data in cui i lavoratori interessati avevano offerto la loro disponibilità a riprendere il
lavoro. Sotto altro profilo ha rigettato l’eccezione di aliunde perceptum rilevando che la
stessa non era stata formulata in modo concreto e circostanziato. Tale statuizione è
stata censurata con il terzo motivo di ricorso, indicato nella rubrica come omessa
motivazione circa un fatto controverso e decisivo; con tale motivo, attinente
all’argomento del mancato accoglimento dell’eccezione di aliunde perceptum, la
società ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe errato nel rigettare la
richiesta ex art. 210 e 421 cod. proc. civ. concernente l’ordine di esibizione della
documentazione idonea a provare la percezione, da parte del lavoratore, di eventuali
corrispettivi per attività prestate alle dipendenze di terzi. Sotto altro profilo la
ricorrente censura la sentenza per non avere tenuto conto che dai principi elaborati in
materia dalla giurisprudenza di questa Corte (cita al riguardo Cass. 17 ottobre 2001 n.
12697) discenderebbe che l’aliunde perceptum non può che essere genericamente
dedotto dall’istante. Il motivo così riassunto si conclude con la formulazione del
seguente quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ.: dica la Corte se, nel caso di oggettiva

difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la
prova a supporto delle proprie domande ed eccezioni — e segnatamente per la prova
dell’aliunde perceptum — il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor
rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque
raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole (con
apposita motivazione) solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino
invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto.
16. Il suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente non pertinente rispetto
alla fattispecie, in quanto omette di enucleare il momento di conflitto, rispetto alla
regola ritenuta applicabile al caso di specie, del concreto accertamento operato dai
giudici di merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in
contrasto con i principi enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass.
S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il principio di diritto, richiesto a pena di
inammissibilità del relativo motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve
essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere
inesistente un quesito generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del
relativo motivo, come nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1
settembre 2011 n. 17674); lo stesso vale per il vizio di motivazione rispetto al quale
manca il “momento di sintesi” che la giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare,
Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556) ha individuato come una esposizione chiara e sintetica
del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o

:

contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende
inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

17.

Il ricorso va pertanto respinto.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Barbagallo; spese compensate;
rigetta il ricorso nei confronti degli altri; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3500
(tremilacinquecento) per compensi professionali e oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 febbraio 2013.

18. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del
presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura, liquidata in
dispositivo, che tiene conto delle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140
(entrato in vigore il 23 agosto 2012) emanato ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 1 del 2012
convertito in legge n. 27 del 2012.

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