Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1380 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. I, 22/01/2020, (ud. 25/10/2019, dep. 22/01/2020), n.1380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23929/2018 proposto da:

C.F., domiciliato in Roma, via Circonvallazione Clodia n.

88, presso lo studio dell’avv. Giovanni Arilli, rappresentato e

difeso giusta procura in calce al ricorso dall’avv. Carla Pennetta;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministero pro tempore;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 464 del 27/6/2018 del Tribunale di Perugia;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25.10.2019 dal Consigliere Dott.ssa PAOLA GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Perugia rigettava proposta da C.F., cittadino maliano, volta ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.; in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il Tribunale riferiva che il ricorrente innanzi alla Commissione territoriale aveva raccontato di essere nato ha vissuto a (OMISSIS) e di essersi trasferito da piccolo a (OMISSIS), per studiare il Corano; di avere frequentato la scuola coranica per 10 anni; di essere tornato a (OMISSIS) nell'(OMISSIS) per andare a trovare la propria famiglia composta dai genitori e tre fratelli; di essere stato rapito dai ribelli nella strada tra (OMISSIS) e (OMISSIS) quando stava per tornare in (OMISSIS); che i ribelli volevano che lui e le altre persone sequestrate combattessero per loro; di essere stato con i ribelli in un villaggio chiamato G. per circa tre mesi e di essere poi stato portato a Talanta, località al confine con l’Algeria dove lo avevano messo a fare la guida ai trafficanti di persone tra il Mali e Algeria; di essere stato fermato dalla polizia algerina che dopo aver fatto i controlli lo aveva rilasciato; di avere lavorato in Algeria per un libico e di essersi poi spostato in Libia e dopo la morte del capo di essersi quindi imbarcato per l’Italia.

3. Il Tribunale argomentava che il racconto, sebbene obiettivamente generico e poco circostanziato, era completo con riguardo alla successione temporale degli eventi che avevano preceduto l’allontanamento dal paese. Cionondimeno il richiedente non aveva dedotto motivi qualificanti a sostegno del timore di rientrare nel proprio paese, ma si era limitato a riferire che se tornasse in Mali la sua vita sarebbe in pericolo perchè adesso (OMISSIS) “non è più tranquilla”. Difettavano quindi deduzioni in ordine ad atti di persecuzione per uno dei motivi (razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale od opinione politica) considerati dalla normativa per il riconoscimento dello status di rifugiato.

4. Il racconto risultava inoltre generico, in quanto il ricorrente aveva riferito di non sapere chi fossero i ribelli che lo avevano sequestrato, nè le ragioni per cui lo volevano arruolare, nè per cosa volevano che combattesse: il difetto di deduzioni circa la persistente volontà di tali non meglio identificati ribelli di cercarlo per qualche motivo non consentiva di ritenere integrato alcun rischio di persecuzione. In merito alla protezione sussidiaria, difettava la prospettazione dei danni gravi nel senso considerato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Quanto al pericolo di cui al punto c) dell’art. 14, riferiva che le COI attestavano l’esistenza nelle regioni settentrionali e centrali del Mali di atti di terrorismo, criminalità e violenza. Tuttavia il ricorrente non aveva dedotto elementi che consentissero di ritenere esistente un collegamento tra la situazione socio politica e religiosa e normativa e la sua specifica posizione, tanto più che egli da quando aveva 7 anni viveva e studiava il Corano in Guinea e non aveva dedotto ragioni per ritenere che avesse motivo di tornare in Mali: in altri termini, riteneva che mancasse il nesso di causalità tra la situazione specifica in cui versava il Mali e la specifica vicenda di vita vissuta dal ricorrente.

5. Quanto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilevava che non erano stati dedotti ulteriori motivi rispetto a quelli posti a sostegno della richiesta di protezione sussidiaria, nè una situazione di specifica vulnerabilità, nè alcunchè era stato argomentato in merito all’integrazione conseguita nel nostro paese.

6. Per la Cassazione del decreto C.F. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui il Ministero dell’Interno non ha opposto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Come primo motivo il richiedente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, della direttiva 2013/32 Ue del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26/6/2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale e in particolare degli artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Lamenta che la domanda di protezione sia stata respinta per mancanza di allegazioni e prove in merito a quanto dichiarato, ciò che avrebbe dovuto indurre il giudicante ad una nuova audizione dell’interessato proprio al fine di colmare le genericità e lacunosità evidenziate in sede amministrativa.

8. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, del protocollo relativo allo status dei rifugiati adottato a New York il 31 gennaio 1967 e della direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004. Lamenta che il Tribunale non abbia utilizzato i mezzi a disposizione per raccogliere le prove necessarie a sostegno della domanda nè svolto un ruolo attivo di verifica ed approfondimento dei presupposti fattuali.

9. I primi due motivi si prestano ad una valutazione di inammissibilità. Premesso che non si comprende in che cosa consista la violazione della normativa sovranazionale richiamata, i cui principi sono stati recepiti nella normativa nazionale applicata dal giudice di merito, i motivi non si confrontano con la motivazione impugnata, di cui non colgono l’effettiva ratio decidendi che consiste non solo nella ritenuta non credibilità del racconto del richiedente ma, anche e comunque, nella irrilevanza dei fatti narrati, non integranti gli estremi per il riconoscimento di nessuna forma di protezione.

10. Nella indicata premessa, resta assorbita ogni questione sollevata in ricorso sull’onere di collaborazione dell’autorità giudiziaria in punto di prova e sul mancato rinnovo dell’audizione, peraltro rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito (Cass. n. 14600 del 29/05/2019, Cass. n. 3003 del 07/02/2018).

11. Neppure del resto i motivi prospettano quali sarebbero le circostanze fattuali ritenute decisive il cui esame sarebbe stato pretermesso dal giudice di merito, sicchè non si comprende quale sia l’interesse sotteso alla doglianza relativa al mancato esercizio del dovere di cooperazione istruttoria.

12. Come terzo motivo, in merito al diniego della protezione umanitaria, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e come quarto motivo l’omesso esame dei fatti decisivi. Lamenta che il Tribunale non abbia compiuto una verifica in ordine alle effettive condizioni di vulnerabilità dell’istante.

13. I motivi sono inammissibili in quanto non colgono la ratio decidendi della decisione impugnata, avendo il Tribunale ritenuto che, anche alla luce di quanto verificato in relazione alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, non fosse stato dimostrato il necessario stato di vulnerabilità, per mancata indicazione di elementi individualizzanti di rilievo, neppure essendo descritto lo stato di integrazione in Italia.

14. Le censure sollevate in ricorso sono in proposito del tutto generiche e volte ad un’inammissibile rivalutazione nel merito della decisione.

15. Come quinto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 10 Cost. e lamenta che il Tribunale non abbia valutato la grave esposizione al rischio di violazione di diritti umani nel Mali.

16. Il motivo è infondato. Con riguardo al diritto di asilo, costituzionalmente garantito, questa Corte ha già precisato che “il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3″ (Cass. 16362/2016; Cass. 11110/2019).

17. Il Tribunale non ha affatto negato, come pare ritenere l’istante, che la protezione umanitaria potesse trovare, in astratto, uno spazio applicativo: ha invece escluso che potesse essere in concreto riconosciuta, essendo mancata la dimostrazione di specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità riferibili al ricorrente, situazione che neppure viene specificata con riferimento ad elementi specifici nè richiami a fonti di conoscenza.

18. Segue coerente il rigetto del ricorso.

19. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo svolto il Ministero attività difensiva.

20. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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