Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13797 del 31/05/2017

Cassazione civile, sez. lav., 31/05/2017, (ud. 10/01/2017, dep.31/05/2017),  n. 13797

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20669-2014 proposto da:

M.G.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato

GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati WALTER PAGANI, ENRICO GRAGNOLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DI ANCONA S.P.A. c.f. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo studio degli avvocati NUNZIO RIZZO,

AMALIA RIZZO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 212/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 04/03/2014 R.G.N. 620/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. LORITO MATILDE;

udito l’Avvocato ENRICO GRAGNOLI;

udito l’Avvocato NUNZIO RIZZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza resa pubblica il 4/3/2014, confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva respinto le domande proposte da M.G. nei confronti della Banca Popolare di Ancona s.p.a. intese a conseguire declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 10/1/2008, con gli effetti reintegratori e risarcitori sanciti dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, nella versione di testo applicabile ratione temporis.

Nel pervenire a tali conclusioni la Corte territoriale, per quanto qui rileva, osservava come la contestazione disciplinare del 21/12/2007 risultasse coerente con il principio di immediatezza, essendo stata emessa all’esito di complessi accertamenti ispettivi iniziati nel novembre 2006. Considerava al riguardo, che quando il comportamento del lavoratore – come nella specie consisteva in una pluralità di fatti che convergendo a comporre un’unica condotta esigevano una valutazione unitaria, la contestazione poteva seguire l’ultimo dei fatti, anche ad una certa distanza temporale da quelli precedenti. Argomentava altresì che gli addebiti mossi – consistiti fra l’altro, nell’aver deliberato in autonomia, affidamenti in favore di controparti legate fra loro senza procedere alla costituzione del gruppo economico; nell’aver mantenuto, nonostante i diversi richiami, un ingente numero di assegni a sospesi di cassa, emessi da clienti in mancanza di provvista; nell’aver dato corso alla gestione anomala di rapporti trasformati in crediti di difficile recupero – erano stati oggetto di specifica contestazione.

Concludeva quindi, nel senso che la sanzione espulsiva era stata irrogata in conformità al principio di proporzionalità, essendo i fatti addebitati – e comprovati alla stregua della articolata attività istruttoria – idonei, per la loro gravità, a vulnerare irrimediabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro inter partes.

La cassazione di tale decisione è domandata dal M. sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso la Banca Popolare di Ancona s.p.a..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1, Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto tempestiva la contestazione delle mancanze ascritte in relazione a condotte rilevate nel novembre 2006, non avendo i giudici dell’impugnazione argomentato non tanto sui profili dell’aggravamento del danno cagionato dalla condotta attorea, quanto sui profili che avrebbero potuto ritardare l’accertamento dei fatti, nella specie insussistenti.

2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e in subordine, carenza di motivazione su un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si lamenta, in sintesi, che la Corte distrettuale abbia dato ingresso alla deposizione del teste C. ritenuto incapace a deporre in quanto procuratore speciale della Banca, anche sotto il profilo della carenza di motivazione in ordine alla sua attendibilità.

3. Con il terzo e quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., della L. n. 604 del 1966, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente si duole che il giudice dell’impugnazione abbia ritenuto fondati gli addebiti a lui contestati e proporzionata la sanzione disciplinata irrogata.

4. I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, siccome connessi, sono privi di pregio.

Per il tramite del vizio di violazione di legge, si tende, in realtà a pervenire ad una rinnovata valutazione degli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito, non consentita nella presente sede di legittimità.

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste infatti nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (vedi Cass. 11/1/2016, n. 195).

Nella specie ricorre proprio siffatta ultima ipotesi in quanto la violazione di legge viene dedotta mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa la cui censura è ammissibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, ma non sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge (cfr. Cass. 16/7/2010, n. 16698).

5. Non può, peraltro, tralasciarsi di considerare che i motivi tendono a conseguire una rivisitazione degli approdi ermeneutici ai quali è pervenuta la Corte, che si palesa inammissibile in questa sede di legittimità anche alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione di testo applicabile catione temporis, di cui alla novella del d.l. 22/6/12 n.83 conv. in 1.7/8/12 n 134

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi (vedi Cass. S,U. 7/4/2014, n. 8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 c.p.c., concerne, quindi, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dai testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

6. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un’inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a sè più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

Lungi dal denunciare una totale obliterazione di fatti decisivi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione della controversia ovvero una manifesta illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, si limita a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, sia pure anche per il tramite del vizio di violazione di legge, inammissibile nella presente sede.

Va infatti rimarcato che la fattispecie concreta è stata oggetto di approfondita disamina da parte della Corte territoriale che, come riferito nello storico di lite, ha con motivazione non rispondente ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, argomentato in ordine alla specificità e tempestività della contestazione, alla adeguatezza della prova inerente agli addebiti mossi, alla proporzionalità della sanzione alle mancanze ascritte.

L’iter argornentativo è dei resto coerente con i ditta giurisprudenziali di questa Corte secondo cui:

a) – primo motivo – l’immediatezza della contestazione deve essere intesa in senso relativo, ben potendo essere compatibile con i tempi richiesti dalla complessità degli accertamenti e della struttura organizzativa dell’impresa (vedi Cass. 25/1/2016 n. 1248 seconde cui il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui “ratio” riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto direcesso del datore di lavoro. Peraltro, il criterio dì immediatezza va inteso in senso reiativo,dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonchè del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale);

b) – secondo motivo – parte processuale, nei confronti della quale può essere dedotto l’interrogatorio formale o il giuramento, è la persona dalla quale, o nei confronti della quale è stata proposta la domanda o il suo rappresentante processuale nel caso previsto dall’art. 77 c.p.c., oppure, se parte del giudizio è una persona giuridica, la persona fisica che ne abbia la rappresentanza legale. Non è pertanto parte processuale e può quindi deporre come teste chi abbia partecipato al giudizio solo nella qualità di procuratore della società per intervenire, a nome di questa, all’interrogatorio libero previsto dall’art. 420 c.p.c., atteso altresì che il conferimento della relativa procura e la parte avuta nel rendere l’interrogatorio libero non configurano un interesse che potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio del procuratore, rilevante ex art. 246 c.p.c. (vedi Cass. 13/03/1996, n. 2058);

c) – secondo motivo – l’esame dei docuMenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi. e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi Cass. 2/8/2016, n. 16056);

d) – terzo motivo – il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito Contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censUrabile in sede di legittimità, ove sorretta – come nella specie – da motivazione sufficiente e non contraddittoria (cfr. Cass. 25/5/2012 n. 8293 con cui era stata confermata la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto proporzionato il licenziamento inflitto da un istituto di credito a un direttore di filiale, il quale reiteratamente aveva concesso aperture di credito per importi,ingenti, senza congrua istruttoria, in favore di soggetti mai, prima “affidati” e privi di apprezzabili garanzie).

8. Con il quinto motivo è denunciata nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 209, 245, 356 e 359 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Si critica la sentenza impugnata per aver respinto le doglianze formulate in relazione alla mancata escussione in primo grado, di alcuni testi indicati dal medesimo ricorrente.

Anche siffatta censura è priva di pregio, essendo la statuizione dei giudici dei gravame coerente con i dicta di questa Corte secondo cui la riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito, esercitabile anche nel corso dell’espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l’esame di tutti i testimoni ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l’ulteriore assunzione della prova, con giudizio che può desumersi anche per implicito dal complesso della motivazione (vedi ex plurimis, Cass. 9/6/2016, n. 11810, Cass. 22/4/2009, n. 9551).

9. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso va disatteso.

Il governo delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Infine si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio Che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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