Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13795 del 06/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 06/07/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 06/07/2016), n.13795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4474-2014 proposto da:

R.C. S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona

dell’Amministratore e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PINEROLO 22, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIOFRANCO TODARO, che la rappresenta e

difende, giusta procura speciale per Notaio;

– ricorrente –

contro

P.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 12/02/2013 R.G.N. 147/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato ROSSI MARCO per delega Avvocato TODARO

ANTONIOFRANCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

Con il primo motivo, la società ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 67 per avere la Corte di merito ritenuto necessaria la sussistenza di una giusta causa per legittimare il recesso ante tempus dal contratto e non sufficiente all’uopo la previsione contrattuale dell’indennità sostitutiva del preavviso, nonostante che l’art. 67 cit., nel testo vigente all’epoca dei fatti per cui è causa, abilitasse le parti a recedere prima del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse modalità (incluso il preavviso) stabilite nel contratto.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61, 62 e 69, artt. 1346 e 1418 c.c., per non avere la Corte di merito rilevato la nullità del contratto a progetto per mancanza di specificità del progetto.

Con il terzo motivo, infine, la ricorrente si duole della violazione degli artt. 2105 e 2119 c.c. e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 67 per non avere la Corte di merito ravvisato gli estremi della giusta causa nel comportamento imputato all’odierno intimato, per come descritto supra, in fatto.

Tutti i motivi sono inammissibili.

Circa il primo, è sufficiente rilevare che la pattuizione della clausola negoziale concernente l’obbligo di preavviso in caso di recesso è questione sulla quale la Corte di merito non risulta aver statuito e, non avendo parte ricorrente specificamente indicato quando e come essa sarebbe stata introdotta nel giudizio di merito (e involgendo un accertamento di fatto circa l’effettiva portata della volontà negoziale), essa va ritenuta nuova e dunque inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 20518 del 2008).

Circa il secondo motivo, è decisivo rilevare che parte ricorrente non ha nè riportato nel corpo del ricorso il contenuto del contratto di collaborazione da cui, in ipotesi, evincere la genericità del progetto, nè indicato in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte esso sarebbe reperibile, onde la censura va reputata carente dei requisiti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6.

Circa il terzo motivo, infine, ferma restando l’inconferenza delle censure formulate con riferimento all’art. 2105 c.c. (rilevando semmai gli artt. 1175 e 1375 c.c.), va rilevato che, ancorchè possa concedersi che circostanze estranee all’oggetto della prestazione dedotta quale oggetto della collaborazione possono integrare gli estremi della giusta causa di recesso (cfr. da ult. Cass. n. 2168 del 2013), la Corte di merito ha escluso che le circostanze addebitate all’odierno intimato potessero costituire giusta causa di recesso non solo e non tanto perchè estranee all’oggetto della collaborazione, ma soprattutto perchè ha reputato in punto di fatto che non vi fosse stata alcuna dolosa dissimulazione da parte dell’intimato delle condizioni economiche dell’impresa di cui era amministratore e quotista, attribuendo piuttosto rilievo, ai fini della validità del contratto oggetto del presente giudizio, al fatto che il trasferimento di essa in altra sede “rendeva comunque attendibile l’iniziativa del ricorrente odierno intimato, n.d.e. di facilitare ad altri l’ingresso sul mercato locale del trasporto”, ed escludendo per contro che in senso contrario potesse rilevare “il dato del fallimento” di essa, essendosi verificato “diversi mesi dopo lo svolgersi dei fatti per cui è giudizio” (così la sentenza impugnata, pag. 11). E poichè il vizio di violazione di legge deve consistere in un’erronea ricognizione della norma recata da una disposizione di legge da parte del provvedimento impugnato, riconducibile o ad un’erronea interpretazione della medesima ovvero nell’erronea sussunzione del fatto così come accertato entro di essa, e non va confuso con l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura in sede di legittimità, che era prima possibile sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 15499 del 2004, 18782 dei 2005, 5076 e 22348 del 2007, 7394 del 2010, 8315 del 2013), deve adesso considerarsi ammissibile nei più ristretti limiti della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante dalla modifica apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv. con L. n. 134 del 2012), anche il terzo motivo va ritenuto inammissibile, siccome avente ad oggetto censure sostanzialmente estranee al decisum della sentenza impugnata.

Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile. Nulla va pronunciato sulle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto attività difensiva. Sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2016

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