Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13805 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 20/05/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 20/05/2021), n.13805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet T – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25810/2013 R.G. proposto da:

D.E., rappresentato e difeso dall’avv.to Vincenzo Cinque e

dall’avv.to Giuseppe Russo Corvace, elett. dom. presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via della Scrofa 57;

– ricorrente –

CONTRO

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli

Venezia Giulia, n. 46/11/13, depositata il 27 febbraio 2013, non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 novembre

2020 dal Consigliere Adet Toni Novik.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. Con sentenza n. 46/11/13 del 27 febbraio 2013, depositata il successivo 27 marzo, la Commissione Tributaria Regionale del Friuli-Venezia Giulia (CTR) ha respinto l’appello proposto da D.E., quale gestore dell’impianto petrolifero sito in (OMISSIS), (di seguito, il contribuente), avverso la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Trieste (CTP) che ne aveva a sua volta respinto il ricorso contro l’avviso di pagamento emesso dalla Agenzia delle dogane e dei monopoli, in solido con altri debitori, per l’utilizzo illecito di contingente agevolato di carburante (lt. 42.696) destinato alla provincia di Trieste.

2. La sentenza impugnata, riportate le censure sollevate in primo grado e reiterate anche nel giudizio di appello, ha rilevato che:

– non era da accogliere la nuova censura dell’appellante relativamente al difetto di motivazione dell’atto impugnato, riportante in estratto l’informativa di p.g., perchè priva dei richiamati allegati, in quanto gli elementi, asseritamente mancanti, erano elencati nel PVC della Guardia di Finanza, ed erano stati puntualmente riportati nella sentenza penale contenente l’elencazione delle tessere illecitamente utilizzate e dei litri di gasolio ad esse imputate;

– mancava la copia della sentenza della CTP di Trieste N. 109/02/09, che pur si dichiarava di produrre con il ricorso, essendosi rinvenuto soltanto una “comunicazione del dispositivo della sentenza”, cosicchè non erano evincibili elementi a favore del contribuente;

– nulla era da aggiungere alla esaustiva motivazione del giudice di primo grado.

3. Propone ricorso per cassazione il contribuente sulla base di quattro motivi, cui resiste l’agenzia delle dogane e dei monopoli con controricorso.

Diritto

RILEVATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la “illegittimità della sentenza impugnata con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, sotto il profilo della mera reiterazione di un precedente e speculare avviso di pagamento già annullato dalla Agenzia delle Dogane con consequenziale deliberazione di estinzione del giudizio dichiarata con sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Trieste”. Si afferma che, pur non essendo stata allegata in primo grado per esteso la sentenza che dichiarava la cessazione della materia del contendere (una volta indicata come n. 108/02/2012, altra volta come avente n. 108/02/2009), dalla motivazione dell’atto di autotutela era possibile individuare nella omessa/insufficiente motivazione le ragioni per cui l’agenzia aveva annullato il primo avviso di pagamento; la declaratoria di estinzione del giudizio precludeva, quindi, la riemissione del medesimo atto fondato sui medesimi presupposti di fatto e di diritto.

La censura è inammissibile. E’ lo stesso ricorrente a riconoscere che l’annullamento in autotutela conseguì ad omessa/insufficiente motivazione, in particolare, come si legge nel controricorso, alla omessa allegazione dei documenti citati nell’atto impositivo. Ora, la Corte di legittimità ha già affermato il principio secondo cui “La pronuncia che dichiara la cessazione della materia del contendere ha carattere meramente processuale ed è inidonea a costituire giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere in giudizio. (Sez. 5 -, Sentenza n. 1695 del 24/01/2018, Rv. 646920 – 01)”; e più di recente “La pronuncia di “cessazione della materia del contendere” costituisce una fattispecie di estinzione del processo, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione dello stesso tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale; pertanto, alla emanazione di una sentenza di cessazione della materia del contendere, consegue, per un verso, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata e, per l’altro, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4167 del 19/02/2020, Rv. 657307 – 01)”: infatti, l’esercizio del potere di autotutela non implica la consumazione del potere impositivo, sicchè, rimosso con effetti ex tunc l’atto di accertamento illegittimo o infondato, l’amministrazione finanziaria è tenuta all’esercizio della potestà impositiva, ove ne sussistano i presupposti, con un nuovo atto che il contribuente potrà impugnare con pienezza di tutela.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la “illegittimità della sentenza impugnata con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1 (c.d. Statuto del contribuente) e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, sotto il profilo della omessa motivazione dell’avviso di pagamento impugnato”. Si ritiene che l’avviso di pagamento non riportava alcuna documentazione utile a comprendere i presupposti di fatto e di diritto fondanti la pretesa impositiva, quanto alle ragioni e alle modalità di calcolo che avevano portato al recupero a tassazione degli importi indicati, a tanto non potendo supplire il richiamo al verbale di accertamento redatto dalla Guardia di Finanza, mai consegnato al contribuente; osserva il contribuente che “la circostanza che venga prodotto nell’avviso di pagamento un estratto del suddetto verbale senza i richiamati allegati non potrà certo superare l’eccepita carente motivazione. Nel caso che occupa l’ente impositore ha omesso di esporre in motivazione le proprie eventuali deduzioni, nonchè le ragioni che sottendono al comportamento ed al perfezionamento del provvedimento impugnato e, comunque, senza render edotto di un tanto, ed in alcun modo, il ricorrente”.

La censura è inammissibile in quanto sotto l’aspetto della violazione di legge si introduce surrettiziamente una doglianza sulla sufficienza della motivazione; la CTR, con giudizio di fatto, ha rilevato che il contribuente era a conoscenza delle violazioni contestate perchè elencate nel PVC della Guardia di Finanza e riportate nella sentenza penale di patteggiamento; è destituito di fondamento l’assunto secondo il quale, quando aderisce alle ricostruzioni, impostazioni, argomentazioni della GdF, l’ufficio deve poi necessariamente motivare le ragioni di tale adesione. L’adesione alle valutazioni dell’organo verificatore non impone che, in una sorta di circolo vizioso, siano esposti anche i motivi per i quali si siano condivise le dette valutazioni, posto che esse, se valide, sono idonee di per sè a sostenere la motivazione, senza che ne sia necessaria un’altra aggiuntiva che nulla di più potrebbe apportare.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la “illegittimità della sentenza impugnata con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 19, sotto il profilo della insussistenza dell’accertamento dei fatti – reato contestati al sig. D.E., nonchè per l’erronea ed illegittima attribuzione di valenza di titolo utile per operare il recupero a tassazione alla sentenza n. 161/08, pronunciata, ai sensi e per gli effetti di cui all’artt. 444 e ss. c.p.p., dal Tribunale di Trieste in data 04 febbraio 2008”. Si argomenta che quello che la CTR denomina “verbale di accertamento” in realtà era solo una informativa della GdF diretta all’autorità giudiziaria nell’ambito del procedimento penale e si esclude che la sentenza di patteggiamento possa avere valenza di sentenza di condanna al fine dell’accertamento dei fatti.

Il motivo è manifestamente infondato e non congruente rispetto al contenuto della decisione impugnata che ha fatto applicazione del consolidato principio secondo cui una tale pronuncia costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice, il quale, ove intenda disconoscerne l’efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione: detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell’accertamento (tra altre, Ordinanza n. 13034 del 24/05/2017; Cass. nn. 2724 del 2001, 19505 del 2003, 24587 del 2010; in altra ottica la giurisprudenza penale ha rilevato che la sentenza di patteggiamento è equiparata una sentenza di condanna, quanto al “fatto” ed alla sua attribuibilità. (Sez. 5, n. 12344 del 05/12/2017 – dep. 16/03/2018, Nicho Casas, Rv. 27266501); correttamente quindi la CTR ha posto a base del proprio convincimento gli esiti delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, confluiti nell’informativa all’autorità giudiziaria, costituente atto fidefaciente e assimilabile ad un processo verbale di constatazione emesso “a seguito delle indagini di p.g. poste in essere successivamente alle operazioni di perquisizione locale/personale e sequestro” (pag. 12 del ricorso).

4. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la “illegittimità della sentenza impugnata con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa e/o insufficiente motivazione sotto il profilo della eccepita impossibilità di ricostruire le violazioni contestate al signor D.E. nonchè all’omesso riconoscimento dell’insussistenza della prova in punto alla insussistenza delle violazioni”, sul rilievo della mancata esplicita esposizione delle ragioni che supportavano il rigetto del ricorso essendosi la CTR limitatasi a richiamare il contenuto della sentenza di primo grado.

La censura è inammissibile. Le Sezioni unite di questa Corte hanno difatti già avuto occasione di chiarire (per tutte, Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053) che in relazione a sentenze, come quella in esame, soggette al regime delineato dal testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. E, nel caso in questione, in sentenza si espone il nucleo fondante del ragionamento, là dove la CTR, dopo aver richiamato nella esposizione in fatto le argomentazioni della CTP, ha ritenuto le tesi difensive dell’appellante ripropositive delle doglianze già disattese dal primo giudice, al contenuto della cui decisione si è conformato.

5. Il ricorso va respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dell’agenzia che liquida in Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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