Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13794 del 31/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 31/05/2017, (ud. 19/04/2017, dep.31/05/2017),  n. 13794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1937-2013 proposto da:

AZIENDA MISTA OSPEDALIERO – UNIVERSITARIA OSPEDALI RIUNITI di

(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), in persona del Direttore Generale pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MECENATE 27, presso

lo studio dell’avvocato ANDREINA DI TORRICE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANNA MARIA TATARELLA;

– ricorrente –

contro

F.G., ((OMISSIS)), domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO PALUMBO;

– controricorrente –

e contro

GESTIONE LIQUIDATORIA EX USL (OMISSIS) in L.C.A. in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1081/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 15/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/04/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

Con atto di citazione notificato in data 08.06.20M F.C. convenne innanzi al Tribunale di Foggia gli Ospedali Riuniti di (OMISSIS), Azienda Mista Ospedaliero – Universitaria per sentir accertare di aver usucapito un terraneo in (OMISSIS) (in catasto alla partita (OMISSIS)) in ditta ” M.G. e D.M.M.”, quali usufruttuari per la metà ciascuno e “Ospedali Riuniti di (OMISSIS)” per la nuda proprietà.

L’Azienda convenuta si costituì chiedendo, in via preliminare, di estendere il contraddittorio alla Gestione liquidatoria ex Usl (OMISSIS), ritenendo che la causa fosse ad essa comune.

Nel merito, negò il diritto vantato dall’attrice, affermando che il bene in oggetto era entrato a far parte del patrimonio della stessa azienda ospedaliera nel 1997 ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 5 mentre, prima di tale data, i cespiti dei disciolti enti ospedalieri, tra cui rientrava il bene in questione, erano stati attribuiti dapprima ai Comuni e successivamente alle USL.;

già nel 1992, inoltre, l’attrice aveva ricevuto dalla USL (OMISSIS) richiesta di rilascio dell’immobile che aveva interrotto il suo possesso.

La convenuta propose altresì domanda riconvenzionale, diretta a ottenere la condanna della F. al risarcimento dei danni da occupazione abusiva dell’immobile per gli anni antecedenti al 1997.

La Gestione liquidatoria ex Usl (OMISSIS), costituitasi, aderì alle difese dell’Azienda ospedaliera e spiegò anch’essa identica domanda riconvenzionale.

Il Tribunale di Foggia dichiarò l’intervenuto acquisto per usucapione ventennale, in favore dell’attrice, dell’immobile sito in (OMISSIS), di cui l’Azienda convenuta era nuda proprietaria e i cui usufruttuari erano M.G. e D.M.M., entrambi deceduti, ritenendo raggiunta la prova del possesso continuativo esercitato sull’immobile in oggetto per oltre vent’anni, essendo la F. succeduta nel possesso già esercitato dal padre ex art. 1146 c.c., comma 1.

Il giudice di prime cure affermò inoltre l’inidoneità delle lettere di diffida inviate dall’Amministrazione ad interrompere tale possesso, atteso che gli atti di diffida e di messa in mora non sono idonei a interrompere il termine utile per usucapire, richiedendosi a tal fine la notifica di un atto giudiziale volto alla riaffermazione del diritto sul bene e dichiarò assorbite le ulteriori domande riconvenzionali.

La Corte d’Appello di Bari confermò la sentenza del giudice di prime cure, affermando che, stante la natura di diritto autodeterminato del diritto di proprietà, non era configurabile il vizio di extrapetizione in relazione all’introduzione del profilo relativo all’unione del possesso del dante causa a quello dell’attrice. Ritenne, inoltre, raggiunta la prova del possesso continuativo esercitato per oltre vent’anni rigettando le doglianze esposte in relazione alla valutazione delle prove testimoniali e di quelle documentali afferenti i presupposti dell’usucapione.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso con quattro motivi l’Azienda Mista Ospedaliero – Universitaria Ospedali Riuniti di (OMISSIS).

F.G. resiste con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 112 c.p.c. e art. 2907 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per avere la Corte esaminato la domanda di usucapione ai sensi dell’art. 1146 c.c., nonostante la mancata allegazione da parte dell’attrice della “successione nel possesso”, quale elemento costitutivo della pretesa oggetto del giudizio, e, nel merito, la mancata prova di tale circostanza.

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 deducendo che la Corte ha erroneamente ritenuto provato il possesso del dante causa dell’attrice, nonostante quest’ultima non avesse fornito alcuna prova di tale circostanza ed anzi le risultanze dell’istruttoria escludessero il possesso del dante causa.

Con il terzo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1146 c.c. anche in relazione agli artt. 1140, 460 e 459 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo che la Corte territoriale ha erroneamente e illegittimamente posto a fondamento della pronuncia fatti diversi da quelli dedotti, cioè ha dato rilievo al possesso del dante casusa della F. a fronte della prospettazione di quest’ultima, la quale aveva dedotto un proprio possesso diretto del bene da oltre quarant’anni, così travalicando i limiti del prudente apprezzamento.

Il primo ed il terzo motivo, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati e sono infondati.

In relazione al dedotto vizio di extrapetizione, occorre premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei c.d. diritti autodeterminati, individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto, sicchè nelle relative azioni la causa petendi si identifica con il diritto e non con il titolo che ne costituisce la fonte (Cass. Civ. Sez. 2 cent del 24/05/2010 n. 12607).

Il giudice di appello ha peraltro evidenziato come sin dall’atto introduttivo del giudizio la F. abbia affermato di aver vissuto dalla nascita, avvenuta nell’anno 1948, insieme ai suoi genitori nell’immobile per cui è causa, onde tale situazione di fatto, vale a dire la situazione del proprio possesso e prima di quello del padre, ha comunque fatto parte della materia del contendere sin dall’inizio della causa.

Ed invero, posto che il possesso del de cuius continua ipso iure nell’erede, con effetto dall’apertura della successione, come conseguenza dell’efficacia retroattiva dell’accettazione dell’eredità, l’acquisto della proprietà del bene per usucapione in virtù della successione nel possesso del de cuius ex art. 1146 c.c.,. comma 1, non costituisce una domanda nuova, fondata su una diversa causa peiendi, attesa l’identità del diritto rivendicato, fondato sui medesimi elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva originariamente dedotta e sulla medesima situazione di fatto rappresentata dall’odierna resistente.

L’unione del possesso del dante causa a quello dell’attrice non costituisce dunque un nuovo thema decidendum, atteso che nel presente giudizio la causa petendi si identifica con l’acquisto per usucapione del diritto di proprietà, diritto che viene individuato in base al suo contenuto e non in base al titolo che ne costituisce la fonte, e che risulta fondato sulla situazione di fatto rappresentata sin dall’introduzione della causa dalla odierna resistente.

Ed invero i fatti costitutivi del diritto c.d. autodeterminato, nel caso di specie l’acquisto della proprietà del bene per usucapione, fatto valere in giudizio dall’odierna resistente, non devono necessariamente essere allegati a fondamento della propria pretesa dalla parte cui giovano, ma possono emergere dagli atti legittimamente acquisiti al processo, posto che il titolo non ha alcuna funzione di specificazione della domanda (Cass.15915/2007).

Del pari infondato il secondo motivo con cui si deduce la mancata prova del possesso del dante causa dell’attrice.

Sul punto giova precisare che quando, come nel caso di specie, è dimostrato il potere di fatto, pubblico e indisturbato, esercitato sulla cosa per il tempo necessario ad usucapirla, ne deriva, a norma dell’art. 1141 c.c., comma 1, la presunzione che esso integri il possesso, incombendo alla parte, che invece correla detto potere alla mera detenzione, provare il suo assunto, dovendo in mancanza ritenersi raggiunta la prova della possessio ad usucapionem (Cass. Civ. Sez. 2 sent. del 02/12/2013 n. 26984).

Nel caso in esame, la Corte risulta essersi conformata a tale indirizzo interpretativo.

Essa infatti ha adeguatamente indicato i motivi per i quali ha ritenuto, sulla base delle risultanze istruttorie, che fosse stata raggiunta la prova sia del corpus, cioè la relazione fisica con la cosa, non viziata nè da violenza nè da clandestinità, sia dell’animus rem sibi habendi, cioè la volontà di tenere ed usare la cosa come propria. Corpus ed animus sul bene che la Corte ritiene provati sia in relazione al padre che alla odierna resistente. Ne discende che, stante la regola per cui il possesso si presume in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa, spettava all’azienda convenuta fornire la prova contraria. L’azienda, però, non ha provato che la relazione col bene controverso fosse iniziata come detenzione, poichè non ha dimostrato, secondo la valutazione di merito della Corte territoriale, l’esistenza del dedotto rapporto locativo asseritamente intercorso tra gli usufruttuari e il padre della F..

A ciò è da aggiungersi che, secondo quanto ritenuto dalla Corte, anche a voler ritenere esistente il rapporto locativo tra il padre della F. e gli usufruttuari, il possesso pieno di F.V. si presume dalla morte dell’ultimo usufruttuario, deceduto senza figli, non essendo stata fornita la prova che i canoni locatizi siano stati versati, dopo l’estinzione dell’usufrutto, alla USL proprietaria del bene.

Ne discende che la Corte ha correttamente ritenuto provato il possesso del dante causa della F., senza travalicare i limiti del prudente apprezzamento, atteso che l’azienda convenuta, a fronte della regola secondo cui il possesso si presume in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa, non ha fornito la prova contraria.

Con il quarzo motivo si denunzia l’omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 deducendo che la Corte ha omesso di esaminare la contestazione circa la valutazione contra legem della prova.

Tale motivo è inammissibile per genericità e in quanto si risolve, in sostanza, nella sollecitazione a un riesame delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.

Conviene premettere che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità(Cass.24434/2016).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, con valutazione di merito logicamente argomentata, che la relazione col bene fosse iniziata come possesso, attesa l’assenza di prova contraria fornita da parte della convenuta, in considerazione della non conducenza delle testimonianze acquisite agli atti e della inverosimiglianza dei dati contenuti nella nota della USL, del 06/02/1985.

La Corte ha dunque preso in esame le risultanze probatorie e la valutazione che il giudice di prime cure ne aveva dato e ha ritenuta non raggiunta la prova della circostanza che la relazione di fatto col bene fosse iniziata come mera detenzione in forza di un rapporto locatizio.

Il ricorso va dunque respinto e la ricorrente va condannata alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.200,00, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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