Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13806 del 31/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 31/05/2017, (ud. 31/01/2017, dep.31/05/2017),  n. 13806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19177-2015 proposto da:

R.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO PETROCELLI,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA,

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI, ENZO MORRICO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5208/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/06/2015 R.G.N. 95/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCO PETROCELLI;

udito l’Avvocato FRANCO RAIMONDO BOCCIA.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Roma in data 13.11.2013 ex L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, R.G. impugnava il licenziamento intimatole da TELECOM ITALIA spa in data 8.4.2013, in esito alla procedura di mobilità avviata con comunicazione del 29.3.2013, chiedendo accertarsene la illegittimità per violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, e dei criteri di scelta nonchè la natura discriminatoria.

Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7.4.2014, rigettava il ricorso nonchè la successiva opposizione (sentenza del 15.12.2014 nr. 11983).

La Corte d’appello di Roma, con sentenza dell’11-17.6.2015 (nr.95/2015), rigettava il reclamo della lavoratrice.

La Corte territoriale premetteva che le eccedenze erano state già previste nell’accordo sindacale del 27.3.2013, concordandosi in quella sede i criteri di individuazione del personale in esubero.

Successivamente nella comunicazione dell’8 aprile 2013, di avvio della procedura di mobilità, la società aveva individuato gli esuberi in 500 unità, escludendo dalla procedura i lavoratori assegnati alla funzione “Directory assistance” nell’ambito della divisione “Caring Service” già interessati da contratti di solidarietà di tipo difensivo ed indicando per ciascuna provincia il numero degli esuberi, i settori ed i profili professionali interessati.

Per la provincia di Roma nel settore “caring service” in cui la reclamante operava era previsto un numero di 11 esuberi (6 con profilo di addetti e 5 di esperti).

Con l’accordo di chiusura le parti ratificavano il numero e la collocazione aziendale degli esuberi e riproducevano i criteri di scelta già indicati nell’accordo del 27.3.2013 ovvero la maturazione dei requisiti per la pensione di anzianità o vecchiaia nel regime vigente all’1.12.2011 ed il possesso di una anzianità contributiva di almeno 37 anni (nonchè per alcuni lavoratori con mansioni specificamente determinate, la maturazione dei requisiti della pensione anticipata o di vecchiaia nel corso del periodo di mobilità).

L’accordo doveva interpretarsi nel senso che i suddetti criteri di scelta andavano applicati ai soli lavoratori che prestavano servizio nei settori in cui vi erano eccedenze e rivestivano i profili professionali in esubero mentre i lavoratori appartenenti ad altri settori e profili erano stati a priori esclusi dalla comparazione.

Ciò poteva comportare che non venisse raggiunto il numero di esuberi individuato in ciascuna provincia, come era confermato sia dal fatto che le parti individuavano il numero di 500 unità come soglia massima degli esuberi sia dal fatto che non era previsto un criterio subordinato per la collocazione in mobilità di ulteriori lavoratori ove con il criterio di scelta concordato non si raggiungesse il numero di esuberi previsto per ciascuna provincia. Pertanto non aveva rilievo il fatto che il numero dei lavoratori poi collocati in mobilità fosse sensibilmente inferiore alle 500 unità.

L’accordo non prevedeva due criteri di scelta concorrenti ma, come risultava dal suo tenore letterale, un unico criterio basato su due requisiti: la maturazione del diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia al 31.12.2011 ed il raggiungimento della anzianità contributiva di 37 anni.

Si trattava di un criterio autoapplicativo, che riguardava tutti i lavoratori in possesso del requisito e rendeva superflua ogni comparazione con i dipendenti che ne fossero privi; la comunicazione finale era pertanto conforme alle prescrizioni della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9.

Il motivo con cui la reclamante deduceva la violazione del criterio di scelta, in quanto non tutti i lavoratori in possesso dei requisiti indicati nell’accordo erano stati esodati, era infondato; era onere della lavoratrice indicare rispetto a quali lavoratori il criterio fosse stato disatteso. Per le uniche posizioni indicate specificamente – signori B., S. e M. – non vi erano violazioni.

Quanto al dipendente M.R., gli accordi del 27.3.2013 e del 5.4.2013 prevedevano la esclusione dalla collocazione in mobilità dei lavoratori destinatari, come il M., di contratti di solidarietà; in ogni caso dalla eventuale inclusione del M. nella procedura di mobilità non sarebbe derivata la esclusione della Rossi, comunque appartenente alla platea individuata negli accordi sindacali.

Legittimamente era stato escluso dai recessi il lavoratore S.R., che non aveva raggiunto il requisito della anzianità contributiva di 37 anni alla data del 27.3.2013; non risultava l’accredito di 15 mesi di contribuzione figurativa, per il quale occorreva specifica domanda del lavoratore.

Accertato il possesso dei requisiti di pensionabilità ed anzianità contributiva previsti negli accordi sindacali, il licenziamento della reclamante era legittimo, restando irrilevante un eventuale intento ritorsivo o discriminatorio, neppure provato.

Nè poteva giungersi a tale conclusione sulla base del fatto che la stessa TELECOM aveva operato la ricongiunzione dei contributi relativi al un precedente periodo di lavoro della Rossi, che aveva per tal motivo raggiunto il requisito dei 37 anni di contribuzione. La reclamante non indicava come e quando fosse stata operata tale ricongiunzione, dall’accordo non si evinceva che si dovesse tenere conto solo della anzianità di iscrizione nel “fondo telefonico” e, comunque, dalle buste paga risultava che la assunzione della R. in Telecom risaliva al luglio 1976 e non al marzo 1977, dovendosi tenere conto di un precedente periodo di lavoro a termine.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza R.G., articolato in sei motivi, illustrati con memoria.

Ha resistito con controricorso TELECOM ITALIA spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunziato- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1.

Ha dedotto che la norma dell’art. 5, non consentiva di limitare la collocazione in mobilità ad una parte dell’organico, salvo casi particolari.

Era onere del datore di lavoro provare le situazioni oggettive che circoscrivevano le esigenze di ristrutturazione ad alcuni reparti e la infungibilità dei lavoratori ivi addetti con i dipendenti adibiti agli altri reparti.

La esclusione dei lavoratori che fruivano dei contratti di solidarietà era incongrua, trattandosi di uno strumento temporaneo e non incompatibile con la riduzione dell’organico.

Il criterio di scelta del possesso del requisito pensionistico, poi, era avulso dalle esigenze tecnico produttive ed era applicabile a tutto il personale in organico; la individuazione degli esuberi nell’accordo del 28.3.2013 era, infatti, avvenuta con criterio generalizzato.

Il motivo è infondato.

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass. Sez. Lav., sentenza n. 17249 del 23/08/2016,nr. 19457 del 30/09/2015; n. 19576 del 26/8/2013, n. 12544 del 09/06/2011), qui condivisa, ove i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità siano individuati attraverso accordi sindacali i limiti della autonomia delle parti collettive consistono unicamente nella obiettività, razionalità e nel carattere non discriminatorio del parametro concordato.

Nella fattispecie di causa il criterio di scelta negoziato è conforme ai canoni indicati dalla giurisprudenza di legittimità, perchè oggettivo e verificabile; nè si ravvisano motivi di irragionevolezza o discriminatorietà, essendosi utilizzati i due criteri delle esigenze tecnico produttive, a monte, e, nell’ambito dei settori così individuati, della pensionabilità, criterio quest’ultimo già positivamente scrutinato in numerosi precedenti di legittimità (v. infra).

Si è registrato, piuttosto, nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di interpretazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, un orientamento di segno opposto a quello patrocinato dalla parte ricorrente In alcune pronunzie si è affermato, infatti, che gli accordi sindacali conclusi ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 5, devono sempre individuare in via preliminare i settori aziendali ed i profili professionali interessati dagli esuberi (in coerenza con le ragioni della riduzione del personale) e che solo successivamente, in relazione ai settori e profili così individuati, può essere concordato il criterio di selezione del personale della maturazione del diritto a pensione, esattamente come avvenuto nella fattispecie di causa (in tal senso: Cass, sez. lav., sentenza n. 22958/2013; n. 15868/2012; n. 21300/2006 ed ad altre precedenti decisioni; contra Cass. sez. L nr. 22543/2016, nr. 19457/2015, n. 14170/2014; n. 12196/2011; 4667/2013 secondo cui è legittima la individuazione del criterio pensionistico come criterio di scelta esclusivo).

Quanto alla individuazione degli specifici reparti e settori interessati ovvero esclusi – dagli esuberi è decisiva la condivisione della esigenza tecnico – organizzativa da parte del sindacato.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2 e art. 1363 c.c..

Ha censurato la interpretazione dell’accordo del 5.4.2013 operata in sentenza; ha dedotto che la esclusione dai licenziamenti del settore di “Directory Assistance” nell’ambito della divisione “Caring Service” non era stata prevista nè dall’accordo del 27.3.2013 nè dall’accordo di chiusura del 5.4.2013 ma era indicata soltanto nella comunicazione di avvio della procedura, del 29 marzo 2013.

Il tenore letterale dell’accordo del 5.4.2013 non escludeva dalla mobilità i lavoratori interessati dalla solidarietà.

Il motivo è inammissibile.

Il giudice dell’appello ha interpretato l’accordo del 5.4.2013, di conclusione della procedura di mobilità, nel senso che esso delimitava a priori l’ambito dei lavoratori eccedenti ed applicava, poi, i criteri di scelta concordati ai soli dipendenti che prestavano servizio nei settori e con i profili per i quali erano state rilevate eccedenze.

Tale interpretazione è stata censurata esclusivamente sul punto della affermata esclusione dagli esuberi del settore cd. “Directory Assistance”, che faceva parte della divisione cd. ” Caring Service” alla quale la ricorrente era addetta, interessata, invece, dalla solidarietà.

In sentenza la questione è stata trattata, tuttavia, con esclusivo e

specifico riferimento alla posizione del dipendente M.R., per il quale la Corte territoriale, interpretando l’accordo sulla mobilità, ha affermato la legittimità del trattenimento in servizio.

La suddetta statuizione è sorretta da una doppia ratio decidendi; il giudice dell’appello ha affermato, infatti – con motivazione non investita dagli attuali motivi di ricorso – che anche a voler ritenere, per mera ipotesi- che il M. dovesse essere incluso nella procedura di mobilità, da tale verifica non sarebbe derivato alcun effetto utile per la appellante R., comunque legittimamente esodata, perchè assegnata ad una divisione interessata dalla riduzione del personale ed in possesso dei requisiti pensionistici e di anzianità assicurativa indicati nell’accordo sindacale (pagina 8 della sentenza, in relazione al quarto motivo d’appello).

La mancata impugnazione della predetta ratio decidendi, autonomamente idonea a sorreggere la decisione, rende inammissibile la censura per difetto di interesse della parte ricorrente, in quanto dall’eventuale accoglimento del motivo non deriverebbe comunque la cassazione della sentenza.

3. Con il terzo motivo la ricorrente ha denunziato- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione del L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1.

La censura ha ad oggetto la statuizione con cui la Corte di merito escludeva la ricorrenza di due criteri di scelta alternativi, affermando che il criterio concordato fosse unico e basato su due requisiti concorrenti.

La ricorrente ha dedotto che i due parametri del possesso del requisito pensionistico e della anzianità contributiva di almeno 37 anni dovevano essere applicati in concorso tra loro mentre richiedendo il possesso congiunto di entrambi i requisiti si vanificava la natura oggettiva della scelta.

Il motivo è inammissibile.

Esso, infatti, non espone – ex art. 366 c.p.c., n. 4, per quale ragione la scelta dei dipendenti da collocare in mobilità con i criteri della pensionabilità e della anzianità assicurativa in modo congiunto- invece che in via alternativa – violerebbe le previsioni della L. n. 223 del 1991, art. 5, posto, anzi, che la applicazione congiunta dei parametri appare essere oggettiva ed automatica.

4. Con il quarto motivo viene denunziata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e art. 5.

La ricorrente ha dedotto che la comunicazione di chiusura della procedura avrebbe dovuto indicare le ragioni che avevano portato ad escludere dalla mobilità i lavoratori con caratteristiche e requisiti eguali a quelli posseduti dai dipendenti esodati.

Nella fattispecie di causa a fronte di un numero di 1.369 dipendenti addetti al “Caring Service” nella provincia di Roma e di 11 esuberi del suo profilo ella era stata l’unica dipendente licenziata, senza alcuna indicazione delle ragioni della sua individuazione.

Il motivo è inammissibile.

Esso ha infatti come implicito presupposto la circostanza che non tutti i dipendenti in possesso dei requisiti pensionistici e di anzianità contributiva previsti nell’accordo sulla mobilità fossero stati esodati; soltanto in tale eventualità la comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, avrebbe dovuto indicare le modalità con le quali, nell’ambito del criterio di scelta, fossero stati ulteriormente selezionati i dipendenti trattenuti in servizio.

La sentenza ha tuttavia accertato che il criterio individuato dall’accordo era stato applicato in tutti i settori coinvolti dalla procedura e per tutti i lavoratori ed altresì che le uniche posizioni individuate dalla lavoratrice non erano in possesso dei requisiti previsti dall’accordo sindacale.

La deduzione della violazione di legge viene dunque impropriamente prospettata attraverso la contestazione della valutazione delle risultanze istruttorie laddove il vizio di violazione di legge va apprezzato unicamente rispetto alla ricostruzione del fatto operata dal giudice del merito.

5. Con il quinto motivo la ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5.

La censura afferisce alla statuizione relativa alla legittimità della esclusione dalla mobilità del dipendente S.R..

La parte ricorrente ha esposto che in sede di esame testimoniale (come dal verbale di udienza prodotto) il S. aveva dichiarato di avere 15 mesi di copertura contributiva presso l’INPS per il servizio militare; pertanto non aveva fondamento la affermazione in sentenza della mancanza di prova dell’accredito della contribuzione figurativa, che avrebbe determinato per il S. il possesso del requisito della anzianità contributiva di 37 anni.

Il criterio della anzianità contributiva avrebbe dovuto essere applicato in modo oggettivo e, dunque indipendentemente dalla anzianità risultante dagli archivi aziendali e dalla scelta del lavoratore di chiedere o meno l’accredito dei contributi del servizio militare ed il ricongiungimento.

Il motivo è inammissibile.

Esso, ancorchè rubricato in termini di errore di diritto, investe l’accertamento in fatto operato in sentenza del mancato possesso da parte del dipendente S.R. dei 37 anni di anzianità contributiva previsti quale criterio per la collocazione in mobilità.

Tale giudizio di fatto è sindacabile in questa sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione.

Nella fattispecie di causa sussiste tuttavia la preclusione alla deducibilità del vizio di motivazione di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, applicabile ratione temporis (il reclamo è stato depositato nell’anno 2015). Come risulta dalla sentenza impugnata, tanto il giudice del primo grado che il giudice dell’appello hanno escluso in relazione alla posizione del S. il possesso dei requisiti previsti nell’accordo sindacale per la collocazione in mobilità; la conformità del giudizio di fatto nei due gradi di merito rende inammissibile la deduzione in questa sede del vizio della motivazione.

6. Con il sesto motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione dell’art. 41 c.p., L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 2, L. n. 300 del 1070, art. 18, comma 1 e art. 15, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28.

Il motivo investe la statuizione della Corte di merito secondo cui il carattere ritorsivo e discriminatorio del licenziamento di un lavoratore sindacalmente attivo ne determinava la nullità soltanto ove risultava che l’intento ritorsivo fosse stato causa esclusiva e determinante del recesso.

La ricorrente ha dedotto che il D.Lgs. n. 150 del 2011 aveva rafforzato le tutele avverso la discriminazione, distinguendo il regime delle discriminazioni rispetto a quello del motivo illecito; la discriminazione sindacale costituiva causa oggettiva di nullità del licenziamento ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 15.

Il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28, stabiliva l’inversione dell’onere probatorio laddove il lavoratore fornisse elementi di fatto dai quali risultava probabile la esistenza della discriminazione: ella aveva allegato le circostanze, non contestate, di avere svolto per anni una intensa attività sindacale e di essere stata l’unica licenziata degli 11 esuberi del suo livello nonchè, probabilmente, l’unica tra i 1369 dipendenti addetti al “Caring Service”.

La censura è inammissibile.

Essa coglie soltanto una delle due concorrenti rationes decidendi della sentenza, consistenti non soltanto nel difetto di esclusività del motivo discriminatorio ma altresì nel difetto di prova della discriminazione.

Si legge infatti in sentenza (a pagina 9, in fine) che nella fattispecie di causa non erano stati forniti elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si potesse desumere la natura discriminatoria del licenziamento.

Tale statuizione è autonomamente decisiva.

Le censure mosse sul punto non possono trovare ingresso in questa sede.

Trattasi di giudizio di fatto, censurabile in questa sede unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione; la censura, pur se riqualificata nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, sarebbe comunque inammissibile a tenore dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, per la concordanza del giudizio di fatto compiuto sul punto nei due gradi di merito.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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